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Brandy

Brandy italiano

Fine ‘Ottocento

L’avvento della fillossera, che colpisce prima la Francia, alimenta la produzione di acqueviti italiane, destinate a sopperire alla mancanza del mercato francese. L’Italia inizia così un business molto redditizio, ma che ha impedito per molti decenni la creazione identitaria del brandy italiano

1820

Jean Buton fonda a Bologna la sua distilleria. Originario della Francia si stabilisce in Italia, in particolare in Emilia-Romagna per la sua produzione di uve Trebbiano, le stesse impiegate nella produzione del Cognac che ben conosceva. I primi prodotti recitavano in etichetta “Cognac Vieux”, nome destinato poi a cambiare per diventare l’iconico “Vecchia Romagna”.

1832

Vincenzo Florio, imprenditore calabrese, acquisisce le aziende inglesi produttrici di Marsala, dopo la perdita di interesse per questo prodotto. Uscirà nel 1890 con il primo “Cognac siciliano”.

1951

Nasce il brandy italiano, riconosciuto a livello legislativo, eliminando la possibilità per gli italiani di usare il termine Cognac, proprio solo delle acquaviti prodotte nella Charente.

 

Per la produzione del brandy si utilizzano solo vini italiani, storicamente da uve bianche, freschi e non filtrati. Il disciplinare parla di vini bianchi senza specificare il biotipo. Ma  spesso le varietà di uva usate per la distillazione del brandy rispecchiano la regionalità della produzione di acquavite, in cui perciò ritroviamo:

  • Biotipi di Trebbiano, per la Romagna e la Toscana
  • Cortese e Erbaluce, per il Piemonte
  • Trebbiano e Ribolla Gialla, per il Veneto
  • Friulano (Tocai), per il Friuli
  • Catarratto, per la Sicilia 
  • Bombino, per la Puglia 

 

Il brandy italiano può essere ottenuto sia mediante distillazione discontinua che continua pertanto può essere composto sia da acquaviti che distillati di vino. Per il primo metodo lo strumento di riferimento è lo charentais francese, o comunque un alambicco che lo ricordi nella forma con elmo basso e collo di cigno. Per il secondo si può usare sia  la colonna a basso grado sullo stile di quella armagnacais che quella ad alto grado. Il distillato però non deve superare il 50% della massa finale.
Il disciplinare italiano non impone la presenza, anche minima, di prodotto ottenuto con discontinuo pertanto un brandy italiano può essere prodotto esclusivamente con colonne.

Rispetto al disciplinare europeo il brandy italiano comprende alcune modifiche:

  • le sostanze volatili delle acquaviti aumentano a 140 grammi per ettolitro alcol anidro.
  • il metilico viene abbassato a 150 grammi per ettolitro alcol anidro
  • il grado minimo per la commercializzazione è di 38% e non 37,5% a volume

 

L’invecchiamento minimo in legno di quercia è di 12 mesi, che si riducono a sei mesi se la capienza non è superiore ai 1000 litri. Dopo questo periodo è consentito l’uso del caramello per uniformare le partite.

È possibile, inoltre, l’aggiunta di zucchero per un massimo di 20 grammi per litro. Allo stesso modo, è ammessa, qualora sia tradizionale e dimostrabile,  la “concia” ovvero l’aggiunta di preparazioni aromatiche ottenute con macerazioni di acquavite e piante aromatiche quali tè verde, fave di cacao o bacche di vaniglia e trucioli di legno di quercia macerati in alcol o acqua. La concia non deve superare il 3% del volume dell’alcol idrato del prodotto. 

 

 

 

 

Non esistono paragrafi sul disciplinare che impongano di scrivere in etichetta l’invecchiamento, qualunque esso sia. Dal quarto anno solitamente si inizia a scrivere il tempo trascorso in botte, ma è possibile anche utilizzare gli acronimi del cognac o termini di fantasia.
Per invecchiamenti di 18 e 24 mesi si possono utilizzare il termine “Stravecchio” o “Riserva”.

 

La struttura del brandy consente un abbinamento a fine pasto o in accompagnamento con preparazioni di carne dove, nella cottura o nella marinata, sia utilizzato il distillato.
La marinata con il brandy è interessante visto che l’alcol renderà più morbida la carne e gli aromi dell’acquavite completeranno quello delle spezie.
La cucina italiana offre ottimi spunti con preparazioni di selvaggina, come il cinghiale marinato al ginepro, dalla forte aromaticità e grassezza che ben si sposa con la forza alcolica del distillato.
L’abbinamento principale rimane comunque la pasticceria secca a base di mandorle e spezie. L’aromaticità dei dolci accompagneranno bene le note di elevazione in legno, con sentori di vaniglia marcati, dovuti alla tostatura delle botti.

 

Brandy spagnolo

1580

Le prime testimonianze di distillerie e opifici su territorio spagnolo, queste saranno le principali produttrici di acquavite per la fortificazione dello Sherry.

Fine ‘Settecento

L’arrivo degli inglesi dà inizio ad una produzione su scala industriale del brandy, in primo luogo utilizzato per la fortificazione del mosto Palomino.

Fine ‘Ottocento

L’industria del brandy spagnolo inizia a produrre e imbottigliare la propria acquavite, sganciandosi dalla produzione dello Sherry. Il brandy spagnolo conosce un grande successo, complice la fillossera che devasta la vicina Francia, produttrice di Cognac e Armagnac.

 

Il disciplinare di produzione per le indicazioni Jerez e Penedes non menziona varietà specifiche, tuttavia è possibile riscontrare l’uso di varietà specifiche per i rispettivi prodotti, tutte a bacca bianca.

Per il brandy di Jerez:

  • Airen
  • Palomino (per prodotti premium)

Per il brandy del Penedes:

  • Xarel-lo 
  • Macabeu
  • Parrellada

In Estremadura, ultima area con produzioni di rilievo spagnola, si utilizzano due vitigni bianchi, il Pardina, e il Cayetana.

 

Il brandy spagnolo può essere distillato sia in discontinuo che in continuo.
Nel primo caso gli alambicchi sono praticamente identici agli charentais francesi e si ottengono le acquaviti definite Holandas, con un grado alcolico al di sotto del 70% a volume di grado alcolico.
Con le colonne invece, sullo stile armagnacais, si ottengono le Aguardientes, con un grado alcolico compreso fra 70% ed 86% a volume. 

Quest’ultimo è il grado massimo consentito da disciplinare del Brandy de Jerez, che in pratica non poò contenere distillati di vino. Mentre per il Brandy del Penedes il grado massimo ammesso è 94,8% a volume, allineandosi a quello europeo ma il distillato non può superare il 50% della massa che deve essere inferiore agli 86 gradi.

 

 

Per il Brandy del Penedes l’invecchiamento, così come scritto nel Disciplinare, sia statico che dinamico, altrimenti definito Solera. Per la prima parte statica si prevede una permanenza minima di un anno, in botti della capienza inferiore ai 500 litri prima della sua commercializzazione. Il metodo dinamico invece si compone di una iniziale permanenza in botti di capienza inferiore ai 1000 litri ed un finale nei medesimi recipienti usati per lo statico che vengono scolmati e riempiti per la realizzazione del blend. 

A Jerez il metodo dinamico trova la sua massima espressione con l’uso della Criaderas y Solera.  Con il nome solera si indica la fila di botti vicino al suolo. Quella più in alto invece si chiama sobretala. Le botti che siano singole o facenti parte della criadera, che solitamente si compone di 4 file sovrapposte, non possono mai superare i 1000 litri di capienza.

Quando una parte della solera viene utilizzato per l’imbottigliamento, nella sobretala viene immesso distillato “nuovo”, solitamente invecchiato in botte per un anno, il minimo per essere immesso, che può arrivare a tre per i prodotti premium.
Quindi si procede al travaso nella fila inferiore la segunda criadera, e poi alla primera criadera, fino alla solera. Questo processo rende il prodotto uniforme e di qualità costante ed assicura sempre la presenza di brandy, anche a fronte di stagioni poco produttive.

Nella IG Jerez è ammesso l’uso del caramello naturale, e l’aggiunta di 35 grammi di zucchero per litro, una quantità ben superiore alla legge europea che ci permette di capire come mai questi brandy abbiano una spiccata morbidezza. Nel caso della IG Penedes la grammatura scende nuovamente a 20 grammi.

 

Per l’invecchiamento statico, le menzioni in etichetta sono:

Reserva: invecchiamento superiore ad un anno.
Gran Reserva: invecchiamento superiore ai tre anni.
Extra Or: invecchiamento superiore ai 5 anni, con gradazione minima è di 40 gradi e almeno il 65% del volume ottenuto in discontinuo.
Ovviamente il brandy spagnolo è frutto di un blend dove fa fede la botte più giovane pertanto nella Reserva non ci saranno solamente botti di un anno, e così discorrendo per le altre tipologie.

Per l’invecchiamento dinamico, invece sono:

Solera: superiore ai 6 mesi di passaggi con un risultato finale minimo di 150 grammi di sostanze aromatiche ettolitro. 

Solera Reserva: superiore ad un anno con 200 grammi di estratto ettolitro

Gran Reserva: 3 anni e 250 grammi di estratto.

 

Vista la spiccata dolcezza di alcuni prodotti i brandy spagnoli si possono accompagnare con la tipica pasticceria spagnola fatta di frutta secca, miele e pasta fillo.

 

Il brandy negli altri paesi

Il Portogallo,produttore di grandi vini come il Porto e i vini dell’Alentejo, ha un suo ottimo produttore di brandy.
AdegaVelha (vecchia cantina), è un’antica casa vinicola, fondata nel 1870, che vinse ininterrottamente premi per i suoi prodotti dalla fine del 1800 alla metà del 1900.
Il suo titolare acquistò un alambicco Charentaise da Cognac e una partita di botti di Limousine. 

Il sistema produttivo è il medesimo e può contare su una materia prima d’eccellenza, poichè la distilleria, in realtà, è prima di tutto una cantina produttrice di vini di qualità.
In Portogallo vi sono infatti vini molto adatti alla distillazione per freschezza e acidità,tra cui i Vinho Verde. Acidi, poveri di profumi e con una gradazione alcolica molto bassa, per via del clima piovoso dell’area, sita nel nord del Portogallo, sonomolto simili all’Ugni Blanc ed al Trebbiano.
La distillazione si svolge in due passaggi, con un processo molto lento, in modo da preservare tutti i profumi del mosto di vino.
Il risultato invecchia per oltre 10 anni ed è un prodotto dalle ottime caratteristiche di morbidezza e complessità, superiore a parecchi Cognac di prima fascia.

 

L’Albania ha una forte tradizione vitivinicola, tramandata da secoli dalla vicina Grecia, culla della viticoltura mondiale.
Il più importante produttore dello stato è la Scanderebeu, nata a Tirana, come fabbrica di liquorinel 1959 e divenuta ben presto la più grande dell’Albania.
La distilleria inizialmente produceva solo raki, poi nel 1967 inizia la produzione di brandy.
La distilleria produce ancora oggi un Konjak, la cui pronuncia ricorda da vicino quella del più famoso distillato. Il Konjak “Skanderebeu”è prodotto secondo la tradizione, con distillazione discontinua, utilizzando vitigni bianchi albanesi.
Il risultato viene messo a riposare in legno di quercia di Slavonia.
Il brandy viene venduto in diversi tipi invecchiamento: il 3 anni, il 5, e il 13.

 

L’Armenia vanta una tradizione vinicola millenaria, per via della sua vicinanza con la Georgia, il paese considerato la culla della viticoltura mondiale. L’Armenia, per via delle solide basi cristiane da sempre ha sviluppato una tradizione enologica, considerato l’uso liturgico che veniva fatto del vino. In questo paese troviamo un’eccellenza della tipologia, un prodotto da sempre apprezzato dagli intenditori, l’Ararat. Il nome di questo brandy è permeato dalla simbologia religiosa, infatti il Monte Ararat, è la sommità dove andò a posarsi l’Arca di Noè alla fine del Diluvio Universale, ed è qui che Mosè trovò i primi tralci di vite. La distilleria che lo produce è la Yerevan Brandy Company, che è attiva fin dal 1887, ed è stata la fornitrice della corte degli Zar fino alla Rivoluzione di Ottobre. 

L’acquavite è prodotta con vitigni bianchi autoctoni armeni che ricordano per le caratteristiche di acidità, i pari francesi.
La distillazione è ovviamente discontinua, con alambicchi di ispirazione Charentais, come si vede nella foto di repertorio.
Il prodotto è suddiviso in diversi invecchiamenti, che vanno da 3, il minimo commercializzato dall’azienda fino ai 20 anni.
Sarebbe proprio l’invecchiamento in legno il segreto del distillato.
Alla Yerevan viene utilizzata la quercia caucasica che, grazie al suo color rosa e alla sua trama tannica gentile, permettedi avere acqueviti vanigliate e fruttate di eccezionale finezza.

 

La Germania vanta, nella zona del Reno, un’importantissima tradizione vinicola.
Il vitigno principe dell’area è il Riesling, ma vi sono altri come il Muller Thurgau, Sylvaner e il Gutedel.
In questa area così vocata alla viticoltura non poteva mancare una distilleria e questa risponde al nome della AusbachUralt fondata nel 1892 da Hugo Ausbach ad RudesheimamRhein.
Il fondatore aveva solo 24 anni e iniziò l’attività con solo due alambicchi, ma ben presto l’azienda si ingrandì grazie all’ingresso in società nel 1905 di Albert Sturm, un commerciante di vini e liquori.
L’azienda dovette bloccare la sua attività durante la Seconda guerra Mondiale, ma alla sua cessazione riprese nuovamente la produzione, promozionando i suoi prodotti, prima nel suo comparto, anche in televisione, con un efficace campagna promozionale.
Sfruttando il momento d’oro dei distillati da vino, che come in Italia, corrispose agli anni 50 e 60, recuperò il terreno perduto per la distruzione della guerra e diventò un azienda leader sul mercato dei superalcolici.
Visti i volumi produttivi ora la Asbach non si trova più a Rudensheim. Nel paese troviamo solo più un grazioso centro visitatori dove è possibile vedere interessanti memorabilia aziendali ed alcuni vecchi alambicchi. Per scelta commerciale la Asbach ha trasferito la sua distilleria in un altro luogo, più spazioso e funzionale dove può ottimizzare la logistica e i volumi produttivi.
La produzione attuale comprende un Weinbrand e altri liquori, in realtà non molto distribuiti e presenti neanche in loco.
Con Weinbrand in Germania si intende un distillato di vino con le caratteristiche del brandy, dopo che una sentenza europea, nel trattato di Versailles ha decretato che il nome Cognac spetta solo ai prodotti distillati nella Charente.
La distilleria, nonostante si trovasse in un’area vinicola d’eccezione, si approvvigionava di uva e vino da distillare quasi totalmente dalla Charente francese.
Ora con la richiesta di Cognac, decisamente impellente, per via del suo successo in Oriente, e della relativa penuria di vino, l’azienda acquista grossi quantitativi anche in Italia e Sudafrica. 

La produzione per i prodotti di pregio è di tipo classico a doppia distillazione discontinua, mentre per i prodotti base da taglio vengono utilizzate le colonne di stile spagnolo. L’invecchiamento, variabile da due a quattro anni per i prodotti base, ad un massimo di 8 per il prodotto di punta, è in botti di Limousin della capacità di 300 litri.
Un’altra realtà tedesca nel mercato brandy, è il marchio Chantrè dalle chiare reminiscenze francesi anche se parliamo di un’azienda assolutamente tedesca, la BrennereiEckes, fondata da Peter Eckes nel 1857 a NiederOlm, nei pressi di Mainz, una delle cittadine adagiate sul corso del Reno. La compagnia, come la Asbach, sfruttava la vicina area vinicola del Reno, che spesso produceva vini poco adatti alla vendita, esangui ed acidi, per via di stagioni non molto soleggiate. Il marchio Chantrè usa tecniche di invecchiamento francesi e alambicchi discontinui per avere una maggiore rotondità in bocca. Il successo è immediato e nonostante che l’azienda, come del resto la totalità delle distillerie tedesche, abbia dovuto subire alterne fortune per via delle due guerre, si rilancia sul mercato, realizzando vendite record per il mercato tedesco. L’azienda ad oggi conta un pacchetto prodotti piuttosto vasto, dai succhi di frutta ai liquori e risulta meglio distribuita rispetto alla Asbach nella sua zona di origine.

 

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