LA STORIA DEL VETRO E DELLE BOTTIGLIE
La storia del vetro e dei contenitori ottenuti con questo materiale, le bottiglie, è quanto mai interessante e poco conosciuta. Questo perchè come barman ormai riteniamo questo “strumento di lavoro” come acquisito e di poco conto. Semmai parliamo di curiosità ed “eccitazione” per le magnifiche bottiglie di alcuni spirits, nati nell’ultimo decennio, che hanno attirano la nostra attenzione. Questo perché la forma della bottiglia, il cosiddetto pack, spesso unita ad un’etichetta particolare, rimane l’unico modo per stupire ancora il consumatore. Questa fenomeno inizia, solitamente, quando il liquido è stato già declinato in ogni maniera, con soluzioni aromatiche territoriali o del tutto originali, come nel caso della vodka o del gin.
Il costo superiore dell’operazione la rende solitamente l’ultima adottata dagli attori del mercato, nella fase di maturità del prodotto, tranne rare eccezioni.
Ma veniamo alla storia del vetro.
Il vetro ha avuto un lungo cammino, da materia preziosa e coperta dal segreto produttivo, fino alla produzione di bottiglie da pochi centesimi di euro al pezzo, per i prodotti di fascia bassa.
Fortunatamente, nonostante il costo più elevato e le difficoltà produttive rispetto alla plastica, il vetro non è stato sconfitto come qualcuno presagiva. Semmai è stato ridimensionato, soprattutto per i prodotti come l’acqua dove il prezzo di vendita si gioca sui centesimi, o negli involucri dedicati ai prodotti discount, si pensi alla birra di fascia bassa.
Ma per i prodotti premium e lusso, il vetro mantiene il suo status, anzi ha visto aumentare le soluzioni estetiche con serigrafie e satinature.
Le prime testimonianze
Come accade quasi sempre, quando si parla di ricostruzione storica il condizionale è d’obbligo, così come cercare di risalire alle origini che sono spesso avvolte da mistero.
La storia del vetro e delle bottiglie non fa eccezioni.
La leggenda più diffusa circa la nascita del vetro è molto antica, di epoca romana, ed è legata a Plinio. Questo racconto, lacunoso e sommario, rimane, ancora oggi, la testimonianza più antica in nostro possesso. Lo storiografo romano racconta:
“E’ proprio in questo piccolo litorale (…) che molti secoli fa ebbe origine il vetro. Si narra che una nave di mercanti di soda sia li approdata. I mercanti riversatisi sulla spiaggia cominciarono a preparare le cibarie, ma non essendovi pietra adatta a sostenere il focolare, posero sotto i calderoni dei pani di soda che avevano preso dal loro carico, ma quando li accesero dopo che erano stati impastati con la sabbia, un rivo di nuovo trasparente liquido cominciò a fluire”
Questa teoria, per quanto contenga degli elementi di verità, sembra lontana dal soddisfare pienamente, in quanto le temperature necessarie alla formazione del vetro dovrebbero essere ben superiori.
Ma gli ingredienti sono praticamente quelli giusti, in quanto la sabbia contiene silice, la materia base del vetro, poi abbiamo il carbonato di sodio, usato come coadiuvante, che si trova nella soda, mentre le alghe che sicuramente si trovavano sulla spiaggia, hanno elevate quantità di carbonato di calcio, lo stabilizzante.
Rimane da spiegare come sia potuta accadere l’esatta dosatura degli ingredienti, ma soprattutto, come si sia potuto avere la corretta intensità del fuoco. Vista la dispersione della fiamma, non avrebbe potuto raggiungere le temperature necessarie, che invece si trovano in una forno chiuso.
Se Plinio non ci dà risposte adeguate, neanche le altre teorie attualmente sul mercato sembrano funzionare.
Qualcuno ipotizza che gli uomini abbiano trovato pezzi vetrificati di sabbia dopo la caduta di un fulmine, il quale ha sicuramente l’energia necessaria per fondere gli elementi, e che abbiano cercato di riprodurne, almeno in parte il calore, dando vita ai primi tentativi.
I sostenitori del paleo-contatto fra noi e le civiltà superiori provenienti da altri pianeti, pensano invece che la comparsa del sapere della lavorazione del vetro nell’Antico Egitto, sia un’ulteriore prova di questo. Ma i ritrovamenti dei piccoli vasi nella tomba del faraone Tutmosi III sono postumi ad altri manufatti in vetro assiro-babilonesi.
La cultura superiore di questa civiltà, riferendosi soprattutto alle misteriose piramidi, ha sempre alimentato questa fantasiosa teoria, e la bellezza dei monili e dei manufatti in vetro farebbero presumere conoscenze e tecniche praticamente moderne. La verità sarebbe ben più terrena. Durante le campagne militari, che videro la definitiva sconfitta degli Assiri nel 612 a.C., gli egiziani razziarono questi oggetti e ne carpirono i segreti portando nelle loro città gli artigiani vetrai.
Abbandonando le teorie e le leggende, le prime frammentarie informazioni sul vetro arrivano proprio da Fenici ed Egizi, ma non ci permettono di stabilire con esattezza l’origine e la scoperta di esso.
Ritrovamenti molto interessanti
Il ritrovamento di una barra di vetro blu nella rovine di Eushununna risalente al XXIII secolo a.C. e di un blocco del medesimo materiale a Endu sempre in Mesopotamia, aggiungono mistero a questa storia. Non dimentichiamoci che in questa area, culla della civiltà, sono stati anche trovati i primi alambicchi rudimentali di ceramica, si pensa per la distillazione delle pece.
Ma non vi sono documenti scritti, ma d’altra parte i segreti produttivi si trasmettevano a livello orale, di padre in figlio e non si scrivevano certo sui papiri per divulgarli.
Maggiori notizie ci arrivano quando il sapere del vetro giunge, tramite guerre e commerci, nella Persia, sull’Isola di Cipro, ed in Siria.
Proprio in quell’ultima nazione avrà inizio, all’incirca nel 100 a.C., l’arte della soffiatura del vetro per realizzare bellissime bottigliette per unguenti, ed oggetti destinati alle premiazioni in gare sportive.
Attraverso un tubo di un metro e venti, massimo un metro e sessanta, il vetraio soffiava all’interno di una palla incandescente di pasta di vetro. Roteando e modellandolo con un bastone questa massa si potevano ottenere artistiche bottiglie e primordiali vasi.
Nel IX secolo la civiltà araba è ai massimi livelli di conoscenza.
Matematica, astronomia, fisica e medicina (senza dimenticare la distillazione) fanno passi da gigante grazie agli alchimisti che si cimentano anche nella produzione del vetro.
La finezza e l’accuratezza degli oggetti realizzati è superiore ad ogni altro realizzato prima. Colori brillanti ed intensi, trasparenza e resistenza saranno per lungo tempo un riferimento.
Con la caduta dell’Impero Romano d’Oriente, molti vetrai decideranno di trasferirsi, dopo la metà del XIII secolo, a Venezia, città con commerci ricchissimi e centro di cultura ineguagliabile.
I centri di eccellenza di Murano ed Altare.
La scelta cade sull’isola di Murano, separata dalla città dal canale dei Murani, sede secondo alcune fonti di piccoli artigiani del vetro già nel XII secolo.
Le ragioni di questa scelta sono legate al pragmatismo tipico delle culture basati sui commerci.
Gli incendi, piuttosto frequenti, provocati dalle fornaci sarebbero stati circoscritti all’isola e non avrebbero intaccato la città, le cui case avevano strutture in legno, senza dimenticare che molte di esse appoggiavano su palafitte.
Ma la vera ragione era legata alla sorveglianza. I vetrai non potevano abbandonare l’isola se non con un permesso speciale ed eventuali fughe sarebbero state sicuramente sventate.
Una sorta di Alcatraz senza sbarre…
Questo perchè i commercianti di Venezia capirono fin da subito che questa arte sarebbe stata la loro arma vincente nei secoli, ed un elemento distintivo.
Ma il protezionismo non è sempre la risposta giusta. Guerre e avvicendamenti al potere cambiarono le cose, ma soprattutto non dimentichiamo che la tecnologia ed il progresso che non si possono fermare.
Un importante centro di manifattura vetraria sorse ad Altare, cittadina dell’entroterra savonese, quasi contemporaneamente alla realtà veneziana. Le origini dei primi artigiani dovevano essere quasi sicuramente benedettine. Infatti il vetro ebbe per lungo tempo nono solo la funzione di contenitore ma anche di abbellimento delle cattedrali. Pezzi di vetro colorato, uniti magistralmente dagli artigiani, formavano splendide finestre decorative attraverso cui filtrava la luce del sole, dando suggestivi prove della potenza divina.
A differenza dei veneziani che producevano per il commercio, qui gli artigiani erano artisti e religiosi, pertanto più liberi di portare la loro arte in altri paesi. Vanno fatti poi dei distinguo. Pur trattandosi sempre di vetro gli altaresi erano specializzati nella realizzazione di lastre e non di oggetti lavorati e soffiati, come i muranesi.
I re ed i nobili di Francia chiamarono i primi per abbellire le cattedrali gotiche della Borgogna e della Picardia, ed il pensiero non può che andare alle mille finestre decorate di Chartres, Orleans ed Amiens.
Questa nazione offrì anche agevolazioni fiscali affinché questi maestri del vetro aprissero in loco delle attività.
Le prime lavorazioni industriali
Nel 1688 nella cittadina di St Gobain (oggi è il nome di un’importante fabbrica di cristalli per auto e abitazioni) poco lontano da Amiens capoluogo della Picardia, i maestri vetrai realizzarono la prima lastra di vetro omogenea.
Questa invenzione fece si che si potessero fabbricare gli specchi che andarono poi a decorare i palazzi dell’epoca.
Questo fu l’inizio della standardizzazione dei processi produttivi.
Le macchine da qui in poi andarono via via sostituendo l’abilità dell’uomo, in nome dell’abbassamento dei costi. Il Seicento segnerà una profonda crisi a Murano come ad Altare.
In giro per l’Europa si andavano formando altri centri di eccellenza come la Boemia, il cui cristallo ebbe grande diffusione nel Settecento. Inglesi e tedeschi fecero passi da gigante con nuovi forni e nuovi metodi di lavorazione. Nel 1867 Friederich Siemens creò l’invenzione che, di fatto, accelerò la produzione del vetro, e la sua industrializzazione, il forno continuo a bacino che praticamente poteva funzionare ininterrottamente.
Sempre nell’Ottocento nacque la pressa per vetro che sostituì il soffiatore, e agli inizi del Novecento, precisamente nel 1903 vide la luce la prima macchina per la produzione in serie delle bottiglie.
La inventò Michael J. Owens e con essa riuscì a produrre fino a 2500 bottiglia all’ora.
La goccia veniva aspirata dalla macchina dentro una forma metallica ed una volta formata con il vetro ancora caldo, veniva tagliata automaticamente. Ma il cui costo era però solo alla portata di poche aziende e non si diffuse rapidamente.
In questo modo si spiegherebbe come mai quasi tutti i liquidi presenti nei bar fino ai primi decenni, dal vino al vermouth, venissero venduti in botti. Il liquido veniva poi imbottigliato a cura del barista all’interno delle bottiglie spedite sul primo ordine, che venivano riempite decine di volte. L’etichetta di vermouth a destra porta infatti la dicitura “messo in bottiglia dal cliente”, testimonianza di questa pratica.
La definitiva svolta per l’abbassamento dei costi sulle bottiglie di vetro arrivò nel 1925 con l’invenzione degli ingegneri Ingle e Smith con l’ottimizzazione della precedente macchina. La macchina non aspirava più il materiale ma soffiava la palla di vetro dentro un pre-stampo e per poi essere trasferita dentro un secondo che, sempre soffiando, gli conferiva la forma desiderata.
La produzione divenne pertanto poco costosa e alla portata di tutte le aziende di liquori, anche se la pratica di vendere in botte rimase fino agli anni Cinquanta, quando venne abolita per decreto dallo Stato Italiano per sopprimere le numerosi frodi.
Negli anni Trenta abbiamo modo di vedere cataloghi con oltre cinquanta prodotti liquoristici prodotti da una singola azienda e praticamente più della metà hanno una bottiglia con forma e decorazioni dedicate.
Gli stampi costano poco, c’è una gran concorrenza e non si bada a spese per personalizzare i prodotti.
Nel Dopoguerra le cose cambiano drasticamente, il numero dei produttori di bottiglie e contenitori in genere scende progressivamente per arrivare ad oggi dove gli attori del mercato si possono contare sulle dite delle mani.
Oggi uno stampo per una bottiglia personalizzata sia con un logo o con una scritta, o ancora peggio di forma particolare, costa da alcuni a svariate migliaia di euro con minimi d’ordine in grado di far desistere i produttori che non abbiano le idee ben chiare.
Rimangono comunque ricchi cataloghi con diverse decine di proposte in grado di soddisfare quasi tutte le richieste.
Il vetro quindi rimane centrale nell’industria dei liquori e dei distillati.
Ad esempio il Vermouth di Torino, vieta espressamente da disciplinare l’uso di contenitori di plastica, siano essi bag in box o Pet, così come la totalità dei vini Doc e Docg.
La plastica infatti, per quanto abbia fatto passi da gigante, patisce sempre l’effetto solvente dell’alcol e, anche se nettamente migliorata dal progresso tecnico, “cede” sempre qualcosa al liquido, specie se vi è una lunga permanenza del liquido. Fanno eccezione alcune plastiche alimentari il cui costo però rimane ancora alto, fermo restando che, su alcuni prodotti, il consumatore finale non è ancora pronto ad accogliere determinati involucri e confezionamenti.