Molti storici della miscelazione e del bar a torto dimenticano, questa importante parentesi della nostra storia, d’inizio 900.
Il Futurismo fu un movimento culturale che affrontò ogni forma d’arte, influenzando profondamente il pensiero di quegli anni.
Era nata la settima arte, il cinema e i futuristi crearono l’ottava, la cucina, che veniva declinata anche in 17 polibibite, i cocktail come forma complementare, plastica, al cibo.
Il cocktail diventa una forma d’arte estemporanea, che può durare solo alcuni minuti che deve suscitare emozioni e commenti in chi lo sorbisce.
Il tentativo quindi di stravolgere il concetto classico, valido fino ad allora, di un cocktail vissuto solo a livello temporale, con la cena a fare da divisione fra le due principali classi, per ed after dinner.
Ma per comprendere a fondo la filosofia della miscelazione, logica conseguenza dei loro manifesti su poesia, scultura e pittura, non si possono non dare dei cenni storici sulla nascita del movimento.
La storia del periodo risulta anche fondamentale per contestualizzare quello che rimane l’unico tentativo italiano di cambiare le regole della mescita dei cocktail.
L’inizio del 900 si segnala per alcune novità fondamentali che cambieranno per sempre la storia dell’uomo: la nascita dell’aeroplano che liberò per sempre l’uomo dalla schiavitù della terra e che permetteva di coprire distanze fino ad allora inimmaginabili.
L’aereo permetteva anche di vedere il panorama e gli oggetti in esso contenuti sotto una nuova prospettiva fino ad allora sconosciuta.
Il cinema dei fratelli Lumiere, che portava per la prima volta delle immagini in movimento su uno schermo che cambiò per sempre la percezione delle cose e della memoria storica.
Un potente mezzo usato anche dalla propaganda di regime che affascino i futuristi che produssero anche alcuni film come “Vita Veloce Futurista” con poca fortuna.
Il cinema cambiava anche per sempre la pittura e la scultura rendendo, in qualche modo obsolete le rappresentazioni statiche che caratterizzavano lo stile fino ad allora.
Giacomo Balla con il suo “Dinamismo di un cane al guinzaglio” ben rappresenta questo tentativo di catturare su tela l’essenza della settima arte.
Lo stesso fa Boccioni con la sua opera “Forme uniche nella continuità dello spazio” scultura simbolo del futurismo e non per nulla presente sulle monete italiane del 20 centesimi di euro.
Ma altre invenzioni solcavano il secolo: la luce elettrica che si andava diffondendo nelle città, la rivoluzione dell’industria automobilistica, con i primi modelli accessibili alla masse, la nascita della bachelite, la materia plastica modellabile che rese possibile la realizzazione di oggetti fino ad allora impensabili. La radio, nata a fine 800, ebbe negli anni 20 la sua consacrazione come mezzo di comunicazione di massa con la gente assiepata ad ascoltare nelle case prima i racconti a puntate, notiziari e poi i proclami del regime.
I primi passi del movimento si mossero all’interno dei caffè milanesi, sancendo ancora una volta, l’indissolubile legame fra cultura e questo luogo di ritrovo fondamentale.
A Milano, il piccolo “Caffè Centro” e il prestigioso “Savini” accolgono le prime animate discussioni del giovane gruppo di artisti di cui fanno parte Carlo Carrà, Luigi Russolo e Umberto Boccioni.
Zuffe e clamori accompagnano la stesura nei primi anni del 900, del Manifesto tecnico della pittura futurista, la prima disciplina artistica a venir presa in esame.
All’interno del “Caffè Campari” e del “Cova” si elaborano le prime strategie di rissosa propaganda.
Epiche scazzottate si segnalano nelle cronache dell’epoca nella terza sala del “Caffè Aragno” di Roma, e a Firenze, all’interno del “Paszkowski” e del “Giubbe Rosse”, dove si può ancora ammirare un’opera di Depero.
All’interno di questi caffè Marinetti gridò i suoi proclami di rottura con il passato che ebbero l’effetto di incendiare gli animi degli aderenti al movimento.
La poesia onomatopeica composta di rumori e parole in libertà, la pittura fatta di colori accesi e dinamismo, visioni simultanee, la scultura stravolta dalla nascita del cinema che portava per la prima volta il dinamismo negli oggetti furono le principali innovazioni futuriste.
Ma anche teatro
Il leader del movimento affermò che “Si pensa, si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia” facendo suo il motto del filosofo tedesco Feuerbach e di Brillat-Savarin che scrisse che il destino delle nazioni dipende dal modo in cui esse si nutrono.
La cucina si caratterizzò per gli abbinamenti azzardati e per l’estrema cura data alla presentazione del piatto, talvolta caratterizzata da forme plastiche che sfidavano la gravità, aspetti che, anni più tardi, riletti opportunamente, daranno vita, alla Nouvelle Cousine.
La volontà era quella di sollevare discussioni fra i convitati, far discutere e creare convivialità.
La principale bizzarria dei futuristi fu la dichiarazione di guerra al piatto nazionale italiano: la Pastasciutta, considerato un cibo disdicevole, voluminoso, che portava sonnolenza e fiacchezza durante la sua digestione difficoltosa, esaltando, al contempo, l’italico riso che venne proposto in decine di appetitose varianti.
I fini erano due: la provocazione era talmente forte, in quanto ledeva uno dei capisaldi della nostra cucina, da attirare sui futuristi un attenzione altrimenti difficile da ottenere, la seconda per coadiuvare la politica alimentare del regime fascista.
La dipendenza estera per l’approvvigionamento del grano da Francia e Russia, che il regime, unendosi con la Germania, aveva già individuato come future nemiche.
L’autarchia culinaria e la parsimonia dovevano essere il futuro verbo per sostenere lo sforzo bellico e non dissipare denaro acquistando generi al di fuori dell’Italia.
La situazione si aggravò nel 1935 per via delle sanzioni economiche nate all’indomani dell’aggressione coloniale italiana all’Etiopia. L’Italia visse l’embargo e tutto questo divenne una necessità.
Il rinnovamento dei codici della cucina si completava con l’abolizione delle posate, per introdurre anche la sensazione tattile nella degustazione dei piatti.
Molti di questi cibi si completavano anche con rumori, per fare in modo che la cucina potesse includere tutti i sensi cognitivi dell’uomo.
L’obiettivo di Marinetti è di restituire all’uomo la ricchezza delle sensazioni e del godimento del piatto in tutta la sua completezza e ricchezza, abolendo il volume e la gozzoviglia, legata al solo nutrimento ed appagamento “animale” dello stomaco.
I 5 sensi dell’uomo dovevano essere coinvolti per intero, con tavole tattili, luci cangianti dal verde al rosso, rumori d’accompagnamento, e profumi sparsi per le sale del ristorante con vaporizzatori e ventilatori.
Le idee di Marinetti confluiscono in un “Manifesto della cucina futurista” pubblicato nel 1931, un anno dopo vede la luce il libro “La cucina futurista” scritto a quattro mani con Fillia, un giovane entusiasta che all’epoca della fondazione del movimento nel 1909, aveva solo cinque anni. ( a sinistra della foto, in abito scuro, a fianco a Tulio D’albisola).
Il movimento futurista aprì anche un ristorante, “La taverna del Santopalato”, ribattezzata dagli aderenti al movimento “La Taverna d’alluminio”, che divenne, di fatto, l’applicazione e realizzazione pratica di queste idee.
La scelta della città non è del tutto casuale, infatti Torino si apprestò, dopo aver generato il Regno d’Italia, “ad essere la culla di un altro Risorgimento storico, quello gastronomico”.
Il ristorante vide la luce l’8 marzo1931 a Torino, inaugurato da F.T. Marinetti in persona, con il cuoco luminare Angelo Giachino ai fornelli, coadivato da Piccinelli e Borghese.
La cena che ne seguì fu una singolare sfida culinaria fra i due professionisti e l’aeropittore Fillia e il critico d’arte P.A. Saladin.
Angelo Giachino fu il titolare di questo locale che ebbe vita breve, poichè la cucina proposta, nell’intenzioni nata come nazional-popolare, in realtà era provocatoria, sovversiva, elitaria, di difficile realizzazione ed interpretazione.
I piatti proposti non erano creati per essere mangiati, ma per essere visti come opere d’arte globali, a dimostrazione di ciò, un critico culinario dell’epoca, presente ad uno dei primi banchetti futuristi, consigliò di sedersi a tavola senza avere appetito…Piatti dolci-salati, semicrudi dalle rapide cotture, regolate come “un motore di un idrovolante per alte velocità”, dalla sequenza disordinata, (celebre il pranzo al contrario partendo da caffè e dolce), da gustare in rapida sequenza, condito da sollecitazioni visive e auditive, si scontrò nettamente con la concezione storica secolare dell’alimentazione italiana, fatta di cotture medio lunghe, cura degli abbinamenti e rilassata convivialità.
Le polibibite alcoliche ed autartiche, completate da decorazioni fatte di cibi in contrapposizione con il gusto del liquido, dominate dall’ossimoro dolce-salato o dolce-piccante, non incontrarono il gusto di allora fatto di accostamenti lineari, dolce-amaro piuttosto tradizionale con vermouth e bitter a dominare la scena.
I futuristi sperimentarono l’abbinamento con componenti salati, quali acciughe e prosciutto crudo, all’interno dei liquidi del bicchiere, utilizzando un gran numero di spezie, anche piccanti per realizzare anche un equilibrio dolce- piccante assolutamente inusuale per l’epoca.
Vi fu un largo uso di frutta esotica a sottolineare il fatto che l’Italia aveva faticosamente e a caro prezzo ottenuto le colonie in Africa. Banane, ananas, datteri e pistacchi fecero parte di piatti e polibibite proprio per enfatizzare questa conquista, ma non vi furono mai miscele inneggiati a generali, condottieri o battaglie celebrative delle vittorie.
Queste sono presenti in alcuni libri di bar dell’epoca, ma la propaganda non sfiora i futuristi che rimangono artisti vincolati marginalmente al regime.
Le miscele futuriste furono autarchiche, ed utilizzarono quasi esclusivamente liquori di tradizione italiana che venivano mescolati fra loro insieme alla grappa, unica base alcolica ammessa, insieme al brandy italiano, ribattezzato poi arzente, per via del divieto di utilizzo di parole straniere.
Ma il Santopalato non sarà l’unico locale aperto dal movimento, prima di questo videro la luce a Roma il “Teatro sperimentale degli Indipendenti” in via Avignonesi, dove l’architetto futurista Virgilio Marchi ristrutturò il bar con pannelli dipinti da Ivo Pannaggi.
Nel 1921 aprì il “Bal tic tac” decorato da Giacomo Balla e poco dopo il “Cabaret del Diavolo” situato nelle cantine dell’Hotel Elite di via Basilicata. Qui Fortunato Depero disegna grandi immagini murali ed arredi per tre grosse sale, denominate Paradiso, Purgatorio ed Inferno. Diavoli, anime redente ed angeli, creano un ambiente di grande suggestione scenografica, il cui motto, posto all’ingresso del locale è “Gaudeo ergo sum”.
Le consumazioni proposte sono in linea con il locale: “Melma bruna”, “Fuoco liquido” ed “Infuso sintetico digrignatorio” sono consumati ai tavoli dove si siedono gli Indivolati fra cui si conta anche il poeta romano Trilussa.
Il momento più alto per le ambizioni globali futuriste fu l'”Esposizione Coloniale di Parigi” dell’estate del 1931, qui l’architetto futurista Guido Fiorini, inventore della tenso-struttura disegnò un magnifico padiglione battezzato “Italia”, all’interno del quale si svolse un faraonico banchetto interamente realizzato con piatti inventati dagli aderenti al movimento che avevano il preciso compito di eliminare gli stereotipi della cucina italiana.
Il ristorante fu decorato con pannelli realizzati da E. Prampolini e le polibibite “Grandi acque” e “Giostra d’alcol” fecero da aperitivo, dopo di che le portate si susseguirono accompagnate da profumi spruzzati dai camerieri sulle nuche dei commensali.
Il banchetto era corredato da rumori e luci che completavano le percezioni sensoriali dei commensali.
Balletti e canti si susseguirono “Come un uragano tropicale” scrive Marinetti, ma la vera sorpresa fu lo spettacolo di Josephine Baker, icona erotica degli anni 30, che fece la sua apparizione in sala ipnotizzando i commensali. Marinetti proseguì la cronaca del banchetto affermando ” Le sue gambe mondialmente celebri erano lunghi pennelli africani che avevano forse servito a Prampolini a dipingere i suoi pannelli”.
Proprio il pittore realizzerà in seguito un ritratto della ballerina che per i futuristi fu un esempio di bellezza anti retorica, dinamica che unì erotismo e modernità, unendolo alla voglia di esotismo che fu seguente alle imprese coloniali.
Un altro importante palco per le polibibite fu il banchetto alla Galleria Pesaro del 1933 svoltosi a Milano per celebrare la scomparsa del compiato Boccioni.
Il nome del banchetto fu “Plastica Mangiabile” inteso come forma del cibo che doveva diventare arte tridimensionale all’interno del piatto. Le polibibite presentate furono due, la prima, aperitiva, fu il “Grandi Acque” che a questo punto divenne la miscela più conosciuta all’interno del movimento e una “Polibibita Sanatrice” proposta nel finale con funzione digestiva.
Il Futurismo, oltre che stravolgere i canoni di abbinamento dei liquori e dei distillati, cambiò i nomi degli strumenti e dei protagonisti della miscelazione, in nome di un forte sentimento nazionazistico, molto sentito ad inizio secolo da tutte le realtà europee e non solo, che porteranno anche all’isolazionismo Americano.
Lo shaker divenne “l’Agitatore”, il barman “il Miscelatore”, il cocktail “La Polibibita”, il bar “il Quisibeve”, il menù “il catalogo o lista vivande”, il maitre “Il Guidapalato”, il brandy “Arzente” e il whisky, “Spirito d’avena”.
Le miscele divennero autartiche, ed utilizzarono come basi alcoliche grappa ed arzente, e come aromatizzanti rabarbaro, genziane, assenzi, rosoli, ma sopratutto vini e vermuoth della tradizione italiana.
Al movimento dobbiamo anche la creazione di nuove categorie di miscele: “Permangiare” (antipasti ed aperitivo), “Perlazarsi” (dessert e dopo cena), “Guerrainletto” dal forte apporto energetico, allo scopo, come sottolinea Marinetti, di fecondare e creare la nuova razza italiana.
Suo contrapposto le polibibite “Paceinletto” vere bombe alcoliche con infusioni d’erbe, in grado di stimolare il sonno ristoratore e i “Prestoinletto”, adatti alle fredde notti invernali. Infine gli “Snebbianti” forti corroboranti in grado di far prendere decisioni strategiche e fondamentali, liberando il campo, grazie alla dotazione alcolica, da morali, dubbi e tentennamenti e le “Inventine”, polibibite fresche, inebrianti in grado di stuzzicare la mente, per avere idee fulminanti.
Le ricette futuriste non riportarono mai le dosi esatte espresse in centilitri e raramente vennero espresse in frazioni di prodotto, mentre di alcune non sapremo mai la ricetta.
Non ci fu mai un illustrazione del bicchiere da utilizzare (unici due casi il “Brucio in Bocca” di Barosi, che schematizza una coppa cocktail per spiegare la sequenza di strati del suo Puosse Cafè e la “Coppa di Brividi” di Fortunato Depero che disegna ingredienti e bicchiere ).
La ragione è semplice, trattandosi di un movimento artistico di ispirazione anarchica e dissacratoria delle regole, i futuristi volevano solo dettare gli abbinamenti di gusto e non le dosi ferree, lasciando la fantasia del miscelatore al potere.
In tal senso Marinetti afferma : “Ogni errore di dosaggio, potrà dar vita ogni volta ad una ricetta diversa”… l’esatto contrario della volontà espressa dalla codifica Iba…
Ai futuristi dobbiamo anche gli unici esempi di cocktail con il vino considerato da mensa, ricordiamo la “Giostra d’alcol”, a base Barbera d’Asti e il “Decisone” con Barolo, vino chinato, mandarino e rhum.
Il rhum, nella grafia francese nelle ricette futuriste, per via della permanenza parigina di Marinetti, viene considerato per via delle conquiste in Africa, un genere coloniale, alla stregua di ananas, banane e spezie dolci.
Unica concessione ad un distillato straniero si ha nel “Brucio in Bocca ” creato dall’ingegner Barosi, che vede l’utilizzo del wisky, rigorosamente scritto senza “h”.
L'”Inventina”, con il Moscato d’Asti, rimane l’unico esempio di cocktail “in divenire” prevedendo al suo interno cubetti di succo di arancia rossa gelata, che sciogliendosi cambiavano colore e gusto al drink.
Un omaggio al cambiamento e alla velocità che vedeva l’utilizzo anche di un liquore ricavato per infusione dall’ananas fresco.
Queste miscele azzardate sono un complimento al vino, tanto che Marinetti cita : “Eleganti signore italiane, vi preghiamo di sostituire al Cocktail Party dei convegni pomeridiani che potrete chiamare a volontà l’Asti spumante della signora B, il Barbaresco della contessa C o il Capri Bianco della principessa D. In questi convegni sarà premiata la miglior qualità del vino radunatore”.
Ai futuristi dobbiamo anche la creazione delle pubblicità e delle etichette più innovative di inizio secolo, da cui scaturì uno dei maggiori sodalizi commerciali con il più famoso prodotto italiano da aperitivo, il Campari, utilizzato in alcuni cocktail originali, tra cui ricordiamo il “Rosabianca” con arancio, infusione di rose bianche e anice, creato da Giachino, per l’inaugurazione del ristorante il Santopalato.
Fortunato Depero, affermato pubblicitario dell’epoca che si unì al movimento futurista, disegnò, nel 1931, la famosa bottiglietta a tronco di cono del Campari Soda. Questa opera fu il coronamento di un decennale rapporto di collaborazione che vide decine di pubblicità e disegni.
La bottiglietta fu un innovativa idea per il mercato dell’epoca che vide per la prima volta commercializzato nella forma “ready to drink”, quindi realizzato nelle dosi giuste, volute dall’Azienda, uno dei “cocktail” maggiormente in voga all’epoca: il Campari con il selz.
La collaborazione con Campari ebbe inizio poco dopo il 1926, quando fu esposto alla Biennale di Venezia, il famoso quadro “Squisito al Selz”, che era un indiretto omaggio al Commendator Campari ed al suo aperitivo.
Questa collaborazione si concretizzò nella realizzazione nel 1930 del “Numero unico futurista Campari 1931”, un volumetto con quadri, disegni, liriche, pubblicità plastica e decorativa atte a illustrare e glorificare il Cordial ed il Bitter Campari.
Anche Nikolay Dugerhoff, altro eminente membro del Futurismo, disegnerà molti cartelloni per la Campari e per la Cora, famosa azienda torinese di vermouth, leader assoluta del periodo e prima ad esportare in America.
La spirale dell’Amaro Cora prende quasi sicuramente ispirazione dalle scenografie di Prampolini che per primo in Italia utilizzò losanghe e linee curve ripetute che daranno vita alla psichedelia.
Un altro contributo alla grafica pubblicitaria verrà anche dal torinese Ugo Pozzo, fondatore del movimento futurista nella città sabauda, insieme a Fillia, al secolo Luigi Colombo, con i suoi bellissimi pannelli disegnati nel 1930 per reclamizzare i vini e la birra italiani.
Fu definito da Marinetti “Un ingegnoso mondializzatore di Torino”, ma che per il suo carattere schivo e modesto rimarrà nell’ombra del movimento, nonostante le indubbie qualità artistiche.
In definitiva riscoprire la miscelazione futurista è un passo importante per ogni barman o miscelatore italiano, se non altro per riappropriarsi di un momento molto alto, a livello culturale, della nostra storia.
Le polibibite sono l’espressione del nostro territorio e della nostra genialità in campo creativo di cui essere giustamente fieri.
Le principali polibibite futuriste





