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Cocktails

Saperebere-cocktail

L’invenzione del cocktail ha quattro diverse leggende, nessuna delle quali potrà mai essere confermata dai protagonisti.

La prima narra della bella americana Betsy Flanagan, che nella sua taverna, mesceva drink preparati con whiskey e gin, presumibilmente non di altissima qualità, e succhi di frutta. Queste pozioni si meritarono il nome di “Coda di Gallo”, in virtù della ampia gamma di colori proposta dall’intraprendente barista.
La seconda parla di un barman imbarcato su una nave in navigazione sul Missisipi, che per alleviare la noia del viaggio ai suoi clienti, mesceva ottimi drink utilizzando delle caraffe a forma di galletto, utilizzate da sempre, in Europa, per il servizio del vino.
La terza appartiene ad un barman di Vera Cruz, in Messico, che mescolava alcolici e frutta utilizzando come decorazione a guisa di stirrer bellissime piume di coda di gallo.
L’ultima, forse la più plausibile, sembra legata al cocktail codificato più antico del mondo, chiamato Sazerac, servito dal barman Jonh Schiller al Sazerac Coffee di New Orleans. Per il suo servizio utilizzava dei bicchieri caratteristici, che ricordavano la forma arrotondata di un uovo, chiamati Coquetelle, da cui il nome “Cocktail”.

Storia dei cocktails

Ricette

adonisIl nome del drink ha origini illustri, infatti Adone è la figura mitologica che incarna la bellezza giovanile maschile, ma anche la morte e il rinnovamento. Dal suo sangue sgorgato dalle ferite mortali, provocate da un cinghiale inviato da Apollo, geloso per aver sedotto Afrodite, nacquero le anemoni. In questo caso le ragioni del suo nome sono ben più futili, infatti il drink e relativo nome, forse furono coniati da un fantasioso barman che lavorava al bar del famoso teatro di Broadway a New York, dove il musical burlesque (spettacolo parodistico) "Adonis" ebbe ben 603 repliche, record tuttora detenuto. Lo spettacolo, messo in scena nel 1884, prodotto da Edward E. Rice e musicato da John Eller, è la storia di una statua di marmo di un bellissimo uomo, Adone appunto, interpretato dal bellissimo Henry E. Dixey (foto). La statua vuole vivere per conoscere il mondo, ma ottenuto questo miracolo decide, vista la delusione e la noia del mondo umano, di tornare alla sua forma iniziale, non prima di aver parodiato alcuni personaggi famosi. Lo spettacolo fece abbastanza scandalo perchè la calzamaglia del protagonista lasciava ben poco all'immaginazione. Il cocktail è lo specchio dei tempi di allora, ottenuto miscelando due "figli" del vino, uno fortificato e ossidato, l'altro fortificato e aromatizzato, per un elegante mix di profumi che ispireranno una serie di drink, primo fra tutti il Bamboo Cocktail creato da Louis Eppinger ad inizio 900. Il cocktail viene codificato all'interno di alcuni ricettari storici fra cui "The old Waldorf Astoria bar book" del 1934 ed il "The arstistry of mixing drinks di Frank Meier" del 1936.
Creato a Londra nel 1922, dal grande barman Henry Mc Helhone, uno dei più grandi barman mai esistiti, che a quel tempo lavorava in riva al Tamigi, al "Ciro's Club". Il cocktail nasce per celebrare le magnifiche nozze della principessa Mary e di Lord Lascelles. La prima ricetta fu elaborata con la crema di cacao scura, che nelle successive codifiche Iba, fu sostituita da quella chiara, con il chiaro intento di migliorare il colore del drink, decisamente poco invitante. Alcune codifiche e ricettari portano comunque la crema scura, compreso il ricettario Aibes, quindi la diatriba è tuttora in corso... In alcuni bar spesso viene proposta anche una verione con la polvere di cannella, armonica e piacevole per il drink, ma decisamente errata per la storia. E’ un grande classico, dolce e armonico, adorato dalle donne di tutto il mondo, nato in onore di una magnifica principessa.
americano L'Americano è un cocktail che ha sempre suscitato grandi discussioni sulle sue origini. Appassionati barman ricercatori hanno a lungo dibattuto sul suo nome e sulla sua data di nascita, su cui circolano diverse versioni, alcune delle quali errate ma che stentano a scomparire. La più improbabile sosteneva che fosse stato inventato poco dopo l’Unità d’Italia, unendo il neonato Bitter Campari ed il Vermouth di Torino. Non venivano date spiegazioni sul nome, ma soprattutto si ignorava che fino al 1881 il rosso aperitivo si chiamasse “Bitter all’uso di Hollandia”. Più plausibile, ma anch’essa errata, fu quella della sua nascita ai primi del Novecento, che legava ilsw4kf9nome al modo di bere “all’americana”, ossia su ghiaccio, in bicchieri “Old Fashioned”. In effetti le macchine del ghiaccio si diffusero nel Bel Paese negli anni Venti del Novecento, ma ad appannaggio di esclusivi hotel. Anche se divenne una vera e propria moda sorseggiare i drink “on the rocks”, questo servizio era ancora molto raro; ragion per cui Elvezio Grassi, nel suo “Mille Misture” del 1936, proponeva l’Americano: un cocktail considerato popolare, senza ghiaccio. La ricetta aveva solamente del selz fresco come elemento refrigerante, cosa che di fatto fa decadere la teoria. Un’altra versione, decisamente più poetica, voleva che il drink nascesse in onore della vittoria in terra americana del pugile Primo Carnera contro l’americano John Shirley. La gloriosa serata ebbe luogo il 29 giugno 1933 al Madison Square Garden di New York, gremito di immigrati italiani. Se questa versione fosse vera alimenterebbe il nostro orgoglio nazionale ma, come vedremo fra poche righe, il nome “Americano” è di molto antecedente. il-vermouth La prova regina ci arriva da un agronomo piemontese, Arnaldo Strucchi, a lungo enologo di Casa Gancia, che nel 1906 scrisse una monografia sul Vermouth di Torino. Nel capitolo dedicato ai vermouth speciali, ossia con aromatizzazioni particolari, insieme ai grandi classici alla vaniglia o al barolo, ci illustra anche il Vermouth al Bitter, una preparazione pronta in bottiglia che veniva proposta da molte aziende produttrici sull’onda del successo delle Bibite Americane: “E’ detto anche Americano perché negli Stati Uniti si ha l’usanza di bere il vermouth mescolato con liquori amari e gin (whiskey), formando una bibita chiamata cocktail. Molte e differenti possono essere queste preparazioni a seconda del liquore bitter che viene impiegato". E’ evidente che Strucchi facesse riferimento al Vermouth Cocktail in voga in America in quegli anni, dove ad una dose di vermouth venivano aggiunte delle gocce di aromatic bitter. Ne consegue che la ricetta avesse “preso la nave” e fosse tornata in Italia, insieme a molti emigrati, con il nome di Americano. Un’ulteriore prova della sua nascita ai primi del Novecento ci arriva da Frigerio, enologo della stazione regia di Alba, che nel 1897 pubblica il suo libro “Il Liquorista” e menziona solamente Vaniglia e China come declinazioni commerciali di successo. mazzon E’ infine interessante notare come la prima ricetta di Americano codificata sia presente nel libro di Ferruccio Mazzon, "Il Barista, Guida del Barman" del 1920. Qui l’Americano è nuovamente posto nella categoria “Cocktail in bottiglia” (come già visto nel post sul Martini Cocktail). La ricetta era composta in litri: 20 di Vermouth di Torino, 1 di Cognac, 1 di acqua, 1 decilitro di bitter, 1 decilitro di tintura di scorze di limone, 1 di scorze di arancio. Leggendola, appare chiaro quanto detto da Strucchi: un vermouth con qualche goccia di bitter. L’aromatizzazione con le essenze degli agrumi è conseguenza del servizio in bottiglia, che doveva essere veloce, pertanto in questo modo non si perdeva tempo con la decorazione materiale. cocktail americano_copertina mille misture Torniamo nuovamente ad Elvezio Grassi. Nel suo libro, l’Americano trova la sua consacrazione. Infatti è il cocktail per eccellenza che ben si sposa con la politica del regime, fatta di nazionalismo autarchico. Vermouth e bitter sono infatti due eccellenze italiane. Nel libro troviamo ben 12 ricette di Americano codificate, il cui nome variava a seconda dell'azienda produttrice di vermouth; pertanto, avremo quello griffato Martini & Rossi, Cinzano, Carpano, Accossato e Ballor, Branca con la sostituzione con il Fernet, il Cicone Beltrame con l’Amaro Ramazzotti e l’Argentino con un tocco di vaniglia. Un altro segno del successo è la sua codifica internazionale, consacrazione che in questo periodo spetta a pochi classici italiani.  Questa avviene dopo la vittoria di primo Carnera, episodio che sicuramente può avere alimentato la versione legata al pugile friulano. Frank Meier del Ritz Bar di Parigi, autore del “The artistry of mixing cocktail” del 1936, lo propone in un calice da vino con proporzioni più simili al nostro moderno Americano, con pari quantità di bitter e vermouth ed uno spruzzo di soda. Per William Tarling, scrittore del “Cafè Royal Cocktail book” del 1937, la ricetta è più simile a quella italiana del “Mille Misture”, con un quarto di bitter e tre di vermouth, e soda a colmare. In entrambi, la decorazione è una scorza di limone e solo nel primo libro si parla di ghiaccio nel bicchiere. bond-cocktail americanoPer finire, una ulteriore prova della diffusione del cocktail negli anni Cinquanta, quando l'Americano viene citato da Ian Fleming, il famoso scrittore inglese inventore del celebre agente segreto 007. James Bond sorseggia questo cocktail seduto ai tavoli del Royal les Eaux a l'Hermitage di Parigi. La ricetta originale dell'agente 007, riportata nel primo libro della serie “Casino Royale”, prevedeva l'utilizzo del Bitter Campari, del Vermouth di Torino Cinzano e dell'acqua Perrier, molto amata dall'agente segreto, in grado a suo dire di rendere accettabile il gusto di questo cocktail povero. Da italiani non ci saremmo mai aspettati questa caduta di stile, Mister Bond.
Pare che in origine il drink si chiamasse French 75, come il calibro di un famoso cannone francese della Prima Guerra Mondiale. Il drink è codificato dal Savoy Cocktail Book e la presenza di due basi alcoliche certifica la sua provenienza databile in inizio secolo, così come la presenza del Calvados che colloca il cocktail nel periodo post fillosserico. Successivamente fu ribattezzato Angel Face, da Harry Mac Elhone, padre di tutti i barman e fondatore dell Harry’s Bar di Parigi, in occasione dei festeggiamenti del 19 luglio1919. Molti pensano erroneamente che la Prima Guerra Mondiale sia terminata l' 11 novembre 1918, in realtà essa finì solo sui campi di battaglia in tale data, poichè si protrasse al 1919, in campo diplomatico, con la Germania chiusa nel vano tentativo di ottenere uno sconto sui danni di guerra, nei lunghi mesi seguiti al Patto di Versailles. In quel tempo il grande barman lavorava in riva al Tamigi ed assistette ai lunghi festeggiamenti, compresivi di una parata trionfale grandiosa, voluta dal ministro degli esteri Cruzon, che in questo modo voleva festeggiare il raggiungimento degli accordi di pace con la Germania, sconfitta al termine di sanguinose battaglie e di lunghissime trattative. La ricetta potrebbe essere stata anche ribattezzata dopo il 1942, anno di uscita del famosissimo film "Casablanca". In questo cult movie un fantastico Humprey Bogart, noto bevitore di Martini, interpreta Rick Blaine, detto "faccia d'angelo", titolare del bar più famoso della storia del cinema : il "Rick's cafe americain". Il film dalla bellissima trama ha nell'addio struggente nella scena finale, uno dei suoi momenti indimenticabili, cosi come è rimasta mitica la frase :"Suonala ancora Sam.. ". Il nome del drink potrebbe anche essere di origine americana, risalente al periodo proibizionista, quando le gang di mafiosi imperversavano per il controllo del traffico di super alcolici. Qualcuno sostiene che l'alcolico cocktail potrebbe essere stato inventato in onore del famoso gangster "Faccia d'Angelo".
Una delle tante variazioni sul tema di un'unione classica della miscelazione: il gin e il vermouth. E come spesso accade ai grandi classici della miscelazione, molte sono le storie legate alla sua creazione. A livello cronologico abbiamo notizie dell'Astoria Cocktail nel 1930, essendo codificato nel Savoy Cocktail Book di Harry Craddock, nella versione classica riportata sopra e ripetuta anche nel libro di appunti del grande Angelo Zola, l'indimenticato professionista originario di Viverone, presidente Iba e Aibes per lunghi anni e capo barman al Principe e Savoia di Milano. La seconda sostiene che il drink fosse il cocktail "della casa" del grande albergo Waldorf Astoria di New York , un magnifico grattacielo in stile Art Decò inaugurato nel 1931, ma la ricetta codificata nell' "W.A. Old Cocktail Book", è composta da 2 centilitri di Old Tom Gin, un gin dolce inglese della vecchia scuola olandese e 4 centilitri di vermouth dry, quindi decisamente diversa da quella del Savoy, come grado zuccherino e dotazione alcolica. Questo dimostra ancora una volta che nel mondo della miscelazione non esiste nulla di assoluto e che i padri, in caso di successo, possono essere almeno due.
Aviation (1)Questo cocktail ha due possibili ideatori, ma un periodo di nascita sicuro: la Prima Guerra Mondiale. Gli albori dell'aviazione e della fiera conquista del cielo coincidono con l'inizio della miscelazione pionieristica fatta con pochi ingredienti dove la fantasia del barman era alla base di tutto. La prima teoria sostiene che fu un improvvisato barman di un circolo ufficiali d'aviazione, di un campo volo dietro la prima linea, che lo miscelò in onore dei piloti inglesi, che tornavano a terra, dopo i cruenti ed eroici scontri aerei che caratterizzarono i cieli della Prima Guerra Mondiale. Un bell'esempio di quanto descritto, potrebbe essere la visione del film "Giovani Aquile" in cui si assiste a scontri aerei, in cui il coraggio è l'elemento fondamentale, spesso condito da gesta cavalleresche dei piloti, che seguivano un preciso codice d'onore. Tornando al drink, si dice che fosse spesso utilizzato come cocktail "commemorativo", una sorta di rituale, con il quale i piloti brindavano al loro ritorno, alla memoria dei compagni caduti. La seconda teoria fa corrispondere il creatore con il primo a trascrittore della ricetta: Hugo Ensslin nel 1916, nel suo libro "Recipes for mixed drinks" lo consegna ai posteri, poco prima del Proibizionismo. Il barman di origine tedesca crea il cocktail dedicandolo ai pionieri dell'aviazione, sono infatti di questo periodo le gesta eroiche di Bleriot che sorvola per primo la Manica e di Boehm che vola per ben 24 ore e 12 minuti consecutivamente, fino all'esaurimento del carburante. Quegli anni ci tramandano anche le imprese immortali degli assi del volo come l'americano Howard Hughes, l'italiano Francesco Baracca e tedesco Barone Rosso, al secolo Manfred Von Richthofen. Nella ricetta originale riportata da Ensslin compare la Creme de Violette che avrebbe dato una bella colorazione violacea -azzurra tenue, molto in tema con il cocktail dedicato agli eroi dei cieli. La presenza di questo raffinato aromatizzante fa pendere l'ago della bilancia verso il famoso barman, poichè sembra alquanto difficile che in un bar "da campo", potesse trovare posto tale liquore. Nella successiva trascrizione di Harry Craddock, nel suo ormai noto "The Savoy Cocktail Book" l'aromatizzante floreale scompare e non comparirà mai più in nessun altra versione del drink, forse anche per la difficoltà di reperirla sul mercato dopo l'avvento del Proibizionismo. La ricetta è un gin sour con alcune gocce di maraschino (1/3 succo di limone, 2/3 di London Dry Gin e due gocce di maraschino). Il cocktail può avere svariate sfumature di viola a seconda della quantità di crema di violetta, che serve più che altro a dare il tipico colore viola chiaro al cocktail. La sfumatura deve essere molto leggera ed il profumo appena percettibile. Si può decorare con ciliegina al maraschino, essendo già presente il liquore e con uno zest di limone. Per finire una curiosità: nella foto è rappresentato un Sopwith Camel, il mitico biplano inglese che fu l'affidabile macchina volante che accompagnò i piloti inglesi e le loro eroiche imprese. Questo aereo fu spesso menzionato nella striscia "Peanuts", dove il cane Snoopy, immagina di essere un pilota della Grande Guerra, in perenne duello con il Barone Rosso il quale, alla guida di un triplano Fokker, ha sempre la meglio sul fantasioso cane.  
Questo famoso cocktail, ora quasi dimenticato e poco richiesto, era molto famoso negli anni Trenta fra gli appassionati. Nasce da una variante creata dal sig. Bennet proprietario terriero cileno che usava miscelare gin, limone e granatina. Giunta a Cuba, la ricetta fu ovviamente variata con il prodotto principe dell’isola, il rum, da Bacardi in persona, che cercava in questo modo di brandizzare un cocktail di successo. Il drink ebbe molto seguito fra gli appassionati americani che durante il Proibizionismo, 1919-1933, attraversavano il breve tratto di mare che separava la Florida da Cuba, per concedersi qualche bella bevuta, in barba al governo americano. Il suo successo, negli anni a venire, sancì la diffusione del rum sul suolo americano e l'inizio negli anni 50 della Tiki Era. Visto il grande successo del drink alla fine del Proibizionismo, molti baristi presero a preparare il drink con i rum più disparati, non tenendo fede alla ricetta che invece imponeva l'uso del rum Bacardi. Stanca di questo andazzo la Company portò in giudizio la questione, tanto che nel 1936 la corte dello Stato di New York emise una sentenza che dichiarava una volta per tutte che per essere chiamato Bacardi Cocktail , il drink doveva essere preparato usando il brand della distilleria omonima e che la sua sostituzione, senza avvisare il cliente, avrebbe costituito il reato di frode.
Il cocktail rappresenta uno degli ultimi esempi di wine cocktail, molto in voga ad inizio '900. Fu sorprendentemente inventato in Giappone, dove è tuttora preparato, presso l'Ally Bar di Tokio, con le percentuali leggermente diverse pari a 4,5 cl di vermouth e 1,5 di sherry. Il cocktail venne codificato per la prima volta nel 1908 nel libro "The world drink" di William Boothby nella versione ufficiale che vede pari quantità di vermouth e sherry. Il cocktail molto secco, fu preparato per la prima volta nel 1889 da Louis Eppinger, un capo barman di origine tedesca, del Grand Hotel di Yokohama, prendendo ispirazione sicuramente dal cocktail europeo Adonis, molto in voga al tempo. In Giappone non esisteva il vermouth rosso dolce italiano, andando per la maggiore il dry francese, non rimase quindi altra scelta al barman che sostituire i prodotti, creando comunque una miscela piacevole che riscosse molto successo, fra i dignitari europei e americani che iniziavano a visitare il paese del Sol Levante, che lentamente si stava aprendo a mondo. Una versione poco accreditata sostiene che l'esotico nome sia stato dato successivamente, traendo ispirazione da una canzone di Bob Cole dal nome "Under the bamboo tree", molto famosa intorno agli inizi del 900.
Una variante energetica appartenete alla numerosa  famiglia a cui fa capo l'Alexander. In questo caso la parte di brandy viene sostituita da crema di banana per una maggiore dolcezza e morbidezza del risultato finale. Il cocktail nasce alla fine degli anni 70 e richiama nel nome il famoso gruppo rock dark nato nel 1976, i Siouxie and the Banshees, che salì agli onori della cronaca in piena epoca punk rock. Il termine banshee trae origine dal gaelico e significa "spirito di donna che annuncia la morte",  nome assolutamente in linea con la musica e le tematiche dark che di li a poco daranno vita al movimento della "Black generation" con a capo i Cure di Robert Smith. Il giovane Robert ebbe anche l'onore di essere il chitarrista del gruppo durante il tour promozionale del  secondo album dei Banshees, "Join Hands" per sostituire in fretta e furia il chitarrista ufficiale che lasciò il gruppo per disaccordi interni.
Un grande classico della miscelazione caduto nel dimenticatoio, forse a causa della crisi contemporanea dei distillati invecchiati e dei liquori, soppiantati nelle preferenze dei consumatori, dai prodotti cosidetti bianchi e da aromatizzanti tropicali. Il Benedectine è un liquore di ispirazione monastica composto da 27 erbe, poste in infusione nel Cognac francese, proveniente dalle zone di Borderies e Bois. Questo liquore fu miscelato con parti uguali di ottimo brandy, nei primi anni '30, da un barman del "21", il famoso locale di Broadway a New York. Diluire un liquore con il suo distillato di produzione era un ovvio ragionamento, unito ad una facilità di esecuzione per principianti, ma che ebbe un successo incredibile. Uno dei motivi fu perchè il consumatore decideva il suo brandy o Cognac preferito per "diluire" il liquore... Tale fu il successo che Benedectine decise di produrre il cocktail "ready to drink" già imbottigliato, ma che non ebbe successo, proprio perchè faceva perdere al suo estimatore il piacere della scelta della diluizione. Il drink si serve all'interno di un balloon da Cognac con ghiaccio cristallino e giocando sul grado zuccherino del liquore, si adagia il distillato su di esso, per ottenere l'effetto a strati, tipico dei Poussa cafè. A scelta del cliente può essere anche bevuto liscio, senza ghiaccio, miscelato in un tumbler. Una famosa variante di questo cocktail è il Kentucky Colonel, che vede la sostituzione del brandy con il bourbon, in quantità leggermente superiore, portando la base alcolica a 4,5 cl e il Benedectine a 1,5. La nascita del cocktail si presume possa essere l'epoca post fillosserica, quando decine di cocktail con brandy e Cognac, furono "twistati" con i distillati locali. Il Sazerac descritto più avanti ne è l'esempio maggiore e più illustre.
Cocktail italianissimo noto in tutto il mondo, creato da Giuseppe Cipriani proprietario dell Harry’s di Venezia nel 1948, in occasione della mostra dedicata a Giovanni Bellini detto il Giambellino. Il drink, fresco e dissetante deve essere assolutamente preparato con succo fresco di pesca bianca e non come spesso accede con succo (confezionato) di pesca gialla, o peggio ancora, con vodka aromatizzata. Una curiosità interessante è legata alle origini del nome del famoso bar, nato grazie ad una felice intuizione di Giuseppe Cipriani, il quale per realizzarlo chiese un prestito ad un facoltoso amico americano. Per sdebitarsi come prima cosa, il grande barman diede il nome dell'amico al suo locale, che in breve divenne meta di vip e aristocratici. In questo locale, Hemingway, fa sedere il colonnello Cantwell nel suo libro "Al di laàdel fiume e fra gli alberi", per sorseggiare il suo "Martini very very dry". Il Bellini compare anche nel film "Mission Impossible II ", il bellissimo film d'azione, diretto da Brian de Palma, il cui protagonista è un atletico e determinato Tom Cruise, nei panni della spia Ethan Hunt. Il cocktail viene ordinato, durante una pausa fra le corse in un ippodromo, dalla bellissima ladra professionista Nyah Nordoff, innamorata di Hunt, interpretata da Thandie Newton. Il suo precedente amante, il cattivissimo Sean Ambrose, molto zelante (e ancora innamorato) arriva dopo alcuni minuti portando due flut del cocktail , che appare in una colorazione arancione sgargiante molto improbabile. Probabilmente la produzione aveva dimenticato la regola d'oro della ricetta, fatta di pesca bianca...
Un grande classico della miscelazione, dei primi decenni del '900, creato in onore della famosa casa di automobili inglese. Il drink era uno dei preferiti della grande attrice Elisabeth Taylor che non mancava mai di berlo nelle occasioni importanti, accompagnata dal marito Richard Burton, come ci attestano gli appunti del grande barman Angelo Zola, indimenticato barman del Principe e Savoia di Milano, dove la coppia fu ospite. Il drink va shakerato, contravvenendo ad una regola della mixologist che consiglia di non agitare i vermouth e i vini in generale, con l'unica altra illustre eccezione del Vesper Martini. Tornando al drink, viene miscelato per la prima volta nel 1930, dopo la vittoria della Bentley, industria automobilistica di lusso, fondata nel 1919, alla prestigiosa "24 ore di Le Mans". Tuttora la corsa è un classico molto ambito dai piloti di tutte le classi e forse rimane il circuito più famoso in assoluto in Europa. Il suo creatore è presumibilmente un barman che lavora al bar del circuito ed utilizza i prodotti del territorio per confezionare il cocktail, ovvero il Calvados, il distillato di sidro di mele della vicina Normandia , trovandosi Le Mans nel nord della Francia e il Dubonnet, il vermouth per eccellenza , definito in passato il migliore della categoria. La vittoria non porta fortuna alla fabbrica di automobili che subisce una serie di cambi di proprietà, complice anche il crollo delle borse del 29 e la successiva crisi, fino al 2003, anno in cui ripete l'exploit di vincere la 24 ore, evento nuovamente festeggiato con la creazione di un cocktail, chiamato Mulsanne, uno dei modelli più prestigiosi della casa Inglese. Il drink completamente diverso dall'originale, vede l'utilizzo di 4 cl di gin, distillato d'obbligo in un drink inglese, unito a 1,5 cl di liquore al melone, 3 cl di succo di pompelmo e ad alcune gocce di sciroppo di zucchero, per un cocktail decisamente più in linea con i gusti moderni.
Miscela raffinata e storica, nata nei primi decenni del '900, cosa che si deduce dal fatto che utilizzi due basi alcoliche per la sua preparazione, contravvenendo ad una delle regole base della moderna mixologist che lo proibisce. Come spesso accade per i drink di questo periodo vi sono due versioni dei fatti, per stabilire la paternità del cocktail. La prima vede Henry mcElhone, creatore di molti cocktail del periodo e abile uomo di marketing che, resosi conto del successo del rum, riattualizzò intorno al 1930, quando era barman dell'Harry's Bar di Parigi, un suo classico, il Sidecar, aggiungendo un tocco esotico con il distillato caraibico, anticipando di qualche anno la Tiki Era. L'altra versione torna ancora più indietro nel tempo, precisamente nel 1921, a Londra ed ha come protagonista mr. Polly, manager dell'Hotel Berkeley, che crea questo drink, chiamandolo "Fra le lenzuola", forse per rendere l'idea ai suoi clienti che se si esagera con questa miscela si rischia di finire presto a letto, a dormire sonni profondi. Contemporaneamente a questo, in Italia, il Movimento Futurista, crea una nuova classe di cocktail molto alcolici con il preciso compito di favorire il sonno, chiamandoli "Prestoinletto", contrapponendoli ai "Guerrainletto" cocktail energetici e speziati con il preciso compito di stimolare le prestazioni sessuali. Per chiudere un accenno alla musica, anche se il collegamento non va al di la del semplice titolo usato dagli "Isley Brothers", un sestetto di colore che suonava , intorno ai primi anni 80, un magnifico R&B, che portava il nome del famoso cocktail, anche se l'allusione al titolo appare più inerente ad un dolce risveglio alla mattina con la propria compagna...
Il drink nacque ai tempi della guerra fredda ed esattamente nel 1949, infatti il suo nome richiama questo periodo buio, black in inglese, della nostra storia recente. La foto, scattata in quell'anno, si riferisce alla firma del presidente Truman del National Security Act. Questa fase della nostra storia nacque all'indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale e vide contrapposti il blocco comunista filo sovietico e il mondo capitalistico occidentale. Più volte vi furono i presupposti per lo scoppio della terza guerra mondiale, specie in occasione della crisi cubana, ma il buon senso e l'arsenale atomico delle superpotenze funzionarono come deterrente. Il drink fu inventato dal belga Gustave Tops barman dell’Hotel Metropole di Bruxelles, che lo creò in onore dell’ambasciatrice statunitense Pearl Mesta, in visita ufficiale in Europa. La versione White con la panna “on top” si riferisce ai Russi Bianchi che si opponevano ai rivoluzionari rossi bolscevichi. Il cocktail può essere servito in coppa cocktail con la panna "floating" oppure "on the rock" con la panna appoggiata grossolanamente sui cubetti. Specie in Inghilterra la versione Black, può essere servita con un top di Coca Cola, per una versione dissetante ed energizzante.
IMG_36031-1024x768Due le versioni sulla motivazioni della nascita del drink, ma per il medesimo episodio: la morte del principe Alberto, consorte della Regina Vittoria. La prima narra che il mix fu inventato in un pub di Londra, il Brook's Club, inaugurato nel 1764 e tuttora aperto, miscelando la birra scura, la Guinness, bevuta dal popolo e l'aristocratico Champagne, per sancire l'unione empatica fra il popolo e i regnanti, per la dolorosa scomparsa. La seconda versione afferma che in questo modo si voleva "porre a lutto" lo Champagne, colorandolo di nero, per emulare i bracciali di panno indossati dal corteo funebre. La tradizione vorrebbe infatti che il cocktail fosse un classico layer con i due liquidi separati, con la birra a fare da ideale fascia nera. Il Black Velvet rimane, insieme al Lamb's wool (un mix tiepido di mele cotte ridotte principein purea, birra Ale, zenzero, zucchero e noce moscata) bevuto nei freddi inverni inglesi, uno dei pochi esempi di cocktail a base birra, da sempre difficile compagna di  miscelazione per i barman di tutto il mondo. Il cocktail viene anche proposto nella versione "Poor man" eseguito con sidro di mele o con il tipico perry, il fermentato di pere tipico della Normandia (con sui si produce il calvados Domfrontais) e del contee inglesi del Glouster ed dell'Hereford. Il cocktail ha anche una variante prussiana che si dice (fonte Dougla Harper) fosse il preferito di Bismark, fatto miscelando un vino frizzante leggero, un sekt, ed una Schwartzbeer la birra scura tipica di Sassonia. (grazie a Stefano Nincevich. Bargionale anno XXXIII n°6)
blood and sandQuesto cocktail compare per prima volta sul Savoy Cocktail Book, nel 193o. Il nome è chiaramente ispirato al film di Rodolfo Valentino, che nel 1922 è all'apice della sua carriera professionale. Nel film veste i panni del torero Juan Gallardo intrecciando una storia, ambientata a Siviglia capitale della corrida, che ha tutti gli elementi per il successo: amore e morte. Il film muto verrà poi ripreso nel 1941 con il titolo italiano di "Sangue ed arena". Il cocktail non ha elementi che possano ricordare la sua origine spagnola come lo sherry, ma è un classico cocktail dolce tanto in voga in quegli anni. Il gusto dolce dato dallo zucchero era un piacere costoso e poterlo utilizzare nella liquoristica era sintomo di ricchezza e benessere. Il cocktail infatti nasce con pari quantità di cherry brandy e vermouth rosso, che portano uno squilibrio dolce, recuperato negli anni successivi dimezzandone la dose, ed attualizzandolo al gusto moderno. Il cocktail viene menzionato anche nel 1934 da Boothby, viene incluso nel libro "Joy of Mixology" di  Gary Regan e ripreso da Ted Haigh, alias Doctor Cocktail che ne crea la variante più utilizzata la momento. Per quanto riguarda il whisky da preferire un blended o un prodotto non torbato, succo di arancia rossa nostrana e Sangue Morlacco, per continuare a giocare in casa, anche se il cherry Heering è un ottimo prodotto. Il cocktail va shakerato e filtrato in coppa con una scorza di arancia a cui siano stati bruciati gli olii essenziali. (grazie a Stefano Nincevich. Bargiornale anno XXXV n°6)
Questo cocktail porta il nome di Maria Tudor, regina d'Inghilterra, fervente cattolica che fu soprannominata dai protestanti “La sanguinaria” per le violente persecuzioni perpetrate nei loro confronti. La storia ci riporta ben 283 esecuzioni per eresia durante il suo regno. Secondo i primi libri di miscelazione italiani stampati nel secondo dopoguerra, il cocktail sarebbe stato creato negli anni Venti ma nessun autore, da Harry Craddock nel 1930 a Frank Meier nel 1936, cita questo cocktail nelle sue pietre miliari della miscelazione. Quindi questa opzione andrebbe scartata. Dobbiamo avanzare le lancette del tempo a qualche decennio dopo. La tradizione vuole sia stato un barman francese, Ferdinand Petiot, ad inventarlo modificando un precedente cocktail creato da George Jessel. Il barman in questione lavorava al Saint Regis Hotel di New York e fra i suoi clienti c’era l’attore americano. Secondo altre fonti invece non ci sarebbe stata nessuna modifica, ma la ricetta originale sarebbe dello stesso Jessel, come egli stesso reclamò nel suo libro pubblicato nel 1975. La ricetta di quest’ultimo, se fosse vera la versione di Petiot, risalirebbe al 1939 ed era un semplice Vodka e Pomodoro, praticamente in dosi uguali, un pick me up (in italiano potrebbe suonare come tiramisù) usato dalla sua compagnia teatrale, specie dopo estenuanti prove o come dopo sbronza della mattina. Lo sappiamo grazie ad un articolo dello stesso anno pubblicato sul Chicago Tribune, una rivista di gossip tenuta da un amico dell’attore Walter Wichell. Secondo la prima versione, Petiot lo modificò mescolando alla mistura base, così disse in un’intervista del 1964, quattro pizzichi di sale, due di pepe di cayenna, due di pepe nero, una generosa dose di salsa Worchester, succo di limone e un po’ di ghiaccio tritato. Onestamente il barman francese attribuì dei meriti a Jessel, ma reclamò il twist (oggi termine di gran moda) che rese il cocktail immortale e ben più complesso. Il nome, pur riferendosi alla regina, fu un omaggio di Petiot al soprannome di una cameriera irlandese dai capelli rossi, bella ma dai modi piuttosto bruschi, che lavorava al Bucket of Blood Saloon di Chicago. Ma, come in tutte le storie che si rispettino, c’è sempre un colpo di scena o un terzo incomodo. Una terza versione circa l’invenzione del cocktail vede protagonista, potremmo dire ancora una volta, Ernest Hemigway. Dopo Mojito, Daiquiri e Martini Cocktail, lo scrittore americano potrebbe avere avuto un ruolo anche nel Bloody Mary. Nel 1925 soggiornava al Ritz di Parigi per un periodo di vacanza ed ispirazione. Da questa esperienza francese infatti nacque Festa Mobile, un libro che non ebbe molto successo a causa del carattere eccessivamente autobiografico. Sulle sue pagine, più che parlare di Bloody Mary, Hemingway scrisse diffusamente di bevute di birra fresca nei locali di Parigi e del suo profondo rapporto con la prima moglie Hedley Richardson. Lo scrittore americano utilizzava il Petit Bar come suo luogo di ritrovo preferito, insieme ad altri esponenti della Lost Generation, esuli, artisti e scrittori.  Il bar del Ritz diventò successivamente l’Hemingway Cafè, in omaggio al profondo legame che lo scrittore ebbe con la struttura. Si narra che alla liberazione di Parigi, nell’agosto del 1944, uno dei primi clienti ad essere serviti fu proprio Hemingway, accompagnato dal colonnello David Bruce, che diventerà poi ambasciatore degli Stati Uniti in Francia. Fu a causa dello zelo della quarta moglie Mary Welsh, al limite del despotismo, che Hemingway intitolò il drink in questo modo. Un giorno arrivò al bar dicendo che la moglie l'aveva scoperto a causa dell’alito che sapeva di alcol, e che aveva ricevuto un ultimatum, quindi non avrebbe potuto bere nulla. A questo punto il barman Bernard Bertin Azimont propose a Hemingway un long drink con succo di pomodoro e vodka, aromatizzato da spezie che avrebbero coperto l’alito di alcol. Lo scrittore accettò il cocktail di buon grado. Il giorno dopo arrivò raggiante al bar dicendo “Quella maledetta di Mary non si è accorta di niente”, traducibile in “Bloody Mary”. Questo cocktail è da sempre oggetto di grandi discussioni fra barman, nonostante alla fine non sia un best seller al banco (quanto meno se la nostra clientela non annovera qualche anglofono). Le principali discussioni sono legate non tanto alla ricetta quanto alla preparazione, specie dopo l’avanzata del throwing, una tecnica di per sé spettacolare ma spesso usata senza criterio, se non quello di catturare lo sguardo del cliente. In pratica in nome dell’intrattenimento si è finito per annacquare un capolavoro che ha solo bisogno che i suoi ingredienti siano ben freddi. A detta dello scrivente, appassionato di questo cocktail, è sufficiente che vodka e succo di pomodoro siano in frigo e, se proprio vogliamo esercitare il mestiere del barman, possiamo fare un rapido passaggio nel mixing glass con ghiaccio cristallino. L’elemento fondamentale di questo cocktail è la pastosità e la fragranza, e chi ha ben compreso questa caratteristica spesso prepara la base di pomodoro in casa, frullando dei magnifici pachino o piennolo. Esistono numerose varianti. Il più famoso è sicuramente il Red Snapper, codificato poco dopo in un libro del 1941, Cocktail Guide di Crosby Gaiges. Ma anche qui c’è il colpo di scena, poiché la ricetta è esattamente quella del Bloody Mary con vodka. Secondo alcuni il nome sarebbe stato momentaneamente cambiato dallo stesso Petiot per via della volgarità, “bloody” è traducibile in maledetto, che esso portava per i borghesi puritani americani. Sarebbe stato lo stesso Astor, il proprietario dell’Hotel St Regis, appassionato pescatore (“red snapper”, dentice rosso) a decidere il nuovo nome. L’uso del gin sarebbe pertanto postuma e forse risalirebbe a quando il nome del cocktail a base vodka fu ripristinato alla fine del Puritanesimo. Ne abbiamo prova nel 1962, quando il London Magazine ci dice in un suo articolo che il Red Snapper è un Bloody Mary fatto con gin. A questo punto possiamo pensare che siano stati gli inglesi a declinare con il loro distillato nazionale un classico americano. Un'altra codifica, sempre con vodka, arriva nel 1951 da Jack Towsend con vodka, pomodoro, succo di limone ed alcune gocce di angostura, seguita da quella ben più sagace di David Embury nel suo Fine art of Mixing del 1952 che afferma: “Un classico esempio di combinare in una pozione sia il veleno che l’antidoto”, a suffragare la trovata di Hemingway e la fama successiva di “salva sbornia”. Numerose le varianti create nel proseguo della storia: il Bloody Maria con tequila, le cui prime notizie risalgono al 1972; ed il più recente Bloody Geisha con il sake; ed il Brown Mary con whiskey. La variante italiana del cocktail fu sperimentata con successo dallo scrivente nel 2009, aromatizzando una vodka biologica con origano pugliese, eliminando la salsa Worcester. La decorazione era composta da uno stecco dove erano infilzate 5 mozzarelle ciliegine con in cima un peperoncino rosso. A fianco veniva poi posto un ciuffo di basilico. Il nome fu Bloody Margherita, poiché all’aperitivo veniva servito con qualche pezzo di focaccia bianca a contorno a ricordare il profumo della famosa pizza. Circa le fantasie a ricordare piatti di cucina, non manca quella di un bar newyorkese che lo allunga usando l’acqua di cottura delle vongole. Nel film “Cocktail”, l’immortale capolavoro narrante la storia di un barman, divenuto nume tutelare di molti barman acrobatici, si vede il coprotagonista bere spesso il Red Eyes – un mix di succo di pomodoro, birra e rosso d'uovo. Chiudiamo con il ricordo di Freddy King, uno dei più grandi chitarristi blues della storia ed al quindicesimo posto nella classifica di tutti i tempi, che prima e durante i suoi concerti beveva esclusivamente questo cocktail per non perdere tempo a tavola.          
fa-BoulevardierIl cocktail pare sia stato inventato da Harry mc Elhone, uno dei più grandi barman che la storia ricordi, per Erskine Gwynne all’Harry’s bar di Parigi. Il cocktail venne poi scritto e consegnato alla storia dal libro “Barflies and Cocktail”, edito nel 1927. Come Harry, barman americano espatriato durante il proibizionismo in Europa, anche Erskine, scrittore americano espatriato, si trovava a Parigi per lavoro. La sua fama derivava dall’essere il nipote del magnate Alfred Vanderbild e per il fatto di pubblicare un mensile di moda dal nome appunto di Boulevardier. boulevardAmante della mondanità e della bella vita, Erskine non aveva problemi a trovare argomenti da inserire nel magazine. Nel libro di Mc Elhone vi sono alcune pagine dedicate al giornale, fra cui un interessante acrostico dove ogni lettera della parola Boulevardier diventa l'iniziale di distillato, di un cocktail o una soda: Bacardi, Orangeade, Uranite, Lemondade, Evian, Vodka, Absinthe, Rhum. Dubonnet, Ink, Egg Nogg, Rye... Ovviamente non sono gli ingredienti del cocktail, che ne conta solo 3. Il nome, da boulevard, strada in francese, ha un significato di mordace ed acuto, e fu coniato durante la Belle Epoque per definire una persona “di strada” nel senso positivo del termine. In buona sostanza, in maniera abbastanza campanilistica e futurista, ho sempre considerato, quando stavo dietro al bancone, il Boulevardier una "americanizzazione" del nostro Negroni, dove si sostituisce al classico gin, compagno di viaggio del vermouth, il bourbon. Ma questo è ovviamente inesatto poichè a quei tempi il Negroni era lungi dall'essere codificato e nessuno avrebbe potuto farne un twist. Inoltre il servizio è in coppetta, e non nel tumbler con ghiaccio, anche se su altri siti questo servizio errato compare. Per via del recupero della miscelazione classica sta tornando di gran moda fra barman ed avventori.
La nascita di questo cocktail, definito "un classico moderno", risale a metà degli anni 80, ad opera di Dick Bradsell (nella foto), un vero innovatore che ha rivoluzionato con le sue originali proposte la mixologia, e che ha creato il fenomeno dei barman superstar, in grado di influenzare le generazioni a venire. E' stato definito il "Re dei Cocktail" dal giornale Observer, colui che ha rivoluzionato il panorama della miscelazione della scena di Londra e la cui celebrità fu paragonata a quella dei grandi chef che lavoravano nella metropoli. Il cocktail, in base a quanto riferito dallo stesso Bradsell, fu inventato quando lavorava al Fred's Club a Soho, ma fu eseguito costantemente anche nei successivi bar dove lavorò, fra i quali il Match e il Player, riconosciuti capisaldi del bere di qualità della capitale inglese negli anni '80 e '90. Grazie alla meritata fama del suo creatore, questo semplice e geniale cocktail si è guadagnato nel 2011 l' inserimento nei magnifici 60 IBA, a dimostrazione che un drink equilibrato, con pochi ingredienti rimane sempre la cosa migliore. Il drink è attualmente presente in moltissime cocktail list di bar famosi e vanta già alcuni "twist" ed interpretazioni da parte di altri colleghi, perchè è risaputo che l'imitazione è la prima forma di ammirazione.
Un grande classico della miscelazione, codificato tuttora fra i 60 cocktail IBA. Nasce come aperitivo "leggero", per un'intuizione interessante di un barman, che allungò e rese più beverino un Perfect Martini. Il drink deve il nome al famoso quartiere malfamato di New York, abitato per la sua maggioranza da gente di colore. Per l'ennesima volta anche qui ci sono due ipotesi sulla sua origine, la prima afferma che qui sia nato Jhonny Solon, barman del mitico Waldorf AStoria di New York,  l'altra sostiene che l'ispirazione gli venne dopo una sua salutare e divertente passeggiata allo zoo di tale quartiere.
Un cocktail bilanciato, più profumato e morbido del Manhattan, ma che ebbe minor fortuna degli altri intitolati ai distretti di New York. Fu creato su specifica richiesta della Amer Picon, nella speranza che il suo bitter fosse distribuito con successo in America. L'idea era semplice: sostituire il bitter Angostura con il Picon e aumentare la dose di maraschino già presente con la ciliegia di decorazione nel più famoso "cugino". Per dare enfasi al lancio sul mercato del bitter, si decise di chiamare il cocktail Brooklyn, per completare il panorama dei drink, tutti di grande successo, dedicati alla Grande Mela, in assoluto la città più famosa degli Stati Uniti per la qualità della miscelazione in quell'epoca. Nonostante le indubbie qualità di equilibrio e gusto, il drink non fece mai breccia nei consumatori, cadendo ben presto nel dimenticatoio e non fu mai codificato, a differenza degli illustri "cugini", Bronx e Manhattan, a cui si deve aggiungere per dovere di cronaca anche il Long Island.
Il cocktail, nato nel 1920, è il capostipite delle miscelazioni sparkling dove si usa mescolare frutta e vino frizzante. Spesso il suo nome viene associato a quello del Mimosa, altro sparkling cocktail , del tutto simile, nelle dosi e nelle preparazione ai nostri Bellini e Rossini. La ricetta originale infatti, fu variata nelle trascrizioni successive, eliminando gin e cherry brandy, ma l'originale rimane quella di cui sopra, inventata dal barman personale del Capitano Herbert J. Buckmaster. Il capitano conosciuto con il nomignolo di Buck è famoso per essere il primo marito della famosa attrice inglese Gladys Cooper (nella foto), il cui esordio cinematografico risale al 1913, protagonista di oltre 40 film, candidata a svariati Oscar per le sue bellissime interpretazioni a cavallo degli anni 40.  
Il cocktail ricorda da vicino la ricetta del ben più famoso Daiquiri, di cui rappresenta forse la versione popolare, contenendo il ben più economico miele. Come per la Caipirinha, questo dolcificante era spesso usato dai contadini in sostituzione dello zucchero di canna. La data di nascita del drink, dando seguito alla versione storica comunemente accettata, è successiva di appena due anni rispetto al Daiquiri, essendo nato il 20 giugno 1898. Altre fonti riportano che questo cocktail ne sia il predecessore, poichè sostengono che in realtà sia nato nel 1896. La versione ufficiale narra che le truppe del generale americano Shafter erano sbarcate a Cuba nelle vicinanze di Santiago, per dare man forte alle truppe indigene impegnate nella guerra di liberazione coloniale contro la Spagna. Le truppe americane indossavano pesanti uniformi ed erano molto accaldate, fu così che i "manbises" cubani offrirono loro una bevanda locale, dissetante e ricostituente, chiamata cachanchara, composta da rum artigianale, succo di lime e miele. La bevanda energizzante fu molto gradita ai soldati e il suo successo consegnò il drink alla storia. I manbises, i soldati pro-indipendenza cubani, agli ordini del capitano Antonio Maceo, lo utilizzavano per i più svariati scopi, da corroborante per il freddo del mattino, a coraggio liquido in battaglia. Ovviamente il drink nella versione originale andrebbe preparato, messo in frigo e bevuto freddo senza ghiaccio, mentre oggi giorno si usa tradizionalmente del tritato, in stile caipirinha. Si è anche portati a pensare che spesso per dolcificare il drink si usasse succo di canna da zucchero o melassa, mentre l'aggiunta di acqua serviva a dissetare e a rendere meno irruento il rum, la cui gradazione alcolica doveva essere di molto superiore all'attuale. Infatti per la sua preparazione attuale si consiglia una aguardiente secca e piuttosto alcolica, che necessiti della dolcificazione con miele, decisamente più strutturato rispetto allo zucchero. Il nome è avvolto nel mistero anche se in lingua cubana potrebbe indicare un mix di liquidi, nel senso più ampio del termine, difatti i contadini, ben prima della sua nascita ufficiale, lo imbottigliavano e lo portavano nei campi per alleviare le fatiche del lavoro nei campi.
Il drink popolare brasiliano che ha reso famosa la cachaca nel mondo, prende il nome da "caipira" ovvero contadino, essendo che questo cocktail era consumato per la maggior parte dalla gente delle favelas che lavoravano nei campi. Il cocktail fresco, zuccherino e piuttosto alcolico dava un certo sollievo, alleviava le pene e rilassava la mente. Un' altra ipotesi plausibile dice che il nome derivi dallo lievito utilizzato per fermentare il succo della canna da zucchero per ottenere la cachaca, tecnicamente un rum molto rustico. Il distillato ottenuto con melassa esausta è imbevibile liscio, se non previo invecchiamento, da qui forse l'ispirazione per l'invenzione del cocktail, fatto con ghiaccio, lime e zucchero, a mitigare l'irruenza alcolica e la ruvidezza della cachaca. Nella versione originale, oggi di gran moda, si dovrebbe usare il miele per dolcificare, in quanto prodotto povero e facilmente reperibile in natura, poiché lo zucchero di canna, costoso e molto richiesto dal mercato si vendeva, per sostentare la famiglia.
Una cosa è certa : il cocktail nasce in onore del famoso tenore Enrico Caruso, nato a Napoli nel 1873 e morto a soli 48 anni per una pleurite curata male. La cosa difficile è capire dove e quando...Veniamo ai fatti. Nonostante la sua breve vita, fu l'idolo degli appassionati di opera dal 1894 al  1920, e fu il primo cantante a vendere oltre un milione di dischi e ad avere una stella nella Hollywood Walk of Fame. Si dice che il drink sia stato realizzato per la prima volta il 23 novembre del 1903, nel bar del teatro Metropolitan di New York, dove il famoso cantante esordì interpretando il Rigoletto. Superata l'emozione della prima, finita la rappresentazione, scese al bar fra il pubblico per raccogliere i complimenti. Il grande tenore si soffermò alla buvette e forse qui sorseggiò il cocktail creato in suo onore. Altri sostengono che il drink sia nato al Knickerboxer di New York, dove il tenore soggiornò durante la sua permanenza in America. Il Caruso potrebbe essere nato come cocktail da dessert ed essere stato servito a lui, come ottimo dopo cena. Un' altra versione afferma che il cocktail fu creato da un barman cubano, fan del tenore, all'Hotel Sevilla a Cuba, durante un soggiorno vacanza di Caruso sull'isola caraibica. In tempi recenti anche Lucio Dalla ha dedicato una canzone al grande tenore, che per primo portò la musica e lo stile italiano nei teatri di mezzo mondo.
Il drink a base Champagne per antonomasia, il capostipite di tutti i cocktail sparkling che si inventeranno nel secolo successivo. Il cocktail nasce nel 1889, secondo una prima fonte, ad opera di un giornalista americano che organizzò e vinse una gara di miscelazione con i suoi colleghi di carta stampata di New York. Mr Dougherty, si aggiudicò il premio con questa ricetta sfruttando un' intuizione tutto sommato semplice... aggiunse del Cognac , già presente nello Champagne nella "liqueur d'expedition" e dello zucchero, presente nella "liqueur de tirage", finendo il tutto con un elemento amaricante e aperitivo come l'Angostura. Il drink ebbe immediata fama e nei primi anno del 1900 fu vera moda e determinò il boom di vendite dello Champagne negli anni '30. Alcuni, invece che il Cognac o brandy, aggiungono il Grand Marnier, di fatto un Cognac aromatizzato con le arance amare delle Antille, che dona delicati sentori agrumati al cocktail che diventa decisamente più elegante. Il successo del drink in quel periodo è anche testimoniato dallo scrittore americano Ernest Hemingway, che lo cita nel suo libro "Addio alle armi" edito nel 1929.
La prima epoca d'oro dei cocktail, quella della massima creatività, fatta e concepita con pochi ingredienti, dove la bravura del barman era fondamentale, corrisponde per certi versi anche all'epoca migliore del cinema, quello pionieristico dei film muti, dove il carisma e la capacità di recitazione dell'attore era alla base di tutto. Così come Mary Pickford ebbe il suo cocktail per celebrarla, cosi Charlie Chaplin ebbe il suo drink dedicato sicuramente da un barman amante dei suoi indimenticabili film, fra cui "Tempi Moderni" e il "Grande dittatore" dove dimostrò il suo grandissimo talento. La presenza nella ricetta dello sloe gin, presenta, in Italia, qualche indice di difficoltà nel replicare il cocktail, infatti sono poche le aziende distributrici di gin ad importare nel nostro paese la versione aromatizzata con le tipiche prugne inglesi, utilizzata come digestivo sulle tavole d'oltremanica. Nel nostro recente passato anche in Italia , erano decine i produttori di liquori alla prugna.
Un ottimo drink aperitivo, elegante e raffinato come l'hotel da cui prende il nome, il Claridge, un super lussuoso albergo di Londra, dalla storia centenaria all'interno del quale hanno alloggiato Re e personaggi famosi, edificato nell'esclusivo quartiere londinese di Mayfair. Seguendo una moda di inizio '900, il barman creò un drink, codificato ed utilizzato come cocktail della casa, per rendere esclusivo il soggiorno dell' ospite, in modo da divulgare il nome dell'hotel, qualora il cliente avesse gradito la miscelazione. Il successo non tardò ad arrivare tanto che il drink fu codificato nel 1961 fra i 100 cocktail mondiali IBA e fece la sua comparsa in parecchie carte dei menù di alberghi esclusivi, fra cui il Principe e Savoia di Milano. Il successo però non fu durevole e il cocktail venne escluso nelle edizioni successive, fermo restando che se proposto ad una clientela attenta, il drink dimostra tuttora un' inaspettata attualità.
statehouse“Who enters here leaves care behind, leaves sorrow behind, leaves petty envies and jealousies behind.” Questo è il motto bellissimo del "Clover Club, il club del trifoglio, l'esclusivo locale dell'Hotel Bellevue-Stratford di Philadephia,  dove erano soliti trovarsi le persone in vista della città per potersi godere una bevuta in santa pace dopo gli impegni lavorativi. Qui si riunivano anche, una volta al mese, i giornalisti della città per discutere, bere e mangiare. Le riunioni andarono avanti ininterrottamente dal 1882 al 1920. Il club nasce in ambiente culturale effervescente ed in periodo storico irripetibile, che vede la nascita del cinema, dell'aviazione e dell'elettricità nelle vie cittadine. cloverclubIl mix era sicuramente il cocktail della casa inventato dai barman che lavoravano nel club ed era la loro firma. Il gin ovviamente la fa da padrone come base alcolica e non potrebbe essere quasi diversamente visto il ruolo egemonico che aveva questo distillato nel periodo, dove però perde il suo compagno ideale di viaggio, il vermouth, in luogo del succo di lampone, una altro must americano di cui però si è perso l'uso. Il cocktail viene definito come un "all day" in considerazione della sua carica alcolica bassa (confrontata con i pari dell'epoca ovviamente), e della sua dolcezza. Nel 1941 la rivista Esquire lo definisce soprattutto un drink per donne (attirando le ire di quelle donne che sono stanche di sentirsi dire che le donne bevono dolce e poco alcolico). Ma la verità per una volta è questa. La schiuma setosa, il colore che tende al rosa a secondo della quantità di lampone (una storia analoga al Cosmopolitan ed all'uso del cranberry...) ne facevano il cocktail ideale per le prime signore del club. Non è infatti un mistero che questi club fossero per soli uomini e che fu la signora Boldt, moglie del titolare, a volerne la sua apertura anche al gentil sesso. Il cocktail è assolutamente un protagonista della letteratura dei cocktail. Viene citato dai libri "Drink-how to mix and serve" di Paul E. Lowe del 1909 e nel "The Old Waldorf Astoria Bar Book" di Albert.S. Crocket. Dopo un periodo di oblio ricompare nel 1961 nel ricettario Iba ed ha la sua consacrazione nel 2011 quando viene inserito negli Indimenticabili della lista internazionale. (grazie a Stefano Nincevich. Bargiornale XXXVI n°4)
Sull'origine del Martini Cocktail, un’icona della miscelazione, sono stati spesi fiumi di inchiostro su quale sia la ricetta originale ed il metodo di preparazione corretto. La sua fama è innegabile, tanto da pensare che possa essere il coprotagonista di molti film, dalla fortunata serie di James Bond ai film “Il grande Gatsby” e “L’Appartamento”. Le ricette di Harry Johnson (“Bartender’s Manual”, 1900) Il cocktail nasce probabilmente alla fine dell’Ottocento, essendo stato codificato da Harry Johnson nel suo “Bartender’s Manual” del 1900, dove troviamo due ricette. E qui capiamo come il vezzo dell’Agente 007 sul Martini agitato e non mescolato non sia propriamente originale, e come la regola secondo cui il vermouth non si shakera sia tutto sommato recente e opinabile. La prima ricetta del Martini Cocktail è mescolata, mentre la seconda, il Bradford à la Martini, è shakerata. Entrambe hanno pari quantità di Old Tom Gin e vermouth. Di quest’ultimo non viene indicata la qualità, se un Torino (dolce) o un French (secco). Prima di agitare nello shaker o mescolare nel mixing glass, si versavano alcune gocce di orange bitter. La decorazione era un’oliva. La ricetta di Frank Newman (“American-Bar, boissons anglaises et américaines”, 1904) Una seconda codifica si trova nel testo di Frank Newman, “American-Bar, boissons anglaises et américaines”, pubblicato nel 1904 a Parigi. La ricetta è ancora una volta fatta di pari quantità di vermouth, questa volta vermouth di Torino (dolce), e gin. Questo particolare avvalora le affermazioni di alcuni barman del passato, uno su tutti il grande Angelo Zola, secondo cui l’attuale formula, eccessivamente secca, non sia aderente o sia una deformazione recente rispetto alla storia del cocktail. Nel mixing glass si versavano, prima di rimescolare, tre gocce di Angostura. Il bicchiere, ben freddo, si guarniva con uno zest di limone ed un’oliva, che poteva essere sostituita da una ciliegia al maraschino. La ricetta di Ferruccio Mazzon (“La guida del barman”, 1920) Una conferma sull’uso del vermouth dolce ci arriva anche da “La guida del barman” di Ferruccio Mazzon, del 1920. Nel capitolo dedicato ai cocktail, fa bella mostra di sé un Martini Cocktail prodotto con vermouth di Torino, Old Tom gin e gocce di Angostura, decorato con scorza di limone. La ricetta di Robert Vermeire (“Cocktails: how to mix them”, 1922) L’abbinamento tra marca di Vermouth e cocktail viene proposto per la prima volta da Robert Vermeire nel 1922, nel suo “Cocktails: how to mix them”. L’autore infatti sottolinea come il cocktail debba essere sempre preparato con vermouth di casa Martini e Gordon gin. La ricetta inizia a divenire più secca, con una dose di 2 a 1 a favore del distillato inglese. La decorazione è sempre una scorza di limone. Ancora una volta, non viene indicato se il vermouth sia secco o dolce, e sapendo che Martini lanciò il suo vermouth secco esattamente a Capodanno del 1900 possiamo solo fare delle supposizioni. Nella ricetta seguente, il Medium Martini, il cocktail viene “tagliato” con un vermouth francese secco, mentre lo Sweet Martini ha pari quantità di vermouth Martini e gin, pertanto possiamo pensare che fosse dolce anche il primo. La ricetta di George Pillaert (“Le bar américain cocktails”, 1935) Ad ingarbugliare ulteriormente le cose arriva nel 1935 il libro “Le bar américain cocktails” di George Pillaert. L’autore riporta una ricetta chiamata Vermouth Cocktail, con pari quantità di vermouth Martini Dry e Gordon Gin, mentre alla voce Martini Cocktail troviamo pari quantità di Noilly Prat Dry e Gordon Gin. Ne deduciamo che il mondo del bar fosse quanto mai frazionato ed in mano alle interpretazioni personali. Motivo per cui nel Dopoguerra arriveranno le codifiche IBA (International Bartender Association), con i 50 cocktail la cui ricetta sarà ufficializzata da una pubblicazione. Origine del nome “Martini” Come sappiamo, “Martini” è anche il nome di un noto vermouth torinese, ma nelle ricette iniziali non ne viene mai citata la marca, mentre la parola “Dry” è evidente sia un’aggiunta successiva, quando si prese ad usare questa tipologia di vermouth, tipica della tradizione francese. Alla luce di quanto letto, sembra ormai priva di significato la teoria del barman Martini, inventore di questo mix presso il Knickerbocker di New York nel 1906, dove servì nientemeno che John D. Rockefeller con questa delizia. Per altri autori, il nome del barman era il ligure Queirolo e il nome Martini era quello della madreInfine, per altri ancora, vista la somiglianza di ingredienti con il cocktail Martinez, il Martini ha avuto vita grazie ad un lieve cambio di ricetta ed alla storpiatura del nome nella trascrizione inglese-italiano. Martini agitato o mescolato? La questione legata alla preparazione si trascina per tutti gli anni Venti fino ai Quaranta. Robert Vermeire sostiene che il classico Martini venga mescolato, ma che in America ci sia l’abitudine di shakerarlo. Questo fino ad arrivare a Grassi, che nel 1936 propone cinque ricette di Martini, tutte agitate, riportando i nomi dei relativi autori. Il barman del Caffè Argentino di Lugano sostiene che senza questa pratica il barman produca, con il solo cucchiaio, dei miscugli e non dei cocktail. La tesi dello shaker come unico strumento di lavoro è sostenuta anche da Embury nel 1948, nel suo “The fine art of mixing drinks”. La questione viene poi definitivamente risolta nel 1956 da Ian Fleming, che fa bere un Martini shakerato a James Bond nel film “Una cascata di diamanti”. La decorazione Parliamo adesso della decorazione. Lo zest di limone appare abbastanza scontato per il periodo, complemento ideale del vermouth, poco costoso e disponibile tutto l’anno a qualsiasi latitudine. Più originale l’oliva, presente anche nella prima versione, che in seguito divenne da facoltativa quasi obbligatoria. Il cambio potrebbe essere spiegato con l’avvento del vermouth francese. Il Noilly Prat, prodotto a Marsellaine in riva al Mar Mediterraneo, si caratterizza per note iodate e sapide, dovute all’invecchiamento in botti esposte alla salsedine. Pertanto l’oliva era il perfetto complemento, così come nel Dirty la sua salamoia. Chiudiamo citando il maestro Mauro Lotti: “Non esiste il Martini perfetto, ma c’è un Martini per ognuno di noi. Basta solo scoprire quale sia”.
Il Corpse Reviver (1 e 2) sono due versioni di un fortunato cocktail citato da Harry Craddock nel Savoy Cocktail Book. Il drink ebbe enorme fortuna dalla fine dell' 800 agli inizi del '900, per poi finire nel dimenticatoio all'inizio del Proibizionismo. Il nome che potrebbe essere tradotto in "Resuscita Cadaveri" nasce come cocktail mattutino, da bere dopo le abbondanti libagioni della sera prima, riprendendo una vecchia regola inglese che afferma che l'"Hang over" ovvero il terribile mal di testa post sbornia, passi immediatamente se si ha il coraggio di bere nuovamente.. Tesi ripresa anche nel film "Cocktail" con Tom Cruise dove spesso viene preparato il "Red Eye" semplice mix con birra, uovo fresco e succo di pomodoro, all'indomani di sbornie colossali alla chiusura del bar. Il Corpse Reviver è vera e propria bomba alcolica e sembra decisamente più indicata come aperitivo serale o come ottimo after dinner, ma Craddock scrive nei consigli di somministrazione :"Questo cocktail andrebbe bevuto prima delle 11 di mattina o comunque in ogni occasione si necessiti di energia". Per una volta credo che non ci si trovi d'accordo con Mr Craddock.
Il Corpse Reviver N°2 risulta essere un cocktail decisamente più equilibrato e piacevole, infatti dei due fu quello maggiormante gettonato, anche se anche lui dovette piegarsi alle dure regole del Proibizionismo. Il dosaggio degli ingredienti deve essere assolutamente perfetto, poichè l'equilibrio è veramente precario, sopratutto per l'aspetto legato al succo di limone. La presenza dell'Americano Cocchi viene suggerita da J.Wilson, un esperto di mixologist americano, che sostiene che la scomparsa del Kina Lillet possa avere degno sostituto nel prodotto della famosa azienda di Cocconato (in Italia è anche decisamente più facile reperire quest'ultimo, che il nuovo Lillet Blanc, che ha sostituito il vecchio prodotto). Le gocce di assenzio vanno depositate nel bicchiere precedentemente e con un abile rotazione di esso vanno fatte aderire al bicchiere, per sviluppare l'intenso profumo erbaceo, che si completa con il vermouth. Craddock, nei suoi consigli di utilizzo, afferma che il drink va bevuto, come il precedente, come rinfrescante mattutino, ma ammonisce che " Se si bevono quattro di questi in stretta sequenza, si ottiene il risultato opposto". Tradotto in lingua originale: " Unrevive the corpse again " Non ne avevamo dubbio, Mr. Craddock....
Il drink nasce all'interno della comunità gay di Province Town, nel Massachusset con il nome di Stealth Martini, il colore rosa dato dal cranberry serve a diversificarlo dagli altri Martini's e per dare un tocco femminile al "Re dei cocktail". Esiste una leggenda molto divertente al proposito. Si dice che la dose di cranberry fosse a mano libera, infatti il barman doveva versare delle gocce di succo fintanto che il cliente non esclamava con un urletto "Ma che bel rosa!!"...Nel 1970 sempre in questo locale il drink venne ripreso e riveduto e il suo nome cambiato in Cosmopolitan. Il drink venne abbandonato in fretta, come tutte le mode, ma venne ripreso da Cheryl Cook che lo propose allo Strand di Miami per lanciare le prime bottiglie di Absolut Citron, una delle prime voodke aromatizzate del mercato. Il drink ebbe anche le attenzioni di Dale de Grooft e Tony Cecchini, che lo rielaborarono aggiungendo il Cointreau e uno squeeze alla fiamma di scorza di arancia fresca all'interno del bicchiere. Questa innovativa tecnica, mai adoperata prima da un barman, cambiò per sempre i profumi del cocktail che permetteva di aumentare i sentori agrumati con gli oli essenziali liberati e bruciati dalla fiammella. Il drink ebbe la sua consacrazione definitiva quando Madonna lo adottò come suo drink preferito, seguita a ruota dalle ragazze di "Sex and the City"(nella foto), la divertente sit comedy americana di grandissimo successo. Nel 2003 il Cosmopolitan compare in "Terapia d'urto" il divertente film che vede fra gli altri, un Jack Nicholson inedito nei panni di uno psicologo svitato. Il Cosmo viene bevuto da un avvenente e piuttosto acida, ragazza bionda al bar, mentre il protagonista, impersonato da Adam Sandler, cerca di fargli una singolare corte, suggerita dallo psicologo.
L’intervento militare degli Stati Uniti nella seconda guerra di indipendenza cubana (1895-98) conosciuta come guerra ispano-americana è il vero artefice della nascita del Cuba Libre. I soldati americani per festeggiare con i patrioti cubani la vittoria sull' esercito spagnolo, decisero di creare un cocktail originale e simbolico unendo la Coca Cola, icona americana e il rum cubano. In verità, sembrerebbe che la storia vera sia meno intenzionale e che quella appena narrata sia la versione "romantica". Siamo nel 1898, all'indomani della liberazione e un gruppo di ufficiali americani ordina dei chupito di rum e della Coca Cola per accompagnare la bevuta, decidendo, ad un certo punto, chissà per quale illuminazione divina, di mischiare i due prodotti, chiamando il risultato ottenuto "Cuba Libre" in onore della vittoria appena raggiunta. Un'altra ipotesi, ancora meno poetica, vorrebbe che il cocktail sia nato casualmente, ad opera di un cliente sconosciuto che trovando troppo forte e secco il suo Daiquiri, abbia chiesto al barista di allungarlo con della Coca-Cola...in considerazione del risultato e del successo fu replicato dal barista, diventando uno dei cocktail più bevuti al mondo. Ai giorni nostri questo drink non sancisce più un'alleanza ispano-americana, anzi ha una valenza politica totalmente diversa, fino a poco tempo fa a Cuba, si dice che fosse preparato esclusivamente con la Pepsi Cola, poiché la Coca Cola era il simbolo dell’imperialismo e del colonialismo americano.
Nome altisonante per un classico della miscelazione internazionale. Con Czarina, si intendeva la figura monarchica femminile, la moglie dello Zar, nella Russia prima della Rivoluzione Bolscevica. Con molta meno etichetta, ma con un buon senso dell'umorismo, un barman americano diede questo nome altisonante ad un drink che vide la sua nascita presumibilmente nei primi anni cinquanta, in piena Guerra Fredda. Il cocktail fu quasi coetaneo del Black Russian, vero apripista della miscelazione a base vodka . Il distillato russo, avversato fino a poco tempo prima, iniziava a muovere i primi passi in Europa e in America, per poi essere completamente "sdoganato" nel 1953 da Ian Fleming il celebre scrittore inglese, creatore di James Bond e dal successo del Moscow Mule. Il drink ebbe un ottimo consenso, specie come aperitivo e vide anche la sua codifica a livello internazionale nel 1961, quando fu iscritto nella lista dei 100 Cocktail IBA. Come il Claridge, altro drink che vedeva fra i suoi ingredienti il vermouth e apricot brandy, lo Czarina fu poi escluso da tale lista, rimanendo comunque abbastanza richiesto fino agli inizi degli anni 90. Oggi grazie al rinnovato successo della vodka potrebbe essere efficacemente riproposto in molti bar all'ora dell'aperitivo.  
Il drink è datato 1896 e pare sia stato inventato da due ingegneri minerari americani tali Cox e Pagliughi che lavoravano a Cuba. Un giorno imprecisato di quell'anno, erano in attesa di un grande capo in visita alla miniera di ferro e decisero, vista l'importanza dell'ospite, di servire un cocktail di benvenuto. Avendo solo del rum di qualità dubbia, non potevano servirlo liscio, a questo punto miscelarono dentro una boule le uniche cose che avevano: lo zucchero di canna, il succo di lime e del ghiaccio. Il cocktail piacque molto e quando si trattò di decidere il nome, la scelta ricadde su quello della magnifica spiaggia nelle vicinanze della miniera, chiamata appunto Daijquiri. In realtà sembrerebbe che il drink fosse già stato sperimentato in precedenza dal sig Cox, il quale si dilettava in esperimenti di miscelazione durante le sue ore libere per allietare le ore passate in compagnia dei suoi amici. Un giorno ricevette la visita del sig Pagliughi al quale fece assaggiare la sua mistura, che tanto successo aveva fra i suoi amici. Alla domanda di Pagliughi di come si chiamasse il drink, Cox rispose che tecnicamente era un rum sour, nome triste per così delizioso cocktail. Decisero quindi, di comune accordo, di chiamarlo come la splendida spiaggia. Una ulteriore versione, datata 1898, la stessa del Cuba Libre, sostiene che l'inventore sia un marine americano che ordinò in un bar del rum con succo di lime per dissetarsi, non trovandolo di suo pieno gradimento chiese al barista di aggiungere dello zucchero, creando di fatto il mix che battezzò, Daijquiri, trovandosi il bar sulla spiaggia omonima. Qualunque sia la paternità, il drink ebbe cosi successo che, negli anni successivi, l’ammiraglio Jonhson della Marina Militare Americana, lo adottò come drink ufficiale, tanto che il lodge a Washington ha una targa al suo ingresso, a ricordare i due ingegneri, suffragando così la prima tesi... Anche Hemingway contribuì non poco al successo del drink bevendone svariati litri al bar “ Floridita”. Storica la sua frase : “Mi Mojito alla Bodeguita, mi Daiquiri alla Floridita”. Oltre che al successo popolare contribuì anche alla modifica momentanea della ricetta. L'aggiunta del maraschino, ora eliminato nelle codifiche, fu un'azzeccata richiesta del grande scrittore ai barman cubani della Floridita. La sua convalescenza nel nord est italiano, per guarire dalle ferite riportate nella Grande Guerra, lo porterà a scoprire il liquore di origine dalmata oltre che la grappa. La sua continua ricerca del rischio e il suo idealismo lo porteranno a partire volontario per il fronte italiano, addetto alla guida delle autombulanze.(foto dx). Qui sarà ferito da una bomba di mortaio, a Fossalta di Piave, la sera dell'8 luglio 1918. Il grande scrittore fu un assiduo frequentatore dei bar di Cuba durante la stesura del "Il vecchio e il mare", il libro capolavoro che gli diede fama e riconoscimenti, fra cui il Nobel per la letteratura. Il libro tratta della struggente storia di un vecchio pescatore, Santiago, che ripreso il mare dopo un periodo poco fortunato per la pesca, cattura dopo una strenua lotta un marlin (un pesce spada oceanico). Vista l'enorme mole del pesce, è costretto a legarlo a bordo barca, ma tale soluzione obbligata, attira gli squali, che dilaniano la preziosa preda, morta così invano. A Santiago rimane così il solo simbolo della sua vittoria, la lisca del gigantesco pesce, che può mostrare malinconicamente al suo rientro nel porto. La fiera lotta contro gli squali e gli elementi della natura, da cui esce sconfitto, sono però l'occasione per far scoprire nuovamente al pescatore i valori del coraggio e farlo meditare sul significato della vita e della morte.  
Questa ricetta, molto in voga alla Floridita, ci viene tramandata come "Papa Doble" o "Hemingway Special" poichè pare fosse una variante molto gradita da Hemingway. "Papa" era il soprannome con cui amava farsi chiamare lo scrittore, il cui spirito narcisistico era noto, mentre "doble" richiama le dosi del drink... Dalle fonti non si riesce a risalire se la ricetta sia stata inventata dallo scrittore o se sia stato il barman a "cucirgliela addosso", in base alle sue richieste. Infatti il grande scrittore, diabetico, ma sopratutto amante dei cocktail secchi, potrebbe aver chiesto al barman di non mettere del tutto lo sciroppo di zucchero. La cosa certa è che lo bevesse nella versione "doppia" a guisa di dissetante, con 6 cl di rum, 2 cl maraschino, 3 cl di lime e 3 di pompelmo da cui l'aggettivo doble... una sfida alla sua malattia e al suo fegato malconcio. La voglia di oltrepassare il limite che caratterizzerà la sua vita, fatta di episodi estremi ed alcolismo non lo porterà comunque alla morte. Le ferite riportate in guerra o in incidenti aerei (foto sx) non saranno che l'anticamera della depressione e delle manie di persecuzione, che lo porteranno al suicidio, eseguito con un colpo alla tempia, il 2 luglio 1961.  
Un drink codificato dal Savoy Cocktail Book, di Harry Craddock, presumibilmente inventato alla fine dell'800, come dimostra la sua trascrizione nel mitico "Cocktails Boothby's American Bartender" del 1891, un libretto con 361 ricette e trucchi del mestiere. Il drink è senza dubbio figlio di questo periodo, avendo pochi e conosciuti ingredienti, ma ha nella decorazione data da due zest, uno di limone e l'altro di arancio, un piccolo elemento di innovazione, come la presenza del Cointreau, invece dell'onnipresente Orange Bitter. Il nome Dandy, sembra pertanto appropriato, derivando da un movimento di pensiero innovatore ed eccentrico, coetaneo alla nascita del drink che ebbe il suo massimo sviluppo agli inizi del 1900. Non ci è dato comunque a sapere se i "seguaci" di tale movimento fossero consumatori di questo drink o se il nome sia stato dato per semplice abbinamento di idee. Con Dandismo si intendeva un uomo ricercato nell'eleganza sia di linguaggio che di abbigliamento, originale, talvolta eccentrico e provocatorio nelle scelte, con un animo artistico superiore, che scaturiva in un netto rifiuto snobbistico per le masse e l'omologazione, da cui si difendeva chiudendosi nel suo mondo fatto di oggetti ricercati. Uno degli esponenti di massimo spicco del movimento fu Oscar Wilde, celebre scrittore irlandese noto per i suoi aforismi e paradossi, dalla vita piuttosto intensa e eccentrica, mentre in Italia abbiamo Gabriele d'Annunzio che suggellò le sue convinzioni nel libro "Il Piacere".
220px-goslingsdns1Il mistero del triangolo delle Bermude alimenta da sempre la fantasia degli uomini, in considerazione delle misteriose sparizioni di navi e aerei durante le tempeste. Questa parte di Oceano delimitata dai 3 vertici, Miami, San Juan de Portorico e Bermuda, si è ormai guadagnata questa triste nomea, anche se nessuna ricerca ha avvalorato le tesi fantasiose susseguitasi all'uscita del libro di Charles Berlitz, e del successivo film del 1974. I barman, che sono vittima della loro creatività, come ebbe a dire il sig. Lotti, non potevano non sfruttare sì tanta occasione ghiotta. Infatti un barman non meglio conosciuto delle Bermude, ha avuto l'idea di inventare un cocktail che si ispirasse al Buio & Tempestoso degli uragani tipici della zona. Non possiamo anche escludere una dedica al celebre passo di Edward Bulwer-Lytton che recitava nell'incipit della novella "Paul Clifford" le parole: "It was a dark and stormy night". La frase edita nel 1830, diventerà il tormentone iniziale dei romanzi di Snoopy, il cane di Charlie Brown, un film di Alessandro Benvenuti e sarà variamente omaggiata da Dumas ed Eco nel "Nome della Rosa". Tornando al cocktail, questo può essere eseguito solo con il rum locale Black Seal, la cui curiosa storia è ben spiegata nel capitolo dedicato, considerato che il nome è stato registrato dalla distilleria e successivamente codificato in questa maniera dalla IBA. La ricetta ha subito comunque qualche modifica nei paesi sudamericani a partire dal nome "Oscuro y Tormentoso" e con l'uso di rum locali, succo di lime e soprattutto aggiunta di zucchero. (grazie a Stefano Nincevich. Bargiornale anno XXXV n°7)
Ennesimo omaggio di Hemingway al mondo della miscelazione. Questo cocktail semplice, trae ispirazione dal famoso e contestato libro dal titolo omonimo dello scrittore americano. Il libro è di fatto un'esaltazione della corrida, che da sempre divide le opinioni della gente spagnola. Hemingway sostiene che ogni cosa capace di alimentare grandi passioni in suo favore, avrà la medesima spinta contraria. Hemingway vede la corrida come un'allegoria della vita, come un sottile gioco fra la vita e la morte, mentre la critica lo liquiderà come un saggio inutile, sfoggio di machismo, violenza e crudeltà. Hemingway vede invece nel torero una sorta di sacerdote che officia un rito dell'immortalità tramite la morte del toro. La sua passione nasce nel 1920 a Pamplona, dove viene celebrata la famosa festa con la corsa folle con i tori, l'"Encierro", per le vie della città, che termina con una grande corrida. Lo scrittore rimarrà per tutta la vita legato a questa tradizione e vorrà, anche in punto di morte, recarsi in Spagna per assistere ad una corrida dei suoi amici toreri, Dominguin ed Ordonez. La ricetta del cocktail è alquanto lacunosa ed empirica, in quanto lo scrittore scrive "Pour one jigger of absinthe into a Champagne glass. Add iced Champagne until obtain the proper opalescent milkiness. Drink three to five slowly.." La ricetta potrebbe essere stata eseguita con Pernod, ma non ci sono note a riguardo. Il nome del cocktail è postumo, in onore del suo inventore.  
Questo Martini non è sicuramente elegante come il Vesper, ma anche lui ha avuto il suo momento di gloria grazie al film "Iron Man", infatti Antony Stark, il magnate godereccio e donnaiolo, ne è un grandissimo estimatore, nella versione con la vodka, già lanciata da Hollywood ai tempi James Bond, come semplificazione del Vesper Martini. Altra citazione Hollywodiana nel film "L'ombra dell'anima" con Jodie Foster, il toccante film che la vede nei panni della vendicatrice del delitto del suo ragazzo. La realizzazione del drink è piuttosto semplice e vede l'aggiunta della salamoia delle olive al cocktail nella misura di mezzo centilitro o più, a seconda dei gusti del cliente, per donare sapidità al drink. Da questa aggiunta, poco elegante, deriva il termine "dirty" (sporco), poichè nella salamoia, se non filtrata, stanno in sospensione piccolissime parti di olive e tracce oleose. Esistono altri tipi di Dirty Martini nati successivamente a questo, il più famoso probabilmente è l'Oyster che prevede l'utilizzo dell'acqua salata proveniente dall'apertura dei pregiati molluschi. In questo caso l'uso del Noilly Prat, prodotto in riva al Mediterraneo, a Marseillane, nel sud ovest della Francia, sembra essere il completamento ideale. Le sue botti sono messe a maturare esponendole alla salsedine del vento di mare, pertanto il prodotto guadagna interessanti sentori iodati. In loco, inoltre, è d'uso accompagnare questi ottimi molluschi con un calice ghiacciato di questo vermouth dry.
Un grande classico della miscelazione d'altri tempi, codificato per lungo tempo nei 60 cocktail IBA, nella cui lista entra nel 1987. Attualmente la richiesta del drink sta diventando sempre più sporadica, forse per una certa stanchezza del consumatore verso i drink con distillati invecchiati. Il French Connection mantiene comunque intatto il suo fascino per l'eleganza dei suoi ingredienti. Il cocktail molto esclusivo ed alcolico nasce durante una riunione di baristi francesi ed italiani della neonata IBA, che si tiene proprio sul confine dei due stati, a Briancon. La commissione è presieduta da mr. Alan Ghandour per i francesi e da Luigi Parenti per l'Italia ed insieme creano questo cocktail a sancire la buona riuscita dell'incontro. La ricetta è composta da due ingredienti simbolo delle due nazioni , la base alcolica, il Cognac richiama l’eccellenza francese della distillazione, l'aromatizzante, l'Amaretto di Saronno il liquore italiano più venduto e conosciuto al mondo. Il nome French Connection è una arguta citazione della famosa organizzazione criminale mafiosa corso-francese, attiva negli anni '50 e '60. Composta per la maggior parte da mafiosi di origine corsa ed italiana era dedita al traffico di eroina con gli Stati Uniti e la sua sede era Marsiglia, città icona della malavita transalpina. In qualche modo, dimostrando buona ironia, si voleva fare il verso agli americani che antecedentemente avevano creato un altro cocktail ad ispirazione criminale con whiskey e Amaretto di Saronno, il Godfather, traendo ispirazione dal famoso padrino mafioso di Corleone. Altre fonti riportano che l'invenzione del cocktail possa essere avvenuto per prima in America, per gli stessi motivi di cui sopra, quando si diffuse la moda dei "gangster drink".  
Un altro grande classico della miscelazione, codificato all'interno dei 60 classici IBA. Il drink è in onore dell'eroe dei Due Mondi e dell'artefice dell'Unità di Italia, che proprio nel 2011 vede il suo 150° anniversario. Il colore richiama le camicie rosse dei garibaldini ed è una saggia e simbolica unione dell'Italia, a partire dai due ingredienti del drink, il milanese Campari e le arance rosse, per le quali la Sicilia è conosciuta nel mondo. Il nome del suo creatore non è dato a sapersi, nè il luogo della sua creazione, quello che è certo che il drink, mai come del 2011, andrà riproposto e pubblicizzato. Seppur nella sua semplicità, il Garibaldi rimane sempre un ottimo drink dissetante. La sua versione con arance gialle si chiama Campari Orange e recentemente si è vista una sua versione attualizzata, nello spot televisivo della recente campagna pubblicitaria della multinazionale.
Ennesima variazione sul tema del Martini Cocktail. Il mix è decisamente secco e si avvicina alla versione nota come Hemingway. L'elemento d'innovazione che lo differenzia dall'illustre declinazione è la decorazione, ovvero una cipollina in agro dolce. Il drink ha numerose leggende riguardo la sua creazione, tutte decisamente interessanti. La prima sostiene che il drink fu inventato al Player's Club di New York, per l'artista americano Charles Dana Gibson, un grafico noto per la creazione della Gibson Girl, un'iconografica rappresentazione della bellezza americana. L'artista sfidò il barman del locale, tal Charlie Connolly, ad incrementare le qualità del tanto rinomato Cocktail Martini alla Hemingway. Il compito arduo fu presto risolto dal brillante barista. La sua risposta fu che non si poteva migliorare una ricetta perfetta, pertanto variò la sola decorazione. Non è dato sapersi se l'affermazione del barista sulla decorazione fuori programma sia stata un'invenzione totale, visto che era rimasto senza olive, poichè si dice che l'unico modo per migliorare un Martini sia di metterne due. Una seconda versione dei fatti afferma che il pilota della Raf Guy Gibson doveva volare nella notte del 16 maggio 1943 sui cieli della Germania, per una pericolosa missione di bombardamento. I 19 bombardieri Avro Lancaster avrebbero dovuto distruggere le dige dei fiumi Mohne e Eder, per allagare i territori tedeschi ed evitare l'invio di rinforzi. Gli aerei erano dotati di nuove "bouncing bomb" sorta di bombe rimbalzanti, che avrebbero sfiorato la superficie dell'acqua per schiantarsi sulle dighe. Ne occorsero tre per compiere la missione ed è per questo motivo che, una volta tornati a casa, il pilota, estimatore del Martini Cocktail, decise di festeggiare mettendo tre cipolline all'interno del suo drink, consegnandolo alla storia della miscelazione. Una terza versione dei fatti ci riporta di uno zelante ed astemio funzionario statale di nome Gibson che, per evitare di ubriacarsi, durante i cocktail party dei colleghi chiedeva ai barman di riempire d'acqua fresca la sua coppa cocktail e di segnalarla, per evitare errori, con una cipollina. Un incuriosito collega notata la differenza, ignaro dello stratagemma, chiese anche lui la cipollina come decorazione e trovandola di suo gusto, iniziò a consumarlo chiamandolo con il nome del collega. La tattica di simulare un liquore o un cocktail è in uso anche presso i venditori americani e i baristi seri di tutto il mondo. I primi portano a bere i clienti, nella speranza di strappare ordini migliori, rimanendo loro sobri, i secondi per evitare di ubriacarsi con le consumazioni offerte dai clienti durante i "giri" e i brindisi. Una quarta versione afferma che sia stato inventato in onore di Wilfred Gibson, noto drammaturgo inglese, anticipatore del Realismo ed autore di "Collected Poems". Per concludere, secondo Kazuo Uyeda, autore del libro "Cocktail Tecniques", l'uso di decorare con una cipollina il Martini nacque dall'esigenza di differenziarlo e renderlo così riconoscibile ai camerieri, nella la sua versione più secca. Infine si dice che questo drink fosse il favorito di Ava Gardner.
Un drink iscritto nella categoria "Fashionable" dell'IBA, una categoria di cocktail che sono sulla strada per diventare dei grandi classici. Il Gimlet è un cocktail di semplice realizzazione, creato dall'ammiraglio sir Thomas Desmond Gimlette (nato nel 1857 e morto nel 1943), medico di bordo, il quale con tipico humor inglese sosteneva di averlo inventato con la sua dose giornaliera di succo di lime e gin Plymounth , "per permettere alle medicine di scendere giù meglio". La ricetta oggi non ha più il succo di lime fresco, ma il Lime Cordial della ditta Rose's, un prodotto fondamentale della mixologist inglese, che in questo caso risulta, essendo sciropposo e dolce, un'ottima soluzione, rendendo il cocktail leggermente più dolce e morbido.
Il cocktail semplice e dissetante nacque nei locali dove si suonava il Charlestone, la danza sfrenata inventata dagli scaricatori di porto di colore, agli inizi degli anni 20. Il ballo di derivazione jazzistica raggiungerà il suo successo massimo nel 1925. In questo periodo la gente viveva in maniera frenetica e dissoluta, facendo le cose più pazze forse presagendo che il mondo sarebbe piombato nel panico più assoluto a seguito del grande crack del 1929. Il ballo molto faticoso rispecchia il suo tempo ed è euforico, elettrizzante e molto eccitante, poichè fanno la sua comparsa paillette, gonne frastagliatee i primi seni nudi, che scandalizzano il perbenismo di allora. L'icona di questo movimento sarà Josephine Baker, la prima star afroamericana in assoluto che tanto fece per il movimento di emancipazione del suo popolo. Sarà lei a diffondere il Charlestone in Europa, diventando una star delle Folies Bergere. Il drink serve a ristorare gli esausti ballerini, l’irruenza del gin di pessima fattura, figlio del Proibizionismo viene stemperata da zucchero limone e soda, mantenendo un look innocente da semplice "lemonade". Durante le cene con ballo al Waldorf Astoria di New York questo cocktail rinfrenscante ed energetico era consumato in maniera esagerata dagli esausti ballerini, che ritrovavano le forze e si dissetavano grazie a zucchero e limone. Visse il suo periodo di massimo fulgore negli anni 50 all’inizio del dopoguerra quando i giovani ritornarono alle feste e al divertimento. Infine una simpatica curiosità: Gin & Fizz sono anche i due improbabili gangester interpretati dal duo Ale & Franz, i cui dialoghi surreali sono un grande esempio di comicità che unisce "noir" e stile demenziale. Un certo successo ha anche il Gin Lemon, una variante simile al gusto e più veloce in preparazion di questo cocktail. Si può eseguire esclusivamente utilizzando una buona bibita sodata a base limone. Il Gin Lemon si esegue con una dose di gin e una bottiglietta di Lemonade (consigliata j.gasco) a parte, seguendo la regola del Gin Tonic.
Una versione meno secca del cocktail Martini, senza oliva, nata probabilmente in America, dove il vino fortificato francese la faceva da padrone, nei primi anni del '900. Una versione praticamente uguale, ma più amara grazie all'aggiunta di alcune gocce di Angostura ed oliva, si chiama Golf Martini, ed era servito negli anni '20, nelle club house americane, fin dal primo pomeriggio. Secondo una fonte attendibile, durante il ventennio fascista questo drink venne chiamato Arlecchino, anche se non faceva certamente dei colori brillanti il suo punto di forza...
Il drink fu inventato dal barman americano di nome Charley al "Racquet & Tennis Club" di New York, negli anni 30. La ricetta è lo specchio del periodo infatti i prodotti a base vino avevano quasi del tutto assorbito il contraccolpo della devastazione della fillossera e la deliziosa variante dolce italiana stava nuovamente prendendo piede in America. Il drink è, di fatto, una variante del Gin & French che prevedeva l'utilizzo del vermouth secco francese. La parola "IT" sta infatti per "Italian vermouth", l'inimitabile Vermut di Torino, inventato da Antonio Benedetto Carpano nel 1786, nel suo laboratorio di pasticceria e bar , nel centro della città sabauda. Angelo Zola, da buon piemontese originario del lago di Viverone, sostiene nei suoi appunti che questo è il vero mix fra gin e vermouth, infatti egli pensa, forse a ragione, che la versione Dry Martini sia troppo secca e faccia perdere la tipica morbidezza, la complessità e l'armonia al gusto del vino fortificato piemontese.
bandiera uk_origini ginIl Gin Tonic, che comunemente viene chiamato G&T, è il cocktail simbolo dell'Inghilterra, ottenuto con l'unione dei due suoi prodotti beverage più rappresentativi. La sua nascita è antica e risale all'epoca coloniale, quando i soldati inglesi consumavano l'Indian Tonic Water per difendersi dall’arsura e dalle malattie tropicali come la malaria. E' risaputo che il chinino è un principio attivo contro questa malattia, essendo un potente febbrifugo e per lungo tempo fu l'unico rimedio conosciuto contro di essa. Per rendere il suo consumo più piacevole, visto la tendenza amara piuttosto pronunciata, i soldati la unirono al loro distillato principe, il gin, trasportato via nave in tutte le colonie. I francesi risolsero il problema diversamente, grazie alla loro expertise sui vini, creando i vermouth coloniali, di cui Dubonnet fu il primo rappresentante. Il Gin Tonic oltre ad assolvere alle suddette funzioni curative, divenne, nel proseguo della sua storia, un cocktail ambivalente: l' aperitivo per eccellenza nel mondo anglosassone e il dopo cena che tutti conosciamo nel resto del mondo. Una citazione simpatica del Gin & Tonic, la fa il gruppo degli Oasis, quando canta: "I fell supersonics, gimme a gin and tonic"... Tutto il resto è noia. Per la sua preparazione è buona regola affiancare la bottiglietta di Tonica (consigliata Jgasco) al bicchiere tumbler alto con ghiaccio "fresco" a cubi cristallini. All'interno del bicchiere una dose di gin, fetta o scorza di limone e uno stirrer. Sarà il cliente a decidere la quantità di bibita a diluizione del distillato. Nella preparazione classica assolutamente vietato utilizzare altri aromatizzanti vegetali come fette di cetriolo o rametti di rosmarino, come detta la moda dei nuovi gin aromatizzati con svariati botanici. Ogni variante deve infatti avere l'approvazione del cliente, abituato ad un grande classico, proposto fin dalla notte dei tempi.  
Lo scrittore Mario Puzo, italo-americano di origini campane, scrive nel 1969 il suo capolavoro "The Godfather", “il Padrino”. Con il medesimo nome nasce il cocktail, un'unione intrigante fra il tipico distillato americano e il simbolo della liquoristica italiana, tuttora numero uno al mondo, l'Amaretto di Saronno. Il drink avrà grande successo negli Stati Uniti, cosi come il film , proiettato per la prima volta nel 1972 e che sarà il capostipite di una lunga serie di "mafia movie" ispirati da questo capolavoro. Il God Father si unisce al gruppo dei "gangster cocktail" di cui fanno parte il French Connenction e l'Angel Face. Il primo film è interpretato da Marlon Brando che diverrà una delle icone del cinema maggiormente osannate dalla critica, grazie alla sua perfetta recitazione e lettura del personaggio. Alcune battute del film pronunciate da don Vito Corleone diventarono veri e propri tormentoni dell'epoca, così come il tono di voce utilizzato spesso quando si voleva fare il verso a qualcuno, riguardo una proposta che non si poteva rifiutare... Il grande attore Roberto Benigni dà un tributo a questa icona del cinema, facendo parlare in questo modo il boss mafioso in "Johnny Stecchino". A dimostrazione dell'enorme successo del film, per i sequel Il Padrino "Parte II " e "Parte III" ci saranno le prestigiose interpretazioni dei mostri sacri del cinema hollywoodiano, gli attori italo-americani Al Pacino e Robert De Niro.
Il cocktail, elegante, dolce e poco alcolico, nasce a cavallo degli anni '50 e '60 a Manhattan, presso il Roger’s Bar, locale famoso frequentato da attori e attrici hollywoodiani dell’epoca, tra i quali Bette Davis e David Waye. Il nome del drink deriva da un film poco conosciuto in Italia, "Una Cadillac tutta d'oro" del 1956, vincitore del premio Oscar per i migliori costumi. Il film è interpretato dagli sconosciuti Judy Halliday nella parte di Laura Partdrige una piccola azionista di una multinazionale e Paul Douglas, nei panni dell'amministratore delegato dimissionario, Mr Keever. Il film ha una trama brillante, ma alquanto improbabile, infatti l'intraprendente donna, con sole 10 azioni mette in difficoltà i vertici disonesti dell'azienda su alcune scelte commerciali, dopo l'integerrimo mr. Keever ha accettato un incarico al Pentagono. Dopo il successo dell' Oscar, un fantasioso barman creò questo cocktail, di fatto un omaggio al film, utilizzando fra gli ingredienti il liquore italiano Galliano, per donare al drink una bellissima sfumatura dorata, come il titolo del film imponeva. Anche la Cadillac lanciò, nel 1953, poco prima dell'uscita del film, la prestigiosa Eldorado, una delle prime luxury car del mondo, che nel nome ricordava il mitico paradiso dei cercatori d'oro.
Questo drink nasce ad opera di Raimundo Alvarez, famoso barman dell’Old King Bar di Miami, ed è dedicato all’eterna sognatrice Joan Crawford, al secolo Lucille Fay le Sur, la quale era amante della panna. Il drink molto dolce, probabilmente serviva per ammansire il carattere non proprio facile della diva che ebbe ben quattro matrimoni, diseredò due figli dei quattro adottati e la cui faccia fu presa da modello dai disegnatori della Disney per creare la strega cattiva di "Biancaneve e i sette nani". La sua vita, iniziata nel 1905, fu ricca di soddisfazioni e gioie professionali, infatti vinse un Oscar per l'interpretazione "Il romanzo di Mildred" e partecipò a decine di film di successo fra i quali "Grand Hotel" e " Johnny Guitar. Un'altra versione meno attendibile afferma che il drink fu creato, sempre in Florida, ma poco più a nord e precisamente ad Orlando, durante una manifestazione benefica di raccolta fondi organizzata da sole donne. Non è dato a sapersi l'inventore, ne la data di nascita, si narra solo che il cocktail ebbe un grandissimo successo, tanto da guadagnarsi l'onore delle cronache di allora.
E' una variante più fresca e rinfrescante, dello storico Alexander, meno alcolico, più aromatico e digestivo, grazie alla presenza della menta verde. Due le paternità reclamate per questo ottimo e famoso cocktail: la prima sostiene che fu il barman del Crytirion Bar, intorno agli anni '30 che gli diede questo nome ispirandosi al colore verde delle cavallette, che saltellavano sui prati di Hyde Park. Un'altra versione dei fatti ci arriva dall'America e afferma che il suo inventore fu Philbert Guichet, il titolare del Tujague's Bar a New Orleans, che lo preparò intorno al 1934, immediatamente dopo la fine del Proibizionismo, per partecipare ad una delle prime competizioni di barman indette dopo la lunga pausa, a New York. Non avendo altre testimonianze a favore dei due "imputati" dobbiamo accettare le due versioni dei fatti, pensando ad una curiosa contemporaneità dell'idea da entrambe le sponde dell'Oceano Atlantico...Qualunque sia la sua origine il drink divenne molto famoso fra la borghesia arricchita e la nobiltà del tempo, ed era largamente consumato nei circoli di golf e polo, per rinfrescare e corroborare gli esausti giocatori.  
Un cocktail a base vodka e crema di menta verde, il cui nome ricorda il famoso eroe mascherato creato nel 1936 da George Trendle e Frank Striker, prototipo del super eroe con doppia identità, che avrà eredi famosi come Batman, inventato nel 1939, e Spiderman. In questo caso un famoso editore di successo Brit Reid si traveste con cappello, maschera ed impermeabile verde e combatte il crimine aiutato dal suo fido amico Kato, ruolo impersonato all'epoca dal giovane Bruce Lee, in alcuni episodi televisivi del 1966/ 67. La creazione del cocktail potrebbe risalire a questo periodo, considerato il grande successo ottenuto dagli episodi interpretati da Van Williams nel ruolo del super eroe e che saranno anche il trampolino di lancio per la folgorante carriera cinematografica di Bruce Lee. Nei primi mesi del 2011 è stata prevista anche una riedizione cinematografica del telefilm seguendo la moda Hollywoodiana dei film remake dei grandi super eroi di metà 1900, come Iron Man, Dare Devil, Spiderman, Thor, Captain America, Fantastici 4 e Batman. Leggermente diversa la trama: in questo caso l'editore è un figlio viziato che decide per noia, dopo la morte del padre, di diventare un "super eroe" della città, semplicemente per far fare notizia e vendite al suo giornale. Solo nel proseguo della storia assume i connotati di difensore della giustizia, mantenendo sempre atteggiamenti da "figlio di papa" per nulla vicino all'originale eroe, che fanno sembrare il film una parodia, comunque molto piacevole.  
totLa storia del grog è molto antica ed affonda le sue radici nel passato mercantile inglese. Gli equipaggi delle navi inglesi venivano riforniti in patria, prima di lasciare terra con una forte birra, detta Indian Pale Ale, in grado di resistere al clima caldo ed ai lunghi viaggi e del Navy Gin dalla gradazione superiore. Nei Caraibi tale pratica era più difficile, mancando sia una che l'altra cosa. A questo problema si ovviò dotando gli equipaggi del distillato locale, il rum. Nel 1680 tutte le navi in partenza dai porti delle colonie caraibiche dovevano portare una scorta di rum necessaria a sostentare l'equipaggio per l'intero viaggio. Per calcolare tale scorta venne istituito il Tot ovvero Totus con cui si indicava un tanto di qualcosa. Per evitare problemi di ordine sulle navi e soprattutto per scongiurare letargie da ubriachezza, letali in mare, l'ammiraglio Vernon ordinò che venisse diluita con acqua, in modo che anche bevendo il tot i marinai potessero continuare ad eseguire i loro compiti. L'ammiraglio era molto amato dai suoi uomini ,poichè da sempre cercava per loro migliori condizioni salariali e di navigazione, entrando spesso in conflitto con i suoi superiori. La razione fu suddivisa in due momenti della giornata, la mattina e la sera, e venne, per i più meritevoli, addolcita con una parte di zucchero, che all'epoca era un vero oggetto del desiderio molto raro. Il limone venne aggiunto a scopo farmacologico per scongiurare lo sviluppo dello scorbuto, la temibile malattia che si presenta nei casi di carenza di vitamina C. royal-navy-grog-channel-fleet-1907La mancanza di vitamina C crea scompensi immunitari e rende ogni ferita praticamente mortale ed a quei tempi di combattimenti e vita dura, questa era un'evenienza tutt'altro che remota. Il nome del primordiale cocktail sour deriverebbe dal soprannome benevolo dell'ammiraglio detto appunto Grog, per via del suo mantello che in inglese si traduce in grogam cloak. Il grogam era un tessuto misto piuttosto grossolano e spesso ottenuto con seta e lana in uso sulle navi per la sua capacità di coprire dal freddo e dall'acqua. Negli anni a seguire il nomignolo divenne sinonimo di una mescola di rum, zucchero ed acqua. In realtà da una testimonianza di Pere Labat, il probabile inventore del rum sull'isola della Martinica, noi sappiamo che i neri impiegati nella raccolta della canna da zucchero erano soliti bere una miscela calda di rhum, succo di canna ed il succo dei lime. Il cocktail va solamente mescolato, magari in un batch grande, se vogliamo seguire la storia considerato che difficilmente un marinaio avrebbe potuto shakerarlo per ogni collega. (grazie a Stefano Nincevich.Bargiornale anno XXXV n° 4)
La storia maggiormente accreditata sulla sua creazione è la seguente: nel 1969 in occasione dell’ennesima vittoria il surfista Harvey chiese al barman di modificare, il classico Screwdriver, nato alcuni anni prima, con l'aggiunta del Galliano, il liquore italiano dal marcato sapore di vaniglia, molto in voga in quegli anni. Avendo apprezzato ben oltre i limiti il nuovo drink, il mitico surfista, a suo agio fra le onde, ma meno sulla terra ferma, alla fine, sbattè la testa sul muro, non riuscendo più ad infilare la porta del bar. Altri pensano, che la sbronza sia stata presa per motivi completamente opposti, ovvero una sconfitta del super favorito, quindi inspiegabile ed inconsolabile, se non trangugiando diversi drink. L'epilogo però fu meno comico, infatti alla fine completamente ubriaco, il surfista battè ripetutamente la testa sul muro, come punizione per gli errori commessi. Altri ancora pensano che il nome derivi dal coniglio Harvey, protagonista di cartoni animati e film a cavallo fra gli anni 50 e 60. Una menzione particolare merita il film, una divertente commedia degli anni 50 interpretata da James Stewart. Il gigantesco coniglio bianco è il compagno invisibile, saggio e bonario, di un mite pazzerello che rifiuta il mondo in cui vive e che per questo attira su di se le ire della società perbenista americana d'allora. Se la commedia appare leggera, la sua morale è molto seria : uccidere l'immaginazione dell'uomo è toglierli il suo più grosso rifugio. Tornando al cocktail, la passione moderata per l'alcol del protagonista del film potrebbe aver ispirato il cocktail. Sempre parlando di cinema, in tempi molto recenti, il drink compare nell'action comedy "Innocenti bugie" con Tom Cruise e Cameron Diaz del 2010. Per una volta il "cattivo" alla caccia di di Zefiro, una potente fonte di energia alternativa che potrebbe cambiare il mondo, non beve Martini, ma questo poco mascolino drink...  
Partiamo per una volta dalla preparazione del cocktail e non dalla sua storia, perchè questa ha le vere e proprie caratteristiche di un rituale. Nell’Heminguay, variante secca del Cocktail Martini, si usa versare il vermouth dry nel mixing glass colmo di ghiaccio cristallino e si mescola ripetutamente, per raffreddare il contenitore. Si getta il contenuto nel lavandino, trattenendo con lo strainer i cubetti, cosicché su di essi resti solo l’aroma del vermouth dry. Tale operazione è conosciuta come in&out. Dopo di che si versa il gin, si raffredda e si procede al suo servizio. Prima che Hemingway scrivesse "Al di là del fiume e tra gli alberi" questo drink era conosciuto come "Montgomery". Ma la sua preparazione prevedeva di versare un quindicesimo di vermouth dry nel mixing glass e non di scolare il contenuto. Sicuramente questa operazione rende sicura la presenza "discreta" dei profumi del vermouth e soprattutto non si spreca un centilitro di vermouth gettandolo nel lavandino. Visto il successo del libro, da molti ritenuto quasi autobiografico, questo drink fu successivamente conosciuto nei bar di tutto il mondo come "alla Hemingway". Il libro narra le vicissitudini del Colonnello Cantwell che è solito bere parecchi cocktail Martini alla Montgomery o "Very very dry", all'Harry's Bar di Venezia, per dimenticare l'amore non corrisposto con una giovanissima nobildonna veneziana, Renata. L'amore è anche il modo per cancellare gli orrori della Prima Guerra Mondiale, al quale ha partecipato, rimanendone gravemente ferito. La relazione del colonnello con la giovane ragazza è una sorta di terapia psicanalitica, infatti il protagonista si libera dei ricordi orribili che gravano nella sua mente, raccontando tutto alla sua giovane compagna, ben sapendo che la sua vita è minata da una grave insufficienza cardiaca, che gli darà ben poco tempo. E' impossibile non vedere le strette analogie con la vita di Hemingway, anche lui ferito a Fossalta di Piave, durante la Grande Guerra, alla guida di un auto ambulanza e che, come il protagonista, è innamorato di una bella diciannovenne, Adriana Ivancich, la cui presunta relazione farà scandalo fra i ben pensanti dell'epoca. Il passo del libro recita così: "Cameriere! disse il Colonnello, poi chiese, vuoi anche tu un Martini secco? Si molto volentieri. Due Martini molto secchi. Montgomery quindici a uno. I Martini erano ghiacciati ed erano dei very Montgomery. E dopo aver toccato gli orli dei bicchieri si sentirono riscaldare allegramente il corpo".... Tornando al discorso cocktail, nel Montogomery, la percentuale codificata di Martini nella ricetta deve essere di 1/15, questo perchè la leggenda vuole che Montgomery amasse tale proporzione. Egli traspose nella ricetta una sua convinzione: un soldato nemico ogni quindici inglesi per essere sicuri della vittoria. Un aneddoto dice che l’ispirazione per tale percentuale, fra il gin inglese e il vermouth italiano, gli sia venuta dopo la battaglia di El Alamein, dove le truppe inglesi, pur in superiorità numerica, vinsero a fatica la resistenza degli eroici italiani che ebbero l’onore delle armi dall’ufficiale inglese. La storia è molto pittoresca, ma ha una falla sconosciuta ai più, che la rende molto improbabile: Montgomery era astemio. Per fare questo drink “da farmacisti”, normalmente si utilizza bagnare un oliva denocciolata nel vermouth dry e posarla nel bicchiere, si calcola empiricamente che l'incavo possa rappresentare il famoso quindicesimo, tanto caro al generale inglese. Churchill amava molto questo cocktail e la sua preparazione era una sorta di rito. La leggenda dice che mettesse in ghiaccio una bottiglia di vermouth dry prima della preparazione del suo Martini. A questo punto per raffreddare il suo gin prendeva i cubetti a contatto con la bottiglia, affermando, in perfetto humour inglese che tale aromatizzazione fosse più che sufficiente. Altre fonti sostengono che invece facesse roteare la bottiglia di vermouth dry per due volte intorno al bicchiere di gin ghiacciato. La preparazione proseguiva con un saluto alla bottiglia del vermouth e uno in direzione della Francia, patria del Noilly Prat, il vermouth dry originale usato per la preparazione dei primi Martini Cocktail, prima di iniziare a sorseggiare il drink. Va detto che la ricetta non era secca come si potrebbe pensare, infatti era eseguita utilizzando non del London Dry, ma dell' Old Tom Gin che ha una leggera dolcezza insita nel distillato. L'Old Tom Gin è l'espressione più tradizionale dell'era vittoriana, quando il gin inglese era ancora ispirato al progenitore di scuola olandese, il Jenever. (Per maggiori informazioni paragrafo dedicato nell'origine dei distillati).
Un grande classico della miscelazione codificato IBA. Il nome del drink suggerisce in maniera abbastanza chiara la sua origine infatti “La criniera di cavallo” potrebbe essere stato creato in un bar di un ippodromo inglese, intorno agli anni '50. Il colore infatti ne ricorda la sfumatura rossa tipica di certi cavalli da corsa. Questo è il periodo della riscoperta della Ginger Beer, una specialità snobbata per lungo tempo e tornata alla ribalta in quegli anni, grazie al successo del Moscow Mule, dove era miscelata con la vodka. La ginger beer (Jgasco) era una specialità fermentata tipica del 1800, quando veniva usata come ricostituente, ottimo digestivo e per la cura dell'inappetenza. La bevanda conteneva un minimo di alcol, assimilabile a quello di una birra, per via della fermentazione dello zucchero che veniva aggiunto alla soluzione acquosa contente ginger e limone. Il recupero del bere sodato, allungato e dissetante è tipico del periodo, mentre è curioso quello del brandy, distillato in qualche modo offuscato dal successo della vodka in America. Ma viste le origini inglesi, da sempre amanti amanti di questo distillato, sembra abbastanza naturale la scelta di cambiarlo con il secco distillato russo. In questo drink la bibita speziata diventa il mix ideale per dissetare gli spettatori e scommettitori urlanti degli spalti che incitavano i cavalli alla vittoria. La ricetta ufficiale Iba riporta però l'uso della Ginger Ale, che della Beer ne è la sua versione analcolica, creata, ad inizio 1900, dal farmacista canadese John Mac Laughlin. La Ale infatti è una semplice bibita sodata dolce aromatizzata allo zenzero, utilizzabile anche dai i bambini e dagli astemi. Per la preparazione dell'Horse Neck, anche se la ricetta parla di 2/10 di brandy e 8/10 di ginger ale (Jgasco), è buona regola posizionare la bottiglietta della bibita a fianco del tumbler alto con ghiaccio, brandy e uno stirrer, in modo che sia il cliente a decidere la diluizione del distillato.
Il drink nasce a New Orleans, patria indiscussa di parecchi drink, fra cui il French 75 e di ottimi liquori, come il Southern Comfort. Il cocktail nasce poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, in piena Tiki- era. Il cocktail è la piena espressione del periodo, che vedeva la quasi totale mancanza di whisky sul mercato. Le distillerie americane erano state impegnate a produrre alcol ad uso aereonautico o per autotrazione, per favorire lo sforzo bellico e lentamente stavano riprendendo la loro attività normale. I grossisti di alcolici fornivano ai bar americani quasi esclusivamente rum di diversi invecchiamenti, proveniente dai vicini paesi caraibici, a prezzi decisamente interessanti. Per avere poche casse di carissimo whisky, i bar di allora dovevano ordinare intere partite di rum che cercavano di smaltire preparando miscele esotiche profumate con i frutti classici di quell'area. Nacquero così il Mai Tai, lo Zombie e lo Scorpion, tutte miscele che vedevano l'utilizzo di due o tre rum, succo di arancia e un aromatizzante. Pat O'Brien, un barman di chiare origini iralndesi, inventa questo drink, il cui nome evoca gli spaventosi uragani che spesso flagellano la zona, come non dimenticare il triste passaggio di Katrina di pochi anni fa... Il suo locale esiste ancora al 718 di Peter Street, e il drink si può ancora degustare nella sua ricetta originale, all'interno del tipico bicchiere, la cui forma ricorda quella sinuosa e minacciosa di una tromba d'aria.
Il più famoso drink corroborante della storia della miscelazione nasce all'aeroporto di Dublino, inventato dal barman Joe Sheridan. La leggenda narra che, una fredda notte d'inverno si ruppe il riscaldamento della sala d'aspetto gremita di persone in attesa del loro volo transoceanico e che per dare loro calore, energia ed alleviare la noia dell'attesa, il barman miscelò caffè lungo dolcificato con zucchero di canna, whiskey irlandese e panna. Nella realtà pare che la la nascita di questo drink sia molto meno epica e romantica. Il barman accolse semplicemente la richiesta di alcuni clienti americani, che non gradivano il classico beverone irlandese fatto con whiskey e the forte, chiedendo la cortesia di sostituire quest'ultimo con del filter coffee. La crema di latte fu l'ingrediente successivo, tipicamente irlandese, per aumentare le doti corroboranti del delizioso drink. In commercio esiste anche un liquore dolce ispirato all'Irish Coffee, da bere on the rocks, il cui nome Sheridan's è un tributo al suo inventore.
Il John Collins è una delle decine di migliaia di cocktail esistenti al mondo con base alcolica gin e, se non si conoscesse la data della prima codifica, il 1882, la sua formula risulterebbe oltretutto banale. Questo perché il bilanciamento dolce acido, con zucchero e succo di limone, con questo distillato è probabilmente il più sfruttato in assoluto nella storia della miscelazione, secondo solo all’abbinamento con il vermouth. Il primo a pensarla così, pur rendendosi conto di trovarsi di fronte ad una pietra miliare ed ad una icona della miscelazione classica, è sicuramente David Embury, un appassionato di cocktail scrittore dalla penna dissacrante ed ironica. Nella sua pietra miliare “The fine art of mixing drinks” del 1948, liquida in maniera lapidaria il drink e  lo definisce come una limonata fatta con acqua ed addizionata di gin.  E prosegue cercando di spiegare la confusione che spesso regna sui ricettari Originariamente lì erano solo due fratelli nella famiglia dei Collins, Tom e John. Negli ultimi anni tuttavia sono apparsi sulla scena Pedro, Pierre, Sandy, Mike, Jack e molti altri i cui nomi non sono stati ancora ufficialmente registrati nella fonte battesimale. I Collins originali erano sempre fatti con gin ma mai con il London dry, lo stesso che è praticamente sempre usato per fare un Collins oggi. Per fare un poco di chiarezza il Tom Collins era fatto con  un gin Old Tom, pertanto lo stile vincente dell’era vittoriana, età a cui corrisponde la creazione, almeno secondo la teoria ufficiale, mentre il John era prodotto con un dutch jenever, il progenitore del gin. Solo successivamente, con il calo di consensi delle due tipologie e la cessata produzione di molti marchi, l’ingrediente principale fu cambiato in un London Dry, lo stile vincente del Secondo dopoguerra. Degli altri nomi sappiamo solo le ricette di alcuni che si trovano su libri di miscelazione coevi a quello di Embyry. Ovviamente erano declinati con distillati diversi il cui nomi erano evocativi: il Pedro con il rum bianco, il Pierre con il cognac, il Jack con il calvados (da applejack il distillato di mele), a cui si aggiungono  il Joe C. con la vodka, ed il Captain C. con il whisky canadese. Come sempre nella ricerca storica, quando siamo di fronte alle ricette ottocentesche, si accavallano le versioni. Secondo alcuni ricercatori il cocktail fu creato,  verso la fine dell’Ottocento da John Collins, barman del noto “Limmer’s Old House” di Londra. Il nostro barman non fece molto sforzo, prendendo spunto dal Gin Punch, specialità del bar dal 1814, un riuscito mix di zucchero, succo di limone e liquore alle scorze di arancio la cui ricetta si trova con frequenza nei testi di miscelazione anche italiani fino al 1920. Di fatto un cocktail della casa, prodotto in una boule, che prese il nome del barman che lo servì con maggior successo in un bicchiere decorato, come si racconta in una filastrocca scritta per lui Il mio nome è John Collins, capo cameriere di Limmer,(…) il signor Frannk beve sempre il mio gin punch quando fuma ..  La prima versione fu composta utilizzando un Old Tom, lo stile praticamente egemone del periodo, la cui caratteristica è di avere un sottofondo dolce dovuto alla presenza importante di liquirizia nella ricetta. Quindi potrebbe essere che il nome sia stato travisato in Tom per via dell’ingrediente, mantenendo John per il jenever e poi per il London. Il cocktail, nelle due versioni, fu codificato da Harry Johnson nel 1882, mentre la Bartenders Guide di Jerry Thomas del 1887 ne codifica ben tre, tutti con il nome di Tom ma con tre distillati diversi, whisky, brandy e gin, mentre il libro di Stuart del 1904 ristabilisce l’ordine di quanto scritto sopra. Altre versioni invece portano Oltreoceano dove le spiegazioni sul nome non sono legate al suo creatore ma a quella che fu definita la The Great Tom Collins Hoax, ovvero il grande inganno. Da fonti giornalistiche dell’epoca sappiamo che in quel tempo dire “Hai mica visto Tom Collins?” significava parlare di una cosa che non esisteva, priva di fondamento. Questo modo di dire nacque nel 1874, a seguito di una colossale burla, organizzata dal New York Herald, che pubblicò un articolo in cui si invitava la popolazione a fare molta attenzione, poiché dallo zoo erano fuggite decine di belve feroci che potevano nascondersi ovunque. Il giornale riferiva di un leone dentro una chiesa ed di un rinoceronte che scorrazzava nei tunnel delle fogne. La cittadinanza fu presa dal panico, prese d’assalto i telefoni delle stazioni di polizia, fino a che non si capì che era un colossale scherzo; il giornalista che firmò l’articolo si chiamava Tom Collins. Nemmeno a dirlo, nei giorni successivi l’Herald affermò che non aveva mai avuto il signor Collins alle loro dipendenze. Da questo prese spunto un'ulteriore burla, completamente diversa, il cui finale era però identico: il personaggio  immaginario di Tom Collins. In pratica si diceva ad un amico che una tal Tom Collins, personaggio dubbio, arrogante e con grandi amicizie,  aveva parlato male di lui o che dovesse dirgli cose riservate. L’appuntamento era in un bar, ovviamente conosciuto. Una volta che ci si faceva annunciare, si chiedeva al barman o il cameriere entrava in sala chiedendo se ci fosse un Tom Collins,  non si riceveva nessuna risposta. E da li prese spunto la nascita del cocktail che veniva servito all’ignara vittima dello scherzo, affermando che l’unico Tom Collins del bar fosse quello. Ma la scarsità di prove a disposizione su questa tesi potrebbe far pensare che tutto questo sia uno scherzo nello scherzo. Venendo alla preparazione invece, l’impostazione gustativa del cocktail e la semplice miscelazione nel bicchiere non ne fanno un drink di successo dietro al banco. I barman spesso gli preferiscono il Gin Fizz che pur avendo i medesimi ingredienti, permette una parentesi coreografica con la shakerata, esclusa la soda, ovviamente. Questo per ricordare quanto sostenuto da Elvezio Grassi nel 1936 il quale affermava che se un cocktail non era agitato equivaleva al un semplice miscuglio di ingredienti. La preparazione infatti prevede il solo rimescolamento degli ingredienti all’interno di un tumbler alto riempito di ghiaccio, come si conviene al servizio di un punch. La decorazione a differenza del Fizz ha, oltre alla fetta di limone, una ciliegia al maraschino, una probabile aggiunta postuma che non ha riscontri sui testi storici.  
Il drink dal nome tristemente inquietante di questi tempi, soprattutto dopo il 2001 con l'attentato delle Torri Gemelle, fu un must assoluto in America negli anni '80, tanto da meritarsi anche la citazione di Tom Cruise nel film "Cocktail". La scena rimane storica . Il giovane Flanagan in preda ai fumi dell'alcol decanta una poesia "Yuppie" in piedi sul bancone della discoteca più in voga di New York, poco prima di conoscere una splendida fanciulla che sarà la prima fonte di molti suoi guai. Questo è un film dalla trama semplice e scontata su amore, successo e soldi, che ogni barista dovrebbe vedere. "Cocktail" contribuì, grazie alle riuscite scene spettacolari di volteggi di bottiglie,  al successo del flair in Italia. Cruise ammise di essersi dovuto allenare intensamente per sei mesi prima di poter girare il film. Il cocktail molto riuscito sotto l'aspetto dell'equilibrio, di fatto,  fu una variazione intelligente sul tema White Lady/Margarita, con il distillato più in voga fra la gioventù rampante, ribattezzata con  il nomignolo "yuppie". Su alcuni ricettari la medesima formulazione viene chiamata "Balalaika", il classico strumento a corde russo, nome forse più consono ed attinente alla presenza della vodka.  Esulando per un attimo dal mondo dei drink, in realtà la parola Kamikaze ha un origine molto più antica e la sua origine risale al Medioevo giapponese. L'esercito mongolo si apprestava all'invasione del Giappone, con forze schiaccianti che avrebbero determinato una sicura sconfitta del popolo nipponico, il quale fu salvato da un improvviso tifone che affondò la maggior parte delle navi degli invasori. Questo tifone provvidenziale fu chiamato Kami, divino e Kaze vento, e passo alla storia per aver salvato il Giappone dalle orde barbare di Kublai Khan. Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale i Kamikaze divennero tristemente famosi per gli attacchi suicidi alle portaerei americane nel vano tentativo di impedire l'invasione del Giappone, come secoli prima era stato il provvidenziale tifone...
Il drink è un classico di scuola francese, codificato IBA ed è forse l'unico esempio di cocktail di origine ecclesiale. Fu inventato infatti da un prete eroe, della diocesi di Digione, diventato sindaco della città al termine della Seconda Guerra Mondiale. La cosa ancora da chiarire è se il cocktail sia stata una sua invenzione o se gli sia stato intitolato in virtù delle sue eroiche gesta. Il drink divenne il cocktail ufficiale di benvenuto della città durante le visite ufficiali di rappresentanza della politica nazionale e internazionale. La Borgogna da sempre è conosciuta per gli splendidi vini rossi da Pinot Nero e per gli ottimi Chardonnay, ma in questa area si coltiva anche una piccola parte delle vigne con il vitigno tradizionale Aligotè, che dona vini piuttosto semplici al naso, adatti ad una pronta beva. Il cocktail nasce con un il nobile l'intento di migliorare i profumi al naso e la sua bevibilità, aggiungendo il fiore all'occhiello della produzione liquoristica della città : la Creme de Cassis. Questo liquore, ampiamente descritto nel paragrafo liquori, dona bei profumi di frutti rossi e un bel colore vivo, tanto da far pensare, alla vista che il cocktail in realtà sia un vino rosato. Tornando alla storia del suo probabile ideatore, Felix Kir fu ordinato prete nel 1901 e durante l'occupazione nazista, salvò ben 5.000 persone, aiutandole a scappare da un campo di raccolta per ebrei a Longvic. Fu catturato e per questo gesto condannato a morte. Per non incorrere nelle ire della Chiesa, gli fu concessa la grazia, ma nonostante il pericolo scampato continuò a combattere, rimanendo seriamente ferito, durante un combattimento con la Gestapo. Alla fine della guerra fu eletto sindaco per gli indubbi meriti dimostrati sul campo e gli fu intitolato questo cocktail, tipico della regione. Nel proseguo della sua storia il drink ha avuto due varianti il Kir Royale che si ottiene sostituendo l'Aligotè con lo Champagne e il Kir imperial una variate del Royale, in cui si sostituisce la crema di cassis con creme de framboise (lamponi).
Un drink "fossile" codificato per la prima volta nel 1937 da Stanley Clisby Arthur, nel suo introvabile libro " Famous New Orleans Drink and How To Mix 'em", che ci riferisce essere il cocktail della casa dal famoso ristorante "La Louisiane". Un drink che merita una citazione perchè unisce in maniera equilibrata, alcune specialità ormai in disuso nella miscelazione come il Benedectine e il bitter Peychaud, unite ad un distillato che non ha mai avuto molto seguito in Europa per la preparazione di drink.
Cocktail dalla storia recentissima, essendo stato codificato dall'IBA soltanto nel 2003, come unico e solo componente della categoria "Special Cocktails", creata appositamente in onore del suo inventore, il reporter del Sunday Mirror, Phil Coburn. Il drink nasce nel bar dell'Hotel International di Amman, in Giordania dalla fantasia del giornalista, il quale cercò con questo mix, di ammazzare la noia, in attesa del trasfer per l'Iraq, in compagnia dei suoi colleghi. Il cocktail è piuttosto semplice nella realizzazione, negli ingredienti e nella presentazione "on the rock", mentre il nome Ladyboy (signora ragazzo o khatoey in lingua locale) probabilmente è una dedica alle bellissime transessuali thailandesi che frequentano le notti delle località turistiche di Phuket e Pattaya. Ai due ingredienti classici della produzione europea si aggiungono le tipiche spezie dei paesi medio orientali, per rendere più "fusion" ed accattivante il tutto. Il drink si dimostrò un buon passatempo, ma per la verità, anche il suo creatore non si dimostrò mai troppo entusiasta del risultato ed ammise di aver fatto "di necessità, virtù", in perfetto stile barman. L'epilogo della storia è piuttosto triste, infatti Phil ha perso entrambe le gambe in un attentato nel gennaio del 2010, sopravvivendo miracolosamente allo scoppio di una mina, ed è per questo che, probabilmente, gli si è voluto riconoscere la codifica come "premio", per il suo coraggio. Anche il mondo del bere ha fatto la sua parte di riconoscenza per l'ottimo lavoro svolto da Phil...
Cocktail in auge nella America degli anni '90 in piena epoca Grunge, dove era il protagonista incontrastato delle feste di adolescenti, che mascheravano con un look da tè freddo, una vera bomba alcolica, eludendo il divieto di bere fissato in 21 anni. Si dice, ma è tutto da verificare, che la sua invenzione sia di molto antecedente, collocandola durante il Proibizionismo Americano del 1919, dove era servito all'interno dei locali "Speakeasy", grazie al suo aspetto innocente. La formulazione multi distillato probabilmente permetteva di utilizzare quello che al momento era disponibile, all'interno del locale, così come l'uso dei soli white spirits era il marchio di fabbrica di quel periodo. Considerata l'illegalità della produzione e vendita dell'alcol, non era più reperibile il Bourbon whiskey americano. Tra l'altro se anche fosse prodotto, non era possibile perdere tempo e soldi per il suo invecchiamento. Tecnicamente la vodka di segale e mais era un whisky bianco, una sorta di moonshine dai forti sentori di granaglie, mentre il rum era facilmente reperibile nella vicina Cuba, così come la tequila dal Messico. In realtà gli Ice Tea di epoca proibizionista erano caraffe miste di alcolici, soprattutto whisky canadese e rum, zucchero, limone e Coca Cola, nati appunto per dissimulare il tè freddo, somministrate a clienti accondiscendenti. Alcuni non concordano con questa versione poichè la Coca Cola non era un prodotto contemplato dai barman dell'epoca. Visto il divieto di consumo di alcol a tutti i livelli e la corruzione dilagante fra la polizia, nessun agente poteva attestare la presenza di alcol in esse, pertanto ci si accontentava di stendere un semplice verbale, dove si constatava la presenza di tè freddo all'interno del locale. Dopo un periodo di oblio fu riproposto, intorno agli anni '70, nei collage americani (nella foto Harward), durante le feste fra studenti ed è tuttora molto gettonato all'interno dei locali da ballo di tutto il mondo. Secondo J.S. Moore autore del libro "Understandig Apples" la nascita del cocktail è databile sempre negli anni 20 nella comunità di Long Island ma a Kingsport nel Tennessee. La ricetta era composta da rum, vodka, whisky, gin, tequila, sciroppo d'acero e soda e fu inventata da un signore il cui soprannome era "Old Man Bishop" che fu poi riproposta dal figlio Ranson negli anni 40 con le opportune modifiche che noi sappiamo. Infine altri ancora pensano che questo fosse un drink per casalinghe frustrate. Negli anni 50 si incontravano con le amiche nelle rispettive case e davano fondo ai bar casalinghi dei mariti, mescolando tutto quello che trovavano, rendendo il tutto bevibile con zucchero e limone. Quale sia la verità non lo sapremo mai, ma sicuramente la storia più plausibile sembra la seguente. Un barman di Long Island, del bar "All Oak Beach Inn", conosciuto come Robert "Rosebud" Butt, esegue e trascrive nel 1974 il cocktail utilizzando i distillati e i liquori che noi oggi conosciamo, riportati nella ricetta. Il drink non è assolutamente l'emblema del bere responsabile e contravviene alla regola base della mixologist, di non utilizzare mai due basi alcoliche di origine diversa per lo stesso cocktail, figuriamoci tre o quattro!! Il Long Island, a causa del successo, ha avuto una serie di declinazioni come il Japanise con il Midori, il Long Peach con liquore alla pesca e il Long Passion con il Passoa.
Il nome di questo drink è esemplificativo della sua bontà , infatti in lingua tahitiana significa "il migliore". I natali del drink sono contesi da due importanti padri, come spesso accade per i drink di successo. Il primo è Don Beach titolare del "Don Beachcomber" e creatore della moda della Tiki-era, ovvero la moda tutta americana di aprire locali con ambientazioni esotiche kitch, con tanto di stelle marine seccate e conchiglie. Il secondo è il suo rivale in affari "Trader Vic" che gli rispose anni dopo aprendo un tiki bar all'interno del Westling Hotel di Seattle. La ricetta originale di quest'ultimo è datata 1944 e riporta come unico rum quello scuro di Wray & Nephew 17 anni a cui si aggiunge un centilitro di Rock Candy Syrup, uno sciroppo di zucchero molto concentrato ed un ramo di menta come decorazione. La ricetta viene rivista nel 1997 e vede il dimezzamento della dose di scuro ed il cambio di Wray & Nephew con un rum scuro di minor invecchiamento. L'altra oncia di rum sarà un bianco agricolo della Martinica, mentre la decorazione si arrichisce di una fetta di ananas. La paternità da parte di Don Beach non ha nessuna testimonza ad avvalorarne la tesi. Trader Vic, invece, ha il fondamentale supporto di due testimoni d'eccezione, due tahitiani che si videro preparare questo drink da uno dei baristi del Beaccomber, che assaggiatolo esclamarono "Mai Tai roa ae" tradotto in " E' divino , è il migliore". Un omaggio a Tahiti e alla sua divina bellezza fu fatto da Paul Gauguin, che rimase stregato dalla bellezza dei luoghi e delle donne. A voler essere precisi , a suffragare i natali di Seattle di questo drink, c'è anche una carta cocktail di quel periodo che attesta che in questo bar si preparava anche lo Scorpion un drink analogo, nelle quantità, di succhi e rum, decisamente più forte, poichè, al posto del curacao trovava posto la medesima quantità di brandy. Cosiderato il successo del drink a cavallo degli anni '60 e '70 , si è assistito ad un moltiplicarsi di ricette che hanno modificato sensibilmente la ricetta, la più importante, riportata anche su molti ricettari IBA è quella dell'aggiunta di granatina. In altri casi si sono aggiunti altri succhi come arancia e ananas per rendere più morbida la ricetta, ma tutti sono assolutamente privi di fondamento storico. Per chiudere una curiosità legata al mondo cinematografico: il drink, assoluto best seller del periodo, fa la sua comparsa in un film musicale del 1961 "Blue Hawaii" interpretato dal grande Elvis Presley .
Un drink che ha fatto letteralmente la storia del '900 e che ha diversi creatori che ne reclamano la paternità. Inoltre su entrambe le versioni pende la spada di Damocle della Storia, con precise date a confutare la sua origine romanzata e romantica. Entrambe le leggende collimano su una cosa: il drink nasce sicuramente a New York, portando il nome del famoso distretto, il vero nucleo storico della città che sorgeva sul fiume Hudson. I coloni olandesi, avveduti commercianti, fondarono New Amsterdam sull'isola principale della foce, la quale era protetta naturalmente dal grande fiume. La prima versione dei fatti racconta che il suo inventore sia stato un barman addetto alla preparazione del cocktail party dato in onore di Samuel J. Tilden, in corsa per la Casa Bianca, democratico convinto e governatore di New York. Fra gli invitati c'era Lord Randoph Churchill , futuro padre di Winston Churchill. Altri individuano nella signorina Jennie Jerome, figlia del proprietario del New York Times, come l’inventrice-ispiratrice del cocktail. Non è dato a sapersi se anche la versione originale avesse la ciliegina, aggiunta che che a molti pare postuma. Il cocktail piacque cosi tanto al nobile lord inglese, che volle conoscere a tutti costi l’autrice. Una volta presentati, se ne innamorò con il classico colpo di fulmine. Da baristi ci piace pensare che ancora una volta il bere miscelato sia stato un elemento di socialità. Dalla loro unione nacque sir Winston Churchill, uno degli protagonisti indiscussi della Seconda Guerra Mondiale, che con la sua caparbietà, guidò il popolo Inglese alla riconquista dell'Europa nazista. Pur essendo nato grazie ad un Manhattan, Churchill gli preferì sempre il più inglese, Martini Cocktail, nella versione Dry Bone. Questa versione dei fatti, bella e molto romanzata, viene confutata da alcuni elementi storici. Il 14 aprile 1874 Jennie Jerome si sposa con Randolph Churchill. Il 4 novembre dello stesso anno Samuel Tilden viene eletto governatore di New York. I due si sono conosciuti evidentemente prima, infatti il cocktail, imputato della loro conoscenza, viene prodotto successivamente, il 18 novembre 1874, al ricevimento per festeggiare l'avvenuta vittoria elettorale. A dimostrazione della loro conoscenza anteriore nasce anche il piccolo Winston il 30 novembre 1874, che fa ovviamente pensare che i due si siano sposati, con Jennie già incinta, per salvare l'onore della ragazza. Terminata l'analisi storica veniamo al successo del cocktail. Il Manhattan, insieme al Martini Cocktail, detiene un primato di apparizioni cinematografiche di successo. Compare infatti in "A qualcuno piace caldo" con Jack Lemmon e Marilyn Monroe dove viene preparato contravvenendo alla ricetta con del Bourbon Whiskey (errore spesso commesso da molti barman che confondono il rye whiskey americano o canadese con il Bourbon), ma soprattutto miscelato direttamente dentro alla bottiglia... A dei mostri sacri del cinema così amati, si perdona anche questo... Il drink compare anche in "Il colore dei soldi" dove viene bevuto da "Eddie lo svelto" il protagonista del film interpretato da un magistrale Paul Newman, che grazie a questa sua interpretazione vinse anche l'Oscar, dopo essere stato nominato per "Lo spaccone" di cui il film rappresenta il sequel. Ultima citazione cinematografica viene dai "Simpson" dove viene preparato addirittura dal giovanissimo Bart, che è costretto , per avere salva la vita, a prepararlo per i mafiosi di Springfield. Il Manhattan è la prova da superare per non essere eliminato dalla mafia e Bart ci riesce in maniera superba, tanto che ne diventa il barista di fiducia. Per chiudere la celebre battuta di Martin Short, celebre attore e produttore canadese, che in un talk show recitò la frase: "Ma dottore io mangio un sacco di frutta, metto sempre tre ciliegine nel mio Manhattan". Esistono alcune declinazioni del Manhattan, la più famosa è il Fallen Leaves, in cui il distillato utilizzato è il Calvados, senza l'aggiunta di angostura. Pur non avendo una data certa di codifica, possiamo presumibilmente collocare la nascita del drink nel periodo post-filloserico, quando il Calvados visse il suo periodo di massimo splendore. Un'ulteriore versione del drink si ha nel Tinton, da tempo dimenticato, dove il vermouth rosso viene sostituito dal Porto in uguali quantità. Per finire il Saratoga che molti ritengono essere il pronipote del Manhattan, essendo datato nella metà 800. Il marchio di fabbrica che certifica la sua antica origine è l'uso di due distillati insieme, in questo caso la dose di rye whisky viene dimezzata in favore del brandy, che ingentilisce il risultato finale. Rimangono inveriate le dosi di vermouth e di angostura e la decorazione.
Uno dei grandi classici della lista IBA, il cocktail che negli anni si è guadagnato il nome di "Bebida nacional" da parte dei messicani, orgogliosi di siffatta armonia e bontà racchiusa in questo drink, basato sul loro distillato nazionale: il Tequila. Il drink, dimostra ancora una volta l'animo romantico dei barman e la loro dedizione alle donne. Il Margarita nasce in onore della stellina del cinema holliwoodiano Marijoire King, ospite dell'Hotel "La Gloria Ranch" di Tijuana in Messico. Il suo creatore è il barman, nonchè proprietario del ranch, Danny Herrera e la leggenda vuole che, innamoratosi di lei, gli abbia dedicato il cocktail. La vera storia sembra leggermente diversa, infatti pare che l'attrice, grande estimatrice del Tequila e al contempo "allergica" al gin, suggerì lei stessa di sostituirlo, nella preparazione di un classico White lady. Il drink ebbe un ottimo successo fra gli avventori e si decise di chiamarlo con il nome dell'attrice, Marijoire, che in messicano diventò Margarita. L'aggiunta del sale sull'orlo del bicchiere non è nient'altro che un logico completamento al modo classico di bere Tequila, con sale e limone. La crustas, nome spagnolo ad indicarne la preparazione, andrebbe eseguito solo per metà, lasciando libero il consumatore di scegliere se assaporare il drink con il sale o meno. Su alcuni ricettari storici, come emerge dagli appunti di Angelo Zola, compare una sostanziale variazione sull'equilibrio del drink. La ricetta in questione riporta 2,5 cl di Tequila e 2,5 cl di succo di lime, questo cambiamento rende il drink leggermente più squilibrato e decisamente più acido e secco, in quanto il Cointreau scende a soli 1,5. Quale sia l'originale non è dato a saperlo. L'uso del triple sec o del Cointreau invece appartiene al gusto personale del cliente e del barman . Sfogliando ricettari cartacei e su internet si nota però che la scuola americana sembra preferire la prima soluzione e l'europea la seconda. Anche se in molti cocktail bar lo fanno, per ragioni di velocità, non bisogna assolutamente usare lo sweet& sour mix, poichè nella sua preparazione c'è una percentuale di acqua, che allungherebbe oltremodo il drink. Infine una curiosità. Se non vi fidate del barista o se siete un estimatore del drink e volete berlo a casa, ma non vi fidate di voi stessi , è acquistabile in America o via internet, un liquore il "Margarita King" che riproduce fedelmente il cocktail. Il liquore va shakerato ed è pronto da bere e ha ottenuto alcuni riconoscimenti, contrariamente ad altri cocktail in bottiglia, al Chicago Beverage Tasting Instutute dal 2004 al 2006. Il Margarita, nato per una stellina del cinema, ritorna ad esso in una una fugace comparsa nel film "Vi presento i nostri", ordinato (senza sale) da Ben Stiller, alias Gaylord "Greg" Focker. La commedia, della fortunata serie, narra le spassose storie di un paranoico ex agente della Cia, interpretato da Robert de Niro e del suo imbranato genero impersonato da un superlativo Ben Stiller.
Le leggende che circolano su questo drink sono molteplici, una vorrebbe che questo drink, modificato da Martini, ad Arma di Taggia, sia diventato il Dry Martini, un mix decisamente più secco del suo ispiratore, che utilizzava gin dolcificato e vermouth rosso. Altri sostengono che non esista un signor Martini, ma che il cocktail sia nato semplicemente dalla contrazione di questo nome messicano di difficile pronuncia per gli anglosassoni. Per molti barman del passato questo è il vero e giusto bilanciamento per il cocktail Martini, che altro non sarebbe che una classe di appartenenza per questa tipologia di cocktail fatti con gin e vermouth. Le altre parlano di romantiche storie risalenti all'età della Corsa all'Oro. Gli ingredienti ricalcano quelli disponibili a quel tempo, quando la miscelazione disponeva di ben pochi aromatizzanti e spesso le ricette variavano di gusto, grazie alle diverse "grammature" dei prodotti disponibili. A dimostrazione di ciò, è il testo, edito nel 1860, intitolato "The Bartender Manual" di un certo Harry Johnson che descrive ben 11 drink a base vermouth fra cui il Morning Cocktail e il Silver Cocktail, assimilabili alla scuola del Gin and French e Gin and It, fra cui compare anche un tal Martinez. La prima leggenda è datata 1849 e racconta di un assetato e generoso cercatore d'oro che decise di fare una sosta al saloon Julio Richelieau di San Francisco. Sprovvisto di denaro, pagò il conto con una pepita d'oro di valore molto superiore al totale, fu così che il barman decise di dedicargli il primo Martinez, dal nome del villaggio californiano simbolo della corsa all'oro. L'altra leggenda ha un protagonista illustre, il mitico Jerry Thomas, che nel 1860 lavorava al San Francisco Occidental Hotel, che miscelò, sempre per un cercatore d'oro, diretto alle munifiche miniere della California orientale, questo drink , battezzandolo sempre con il nome della famosa città, meta e illusione di tutti i cercatori di allora. Il grosso dubbio, per entrambe le leggende è la distribuzione del vermouth rosso dolce, che all'epoca non era molto diffuso in America. La sua distribuzione capillare iniziò solo due anni più tardi della data citata da Thomas, infatti, lui codifica il drink nel suo libro "How to mix drinks" edito nella prima edizione nel 1862. Secondo il grande Angelo Zola solo le miscele con queste percentuali erano degne di poter essere proposte come Martini's, poichè avevano un giusto equilibrio fra durezze e morbidezze e soprattutto esaltavano la complessità botanica di gin e vermouth che si andavano a completare perfettamente.
Un grande classico degli anni 50, nato in piena Tiki Era , quando praticamente tutti i cocktail contenevano rum bianco e succhi esotici. Il drink fu dedicato ad una delle più grandi attrici del cinema muto americano, Mary Pickford, nome d'arte della canadese Gladys Smith. La Pickford divenne famosa ricoprendo la  parte della ragazza sbarazzina, acqua e sapone in situazioni  zuccherose e romantiche, molto amati dal pubblico. Questo ruolo di ragazza semplice e ingenua era solo cinematografico, infatti nella vita privata si sposò per ben tre volte, separandosi burrascosamente le prime due. Aprì una casa di produzione con il genio del muto Charlie Chaplin e curò maniacalmente tutti i i suoi 52 film, arrivando a guadagnare la cifra record di 10.000 dollari a settimana di lavorazione. L'avvento del sonoro, compromise la sua carriera anche se, proprio in quel periodo vinse l'unico Oscar della sua carriera, con un film dal nome premonitore "Coquetelle", lo stesso che avevano i bicchieri ovali, dove anticamente venivano serviti i liquori. Questo cocktail, ora quasi dimenticato, fu creato a san Francisco, da un barman che voleva celebrare il fascino di Mary Pickford, conosciuta in quegli anni  anche come "la fidanzata d’America", per la sua bellezza acqua e sapone, che incarnava perfettamente lo stereotipo della donna ideale del periodo.
Il famoso cocktail MI-TO, anche se alcuni preferiscono dire Torino-Milano, per campanilismo sabaudo, vede due diverse tesi sulla sua nascita, decisamente divergenti riguardo la loro collocazione storica. Secondo alcuni nacque agli albori della miscelazione italiana, nella seconda metà del 1800, quando vermouth rosso e "Bitter all'uso di Hollandia", divenuto poi il Bitter Campari, la facevano da padroni. Non c'era bar che non proponesse questa miscela aperitiva, già pronta in caraffa, all'interno del suo frigo. Il drink veniva servito in bicchieri bassi, senza decorazione e ghiaccio. La mancanza del ghiaccio, presente invece nelle codifiche successive, nasce dal fatto che sul mercato non erano ancora presenti i fabbricatori di ghiaccio, che inizieranno ad arrivare, in grande scala, solo alla fine del 1800. Il nome nasceva dal fatto che per eseguirlo si utilizzavano i due prodotti più rappresentativi delle due città, il Bitter Campari e il Vermouth di Torino, nella sua versione più amara, il Punt & Mes data da un aggiunta di china (paragrafo vermouth del sito). Secondo altre fonti il primo vermouth utilizzato potrebbe essere invece il Cora, prodotto egemone del periodo, la cui dicitura in etichetta recitava "Amer", amaro, sempre per via dell'aggiunta di china. L'uso del Punt& mes, sarebbe successivo, per via della scomparsa del prodotto Cora. La decorazione era fornita da due scorze di agrume, il limone e l'arancio, in grado di influenzare con i loro oli essenziali il cocktail. Molti barman preferiscono anche per il Negroni mantenere questa decorazione che dona maggior secchezza al drink rispetto alla fetta con polpa dolce di arancia. Il drink fu a lungo il best seller dei bar di tutta Italia, fino all'avvento dell'Americano nei primi del 900 che vedeva, in alcune sue versioni l'uso della soda. Il drink era più leggero e beverino e divenne un vero must con ben dieci ricette ufficiali nel 1936, scritte nel libro di Grassi. (vedi Americano su questo sito) Il MITO fu quindi modificato e soppiantato ed a lungo sparì dalle preferenze degli italiani, per ricomparire in tempi recenti grazie al recupero del vintage. Secondo un'altra versione il drink sarebbe stato inventato attorno al 1932, per celebrare l'inaugurazione dell'A4, la Torino Milano che univa i due capoluoghi industriali e che dotava finalmente l'Italia di una moderna via di comunicazione. Talvolta la ricetta viene riportata con dosi leggermente diverse, con 5 cl di vermouth rosso e 4 cl di Campari, con due gocce di liquore al rabarbaro. Questa aggiunta del rabarbaro non appare assolutamente fuori luogo, anche pensando a quanto segue. Sul libro di Elvezio Grassi del 1936 "Mille Misture", oltre che una ricetta di Milano Torino, è presente una declinazione autarchica milanese, detta appunto MILANO-MILANO che sostituisce il vermouth di Torino, con il Rabarbaro Zucca, altro storico famoso liquore della tradizione meneghina. Le note di rabarbaro, botanico presente nel vermouth, ma non in quantità eccessive, si sposano molto bene con le note amare del Campari per una valida alternativa all'originale.
Il creatore di questo drink è il famoso barman Ngian Tong Boom, del Raffles Hotel, già conosciuto per essere il padre del Singapore Sling. Il drink, nasce ad inizi '900 ed ha un nome assolutamente altisonante ed incarna quello che per quegli anni era, in assoluto, il sogno proibito di ogni americano, una cifra pazzesca in grado di assicurare vita agiata e ogni lusso possibile. Tale cifra, diventata anche un modo di dire, a sottolineare qualcosa di straordinario, sarà ispiratrice, in futuro, di altre situazioni come il famoso film di Wim Wenders "Million Dollar Hotel" o "Million dollar Baby" di Clint Eastwood. Il drink, solo nel nome, potrebbe essere stato il precursore dell'attuale moda, in voga presso bar esclusivi di Londra e Dubai, di avere cocktail con prezzi di listino esorbitanti. Questi luxury drink costano anche svariate migliaia di euro, in virtù dell'utilizzo di alcolici esclusivi, come Cognac prefillosserici o cadeaux decorativi costosi, come diamanti o pepite d'oro. La verità purtroppo non è questa, il drink infatti non era fatto con ingredienti costosi, anzi... in quel periodo, quando la miscelazione era pioneristica, il vero obiettivo era evitare inutili sprechi , pertanto si dice che il geniale barman abbia inventato questo drink per un cliente affezionato, con il solo obiettivo di finire il mezzo albume utilizzato per un Sour pochi istanti prima... Chapeau !
Il drink ha due padri che se ne contendono la nascita, mentre è sicuro è il luogo di nascita: l'America. Il primo potrebbe essere il capitano Marryat della Royal Navy, famoso romanziere, che concepì il drink durante i suoi viaggi transoceanici, per ammazzare la noia del lungo tragitto. La mentuccia necessaria per la realizzazione del cocktail si coltivava facilmente anche sulle navi, a scopi culinari, mentre zucchero e soda erano sempre facili da reperire. Un'altra versione, molto simile negli intenti di consumo, vede un diverso creatore, in questo caso si parla di Jonh Davis, navigatore ed esploratore, inglese di nascita, ma australiano d'adozione che lo citò in un suo scritto datato 1803. Henry Clay, governatore della Virginia nominò spesso questo drink, nei suoi scritti, ma non menzionò mai il suo creatore. A suffragare la teoria che un cocktail a base Bourbon possa essere nato in tale stato, oltre ai natali del distillato, c'è la parola Julep che indica una soluzione di acqua e zucchero, preparata per i bambini del luogo che devono prendere una medicina non gradita. Si dice anche che questo drink, ovviamente non codificato, abbia un antenato ben più antico, si sostiene infatti, da alcune fonti che il drink fosse il dissetante dei confederati, durante la Guerra Civile Americana. Le cronache ci dicono che questo drink era in assoluto il dissetante più gettonato nella metà dell' 800, durante il Kentucky Derby, la famosa corsa ippica che si disputa ogni anno a maggio nello stato che ha dato i natali ad ottimi Bourbon. Curiosità legata a questo cocktail famoso è la sua comparsa nel 1963, all'interno del film "Goldfinger", il terzo film della serie dedicata a James Bond, l'agente 007. Un drink con ingredienti umili che forse mal si adatta alla spia più raffinata del mondo, ma Gold Finger il suo acerrimo nemico, glielo offre, all'interno della sua splendida tenuta di campagna. Bond abituato ai suoi eleganti e secchissimi Vesper Martini chiede che non gli sia preparato troppo dolce. Il drink si prepara come molti classici dell'epoca stemperando con la soda un cucchiaio di zucchero bianco semolato, ma al bar per essere più veloci si può anche utilizzare lo sciroppo.
Per parlare del Mojito dobbiamo partire dal fondo, ossia dalla preparazione, argomento solitamente trattato alla fine di ogni articolo. Questo perché nessun cocktail ha diviso così tanto la comunità dei bartender, schierati fra puristi e pragmatici. I primi, invero rari nei primi anni Duemila, sostenevano che la ricetta originale fosse un Collins, un cocktail mescolato nel bicchiere con tutti gli ingredienti con succo di lime spremuto e zucchero di canna bianco. E per supportare questa tesi portavano ad esempio alcuni testi sacri, italiani e non, dove era chiaro che il Mojito non avesse mai avuto il lime pestato. A questa narrazione aggiungo la menta, che è la principale vittima del trattamento, liberando sentori amari e di erba falciata. I secondi partivano dal presupposto che il cocktail gli era stato insegnato in quel modo da un guru del bancone e che al cliente piaceva così. Tanto è che in quel periodo fiorì anche la moda del Cuba Pestato, ovvero un Cuba Libre dove galleggiavano fra i cubetti di ghiaccio tristi spicchi di lime maltrattati con il muddler. A questo si aggiunga che entrambi gli schieramenti, spesso in nome di accordi o posizionamenti di mercato, non utilizzavano un rum cubano per la sua preparazione, tradendo di fatto, l’origine indiscutibile del cocktail. Su questo aspetto infatti nessuno discute, poiché l’isola caraibica (se non i natali) diede sicuramente il battesimo della rinomanza a questo drink. Oltre al rum, un’altra licenza “poetica” fu la menta, che andrebbe semplicemente sprimacciata affinché liberi il suo olio essenziale contenuto soprattutto nel gambo. Ma qui nei primi anni Duemila si poteva fare ben poca cosa, non essendo reperibile la yerba buena. Nei bar infatti si utilizzava la menta mediorientale reperita nei mercati rionali da macellerie o ambulanti arabi, o quella coltivata in vaso, con grande cura, dai titolari dei bar. Il problema era la fragranza, poiché il biotipo cubano ha poco a che vedere con l’europeo (infatti non appartengono alla medesima specie botanica), sia essa spiccata che piperita, assomigliando al gusto più alla santoreggia. Oggi, dopo un decennio di discussioni, sembra che la versione non pestata, e quindi originale, abbia preso giustamente il sopravvento. E ci sono decine di bartender della seconda “fazione” che negano di aver mai fatto anche un solo Mojito pestato. Lo scrivente liquidò circa venti anni fa la questione mettendo in lista un Mojito Originale Cubano e un Mojito Torinese, lasciando che i clienti potessero scegliere e soprattutto domandarsi il motivo della presenza di due ricette. Una volta provate entrambe, erano liberi di scegliere. E la scelta spesso ricadeva sul primo per un indubbio miglioramento al gusto poiché il solo succo di lime, invece che la buccia contusa dell’agrume, non liberava dopo qualche minuto i classici gusti amari tipici dell’albedo. Prima di chiudere la questione ricetta, sarebbe molto interessante capire dove nacque l’errore. Venendo alla storia invece, il cocktail nacque, nella sua versione attuale, a Cuba negli anni Trenta, ma fu portato al successo da Hemingway nei primi anni Cinquanta, durante il suo soggiorno nell’isola per la stesura del suo capolavoro “Il vecchio e il mare”. Hemingway, sempre secondo la tradizione, lo beveva alla Bodeguita del Medio, preparato da Angelo Martinez, vera icona della mixologist cubana. Nel bar capeggia ancora una lettera autografa di Hemingway con il famoso motto che tutti conosciamo, dove si citano Mojito e Daiquiri. Curiosamente però lo scrittore non menzionò mai il bar nei suoi scritti, cosa che invece fece con l’Harry’s Bar di Venezia in “Addio alle armi”.  Secondo la tradizione più accreditata, il barman della Bodeguita riprese l’antica ricetta di una bevanda del Seicento preparata da Sir Francis Drake, il corsaro di Sua Maestà Britannica, pozione che ebbe successo e fama in tutti i Caraibi, e assunse il nome di Draque, in onore del suo creatore. Secondo un’altra versione dei fatti, il corsaro di Sua Maestà non fu il diretto inventore della ricetta ma la causa della sua invenzione. Drake, nonostante l’ordine di prendere la capitale dell’isola, compreso che sarebbe stato un inutile bagno di sangue, decise di togliere il disturbo dopo poche iniziali schermaglie. La popolazione, grata per questa decisione, decise di dedicargli una miscela con il suo nome. Questa bevanda rimase a lungo in auge, soprattutto come medicinale, cosa successa anche per Sazerac o altri cocktail a base di erbe, limone e zucchero. Qualunque sia la storia, il nome venne cambiato in Mojito, dall’etimologia piuttosto contrastata. Mojo è una salsa per marinate e intingoli a base d’aglio della cucina cubana, che sembra avere poca attinenza con le doti aromatiche del cocktail; mentre mojadito in spagnolo significa umido, parola poco poetica per un drink di siffatta bontà. L’ultima ipotesi è la più verosimile e indica in mojo la parola vodoo per indicare incantesimo, quindi Mojito starebbe a indicare un piccolo incantesimo, che rende assolutamente onore alla fine armonia di questo cocktail. Ripercorriamo ora le origini della ricetta codificata e degli ingredienti. Quando eravamo ancora lontani dal successo del cocktail, nel 1987, uscì “1000 cocktails” di Marcialis, uno dei grandi barman della scena italiana. Su questo testo si parla di lime spremuto. Nel 2001 uscì il libro ufficiale dell’AIBES, il “Dizionario dei cocktails”, ed anche qui il Mojito è ancora un Collins. Nel 2008, quando il cocktail era ufficialmente in auge, venne pubblicato il “Manuale del barman” di Umberto Caselli, ed anche qui si parlava di succo con l’alternativa di quello di limone dettata forse da questioni economiche. La difficoltà nel reperire il lime con il successo di due cocktail con questo ingrediente, portò ad una lievitazione dei costi, e probabilmente indusse l’autore a proporre questa opzione, di fatto applicata in molti bar dove si mescolavano nei premix i due agrumi. Una ragione anche organolettica, infatti i lime arrivavano spesso non maturi, raccolti in anticipo per soddisfare il mercato, ed erano poveri di succo e di sapore. Il mescolare qualche limone di qualità italiano non poteva che giovare. Rimane quindi fondata la teoria che questo cambio di lavorazione, dal mescolato al pestato, fosse stata introdotta dai barman sui loro punti vendita. Un errore quindi venuto dalla strada, probabilmente figlio del successo di un vero pestato, la Caipirinha. Il successo del Mojito fu successivo, e per un certo periodo parallelo, a quello del cocktail brasiliano, pertanto è facile pensare che vedendo una ricetta simile nelle sue basi, lime e zucchero, il barman abbia pensato che anche in quel caso andasse lavorato con il pestello. Anche l’uso del ghiaccio a scaglie per entrambi invece che a cubi (richiesto dal Collins) supporterebbe tale ipotesi così come la scelta del brown sugar anche quando era disponibile la versione, sempre di canna, bianco.            
Un classico della miscelazione di inizio '900, che vede eccezionalmente la presenza dell'assenzio, infatti nonostante il divieto in Europa, il Regno Unito, continuò a produrre, insieme alla Spagna, questo liquore ad alta gradazione. Il drink fu creato nel 1920, dal grande Harry Mc Elhone, qui ancora agli inizi della sua carriera, al Ciro's Club di Londra. Poco dopo, il capo barman Elhone, si trasferì a Parigi, all' Harry's New York Bar, dove avrebbe iniziato la sua splendida carriera, inventando alcuni capisaldi della miscelazione moderna.
Il Moscow Mule è un cocktail iconico per diversi motivi che, a ben guardare, racchiude in sé molti significati. Iniziamo con il dire che è l’esempio lampante che non bisogna mai arrendersi e che, se si crede nel proprio prodotto, o nel caso del bartender, nella propria idea di miscelazione, bisogna perseverare. Spesso le buone idee sono dietro l’angolo ed arrivano quando si è prossimi alla disperazione. Si dice infatti che si ragiona meglio con la pancia piena ma spesso fare di necessità virtù è la chiave del successo. Potremmo continuare affermando che è la dimostrazione che solo il gruppo vince e che i singoli da soli possono fare ben poco nel mercato di oggi. Infine è l’applicazione fattiva della frase che scrisse Hemingway ne Il Vecchio e il mare  “Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai”… Il Mulo Moscovita è infatti tutto questo: l’unione di tre prodotti “perdenti” singolarmente, di tre imprenditori di diverse estrazioni ed esperienze che ebbero in questo cocktail la realizzazione del sogno americano applicato alla miscelazione,  Il Moscow Mule nacque nel 1947 per assecondare il rilancio sul mercato americano della vodka Smirnoff che soffriva la concorrenza di whisky e gin. Secondo la tradizione il cocktail fu creato da tre uomini di affari, in una stanza del Chatham Hotel di New York. Il motivo della riunione? Fare un brain storming (si dice così oggi) ovvero mettere sul tavolo le idee e le strategie più disparate per i loro prodotti, senza seguire necessariamente una logica. Il primo era John Martin, responsabile di un grosso distributore di bevande alcoliche e cibo, la Heublein Brothers; il secondo Jack Morgan, proprietario della Cock and Bull Products, produttore di bibite fra le quali spiccava la poco venduta Ginger Beer, nonché proprietario di un noto ristorante a Los Angeles con lo stesso marchio; il terzo Rudolf Kunett (al secolo Kunetchansky), presidente della Smirnoff America. La vodka, il distillato neutro per eccellenza era in procinto di essere rilanciata negli Stati Uniti dopo la poca fortuna riscossa anche in Europa, troppo abituata alle acquaviti ambrate ed ai gusti marcati. Rudolf con un’abile mossa di marketing si era assicurato, alla fine del Proibizionismo, la licenza di produzione in terra americana, ma complice l’arrivo del Secondo conflitto mondiale ed alcune scelte di marketing opinabili a livello di collocamento sul mercato (la vodka proposta come whisky bianco senza ricordare neanche lontanamente al gusto un moonshine artigianale), fino a tale data aveva accumulato solo perdite. Anche gli americani infatti continuavano a preferire al gusto pulito della vodka il robusto e gustoso bourbon invecchiato in botti di rovere bianco. Dopo diverse proposte nacque quella vincente. Un esempio di co-marketing incredibile e travolgente fra due prodotti che non erano riusciti a sfondare. Il secondo ingrediente del cocktail era infatti  la Ginger Beer che con il suo gusto piccante male si adattava in purezza ai palati americani e la cui giacenza preoccupava non poco il ristoratore. Anche il recipiente fu un recupero a basso costo. Il cocktail era infatti servito in tazze di rame, su idea dello stesso Morgan, in aperta rottura con il passato fatto di tumbler e coppe cocktail di vetro che facevano vedere il liquido. Anche in questo caso si trattava di un mezzo flop commerciale, infatti le goffe tazze panciute erano provenienti da uno stock che giaceva da mesi in un magazzino di un sua amica .  Il veicolo da traino per il successo del Mulo, che prese a scalare le vette delle preferenze, come titolavano i giornali locali, giocando sul nome del cocktail fu, di fatto, l’emulazione. Giocando su questo sentimento  i tre uomini di affari comprarono pagine intere dei quotidiani, che riempirono con foto di consumatori di Moscow Mule catturate durante le feste che loro stessi davano al ristorante. La gente, alla ricerca di un minuto di notorietà predetto da Andy Warhol, faceva a gara per essere fotografata con la tazza di rame mentre sorseggiava il cocktail per dire agli amici di “essere finito sul giornale”.  Visti i suoi natali il Moscow Mule ebbe un testimonial d'eccezione, l'attore Woody Allen, newyorkese doc. La sua faccia allampanata compariva su decine di pubblicità e riportava alla mente i suoi personaggi paradossali la cui vita si svolgeva sullo sfondo della città che non dorme mai. La preparazione è effettuata direttamente nella mug di rame, decorata con fetta di lime e un ciuffo di menta, facoltativo mentre la fetta di cetriolo che prese piede per un certo periodo non ha nessuna attinenza storica con l’originale e sarebbe meglio evitarla. Ma se piacesse al cliente, chi siamo noi per impedirlo?
Nasce nel 1919 al bar Casoni di Firenze, creato dal conte Camillo Negroni, bevitore incallito, amante della bella vita e il suo fido barman, Fosco Scarselli. Un'altra fonte sostiene che il barman lavorasse invece al bar Giacosa. Questa confusione viene generata dal fatto che nel 1932, il caffè Casoni cessò di esistere e venne sostituito dal Giacosa, dove per un certo periodo lavorò il figlio, Franco Scarselli. La carriera di Fosco terminò invece all "American Bar dell'Ugolino", una nota club house di un golf club fuori Firenze. Quello che è sicuro è che il conte, forte bevitore, non gradisse l’acqua di soda aggiunta per diluire l’Americano, il drink maggiormente gettonato all'epoca. Suggerì quindi al barman Scarselli di aggiungere anche del gin, il distillato inglese che Camillo conosceva bene, dato i suoi frequenti spostamenti nella capitale d'oltremanica. La madre di Negroni era infatti l'inglese Ada Savage Landor, figlia del famoso scrittore Walther S. Landor. La vocazione internazionale della famiglia fu confermata anche dal matrimonio del conte con la polacca Anita Zazworka, conosciuta a New York e da lui sposata nel 1903. La sua frequentazione londinese sarebbe anche dimostrata da una lettera amichevole di un antiquario di Chelsea, il famoso quartiere alla moda della capitale inglese, che suggerì al nobile di morigerare il consumo di alcol, vista la sua precaria situazione di salute. Sicuramente l'euforia per la sua nuova creazione nel panorama dei cocktail aveva preso il sopravvento Molto gustosa la vicenda che narra la nascita di questo cocktail. Si dice infatti che un giorno il conte si avvicinò al barman, gli sussurrò qualcosa all'orecchio, al che si mise immediatamente al lavoro. Al termine della miscelazione misteriosa e sottobanco disse: "Ecco il suo Americano signor conte". La scena si replicò più volte, il sussurro, la miscelazione al riparo da occhi indiscreti, il servizio, fino a che alcuni clienti intraprendenti chiesero al barman dal fare misterioso, cosa mai avesse richiesto il conte. Egli confessò che il conte gli aveva detto ogni volta " Mettici anche una buona dose di gin" . Nei giorni a seguire il drink prese ad essere molto venduto e il grande Scarselli, adottò un trucco tuttora utilizzato dai barman per distinguere l'Americano dal Negroni, ovvero mettere una fetta di arancio intera nel secondo e una mezza nel primo. Al contempo apprendiamo che la prima versione del drink continuava ad avere uno schizzo di soda, eliminata nelle successive codifiche. Questa versione della ricetta storica è confermata anche in un'intervista che Scarselli diede negli anni '60, poco prima della sua morte. Appare quindi probabile che la dose di gin dovesse essere inferiore e non uguale come oggi, così come molti pensano che inizialmente il drink dovesse avere una dose di vermouth superiore. Una ricetta nota come Vintage Negroni, riporta infatti dosi diverse da quelle conosciute e codificate dalla Iba, con 3 cl di gin, 2 cl di Campari e 5 cl di vermouth rosso. Il successo del drink fu immediato ed ancora oggi è forse il cocktail aperitivo più amato e venduto in Italia. Proprio in virtù del successo del cocktail, i discendenti del conte provarono intorno agli anni '50 la strada del commercio del drink in bottiglia, già pronto, preparato secondo la ricetta originale. Si potrebbe dire un antesignano dei "ready to drink" che oggi giorno affollano gli scaffali dei supermercati, in aiuto di novelli barman casalinghi. Il cocktail in bottiglia, nonostante il vero e proprio boom della liquoristica a cui si assistette in quegli anni non ebbe successo, forse perchè privava il consumatore della scelta di quale gin e vermouth utilizzare... Il cocktail vanta delle declinazioni, alcune delle quali hanno raggiunto una notorietà propria ed un livello di fama e richiesta pari, se non superiore all'originale. E' il caso della variante Sbagliato che nasce in tempi recenti al Bar Basso di Milano e precisamente nel 1968. La leggenda narra che fu proprio generato da uno sbaglio del barista neo diplomato ed appena assunto che non ricordando la ricetta confuse, chissà come, la bottiglia del gin con quella del prosecco. Il bar, gestito ai tempi da Mirko Stocchetto continua la tradizione con il figlio Maurizio servendo il cocktail che ormai ha valicato i confini regionali, diventando un vero must dell'aperitivo grazie alla gradazione alcolica più moderata del mitico ispiratore. Un'altra versione, figlia del successo della vodka in tempi recenti, è il Negrosky che prevede la sostituzione dello speziato gin con il distillato neutro di origine polacca. Se si vuole approfondire la conoscenza su questa pietra miliare della miscelazione italiana, il libro di Luca Picchi "Sulle tracce del Conte" è assolutamente consigliato.  
Un grande classico inventato nel 1900 non in un bar, ma in un salotto del Kentucky. Il drink nasce per stemperare il gusto del whiskey di contrabbando, di dubbia qualità, chiamato emblematicamente “anestetico per palati”, con soda e zucchero. L’angostura dona una fine speziatura e la tendenza amara che contraddistingue il drink ed aiuta a sopperire ai limiti di gusto del whiskey di allora. Un'altra versione dei fatti attesta che il drink fu creato da una collaborazione nata dal Colonnello James E. Pepper, un distillatore di bourbon del Kentucky, ed il barman del Pendennis Club di Louisville. Lo scopo era lo stesso, smorzare i toni del whiskey. Una curiosità sul drink: il grande Cole Porter gli dedicò una canzone con una strofa che suona così :" Fammi un altro Old Fashioned per favore". Il drink divenne così famoso che anche il bicchiere, una sorta di tumbler basso massiccio che lo conteneva, venne successivamente chiamato con lo stesso nome del cocktail. Il drink originariamente era decisamente più secco, infatti la dose di zucchero era pari ad una punta di cucchiaino e, a richiesta del cliente, si potevano aggiungere gocce di assenzio o di orange curacao, per rendere maggiormente complesso il drink e bilanciare le note amare del bitter. Le trascrizioni successive della IBA hanno però cancellato questi ingredienti, lasciando questo compito alla decorazione, una dolce ciliegia la maraschino...
Il drink era uno dei cocktail preferiti da Richard Burton, l'attore gallese noto per essere un donnaiolo e bevitore incallito, che recitò in decine di film diventando un'icona della mascolinità e della prestanza fisica. La sua recitazione in "Cleopatra" dove conobbe e si innamorò di Elizabeth Taylor, rimase memorabile, come memorabile fu il rapporto con lei, con la quale si sposò e separò per ben due volte... Tornando al cocktail, il mix nasce in America, probabilmente negli anni '50 grazie ad un arguto barman che rilesse in versione secca il Negroni, reinterpretandolo con il distillato nazionale americano. La presentazione normalmente è però in coppa cocktail e non on the rocks, anche se la carica alcolica consiglia spesso questa seconda soluzione. Come il suo illustre antenato, anche questo è un mix per veri uomini, come amava sottolineare l'attore, che del carattere aveva fatto sempre un suo elemento di distinzione, come evidenzia il fatto che poverissimo e dodicesimo di tredici figli, riuscì comunque ad emergere e a studiare recitazione ad Oxford, interpretando film che hanno fatto la storia del cinema mondiale.  
Fa parte di quell'elite di cocktail che risultano perfettamenti armonici, per via di una bevibilità fuori dal comune e da un equilibrio ottimo fra tutte le componenti. Il drink fa parte dello zoccolo duro della classificazione Iba, poichè è presente fin dalla prima edizione degli anni sessanta. Il drink nasce a New York al bar ristorante "Lutece", considerato il paradiso dei gourmet del tempo ed anche questo cocktail non fa che confermarne il talento. Il nome infatti richiama le paradisiache sensazione che l'unione perfetta della speziatura del gin, la dolcezza e l'aromaticità dell'apricot brandy, sorretti dall'acidità dell'arancio, possono donare al suo consumatore.
Un grande classico della miscelazione appartenente alla Tiki Era, quando il rum imperava su tutte carte cocktail del mondo. Curiosamente questo drink non fu stato creato in America, dove la moda spopolava nei locali di ispirazione caraibica, ma a proprio a Puerto Rico. Il drink dolcemente fruttato fu molto famoso e richiesto dai clienti americani che affollavano l'isola da sogno, in cerca di divertimento. La sua fama si diffuse rapidamente anche al di fuori dei confini dell'isola e continua tuttora nei locali di tutto il mondo dove il cocktail è ancora molto richiesto, specie d'estate. A dimostrazione della fama raggiunta fu anche citato in una canzone dall'eccentrico cantautore americano Warren Zevon (foto), morto a soli 44 anni di un male incurabile, che nel testo piuttosto strampalato ed allucinato sostieneva di aver visto un lupo mannaro, ben pettinato, bere una Pina Colada, seduto ad un tavolo del Trader Vic, il famoso locale simbolo della Tili Era, aperto dal grossista di alcolici Victor Bergeron. Il cocktail viene anche citato dalla fortunata serie "I Simpson", nell'episodio 16 della nona stagione. A Puerto Rico esiste tuttora una lapide di marmo con scritte in oro, sulla facciata di una casa, che ricorda ai passanti che li una volta esisteva un bar, famoso e frequentato, dove il barman Don Ramon Portas Mingot creò l'immortale cocktail nel 1963.
Il Pink Gin è senza paura di smentite uno fra i cocktail più forti del mondo e quasi sicuramente il più secco. Il cocktail nasce nella seconda metà del 1800, grazie ad alcuni membri della Royal Navy che miscelano il bitter Angostura, nato nel 1824, come rimedio medicinale, a base di genziana e chiodi di garofano, insieme al gin Plymounth, il distillato ufficiale della Marina Inglese. La versione utilizzata fu il Navy Strengh a 57 gradi con soli 7 botanici, con un leggero residuo zuccherino, caratteristica comune a tutti i gin prodotti nella distilleria di Plymounth. Il cocktail sembra più simile ad un rimedio medico che a qualcosa di piacevole da sorseggiare in compagnia, ma nonostante tutto, grazie all'opera di divulgazione in tutti i porti coloniali dell' Impero Britannico, il drink guadagnò sempre nuovi estimatori, diventando, di fatto, il drink ufficiale della Marina di Sua Maestà. Il Navy Strenght fu prodotto sin dalle origini della distilleria e fu elaborato su precisa richiesta della Marina. Nessuna nave poteva lasciare il porto se non aveva a bordo una buona scorta di questo gin. La gradazione alcolica di 57 gradi ha una spiegazione precisa, infatti anticamente per verificare se un distillato avesse al suo interno troppa acqua, si usava versarlo sulla polvere da sparo, se essa non prendeva fuoco, voleva dire che era troppo diluito. La gradazione di 57 gradi può superare brillantemente questa prova, a dimostrazione che in passato i superalcolici, avevano ben altri tenori, dovendo essere utilizzati, fra l'altro, come disinfettanti di acqua e ferite.
Questo drink semplice e fresco nasce in Jamaica per celebrare l' apertura della distilleria Myer’s nel 1879. L’ispirazione per la realizzazione del cocktail fu data dagli stessi lavoratori dei campi di canna da zucchero, che erano soliti berlo come dissetante, alla fine della faticosa giornata di lavoro, sotto il sole cocente dell'isola caraibica. Secondo una leggenda la ricetta sarebbe stata inventata dalla moglie di uno di loro, per alleviare la fatica e rallegrare l'animo del marito al ritorno dal lavoro. Obiettivo comune ad un altro famoso drink, la caipirinha, nata dalla fantasia dei contadini brasiliani, con cui condivide alcune materie prime utilizzate. Gli ingredienti sono semplici e di facile reperibilità, anche se la grenadine che si legge nella ricetta è inglese ed è del tutto diversa dalla nostra, essendo a base di melograno. L'italica granatina ha un cifra dolce superiore ed è composta essenzialmente da frutti rossi, ciliegia e lampone in testa. Una fonte non dimostrata sostiene che il drink nasca invece come cocktail della casa del Planter's Hotel di St. Luois, mentre su alcuni ricettari compare il rum bianco al posto dell'invecchiato ed il succo di ananas come complemento al posto della soda.
Ennesima variazione sul tema del Martini Cocktail, in questo caso una declinazione con diversi dosaggi del Perfect Martini, da cui si differenzia anche per l'utilizzo del cubetto di ananas come decorazione. Il cocktail nasce come drink "della casa" del prestigioso Hotel di New York, eretto nel 1907, senza però aver mai ottenuto il riconoscimento maggiore, ovvero l'inserimento nei 100 IBA, come invece accaduto per il Claridge di Londra.
Un drink intorno al quale esiste un piccolo giallo per la composizione della ricetta. Partiamo dalle cose sicure: Victoria Alexandra Mary conosciuta come la Principessa Mary va in sposa a Lord Henry Charles G.Lascelles nel 1922, con un matrimonio bellissimo, molto seguito dai suoi sudduti. Per celebrare l'evento, il grande barman Mc Elhone, che lavorava a Londra al Ciro's Club, crea l'Alexander, un classico immortale del dopo cena. Un altro barman londinese, sceglie una strada diversa e crea un drink dolce e morbido in onore della principessa. Il cocktail viene codificato all'interno del "Savoy Cocktail Book" di Harry Craddock nelle dosi e negli ingredienti scritti sopra, ovvero un mix tradizionale di prodotti del tempo, senza particolari novità di rilievo tali da far pensare ad un errore nella ricetta. Il piccolo giallo sta nel fatto che su un quaderno del grande Angelo Zola e sul menù del Principe di Milano, il cocktail che ha questo nome viene riportato con la seguente ricetta : 3,5 cl di gin, 1,5 di crema di cacao scura, 1 cl di panna fresca, del tutto simile quindi all' Alexander, se si accentua l'uso del distillato inglese al posto del Cognac. Tale modifica patriottica sarebbe stata assolutamente corretta da parte del barman del tempo, trattandosi di nobili inglesi, ma la ricetta nacque lo stesso giorno... Quale sarà la verità? visto lo spessore delle due fonti non c'è dubbio che il giallo permarrà per lungo tempo.
Fedele al principio che i drink a base frutta si preparano solo con frutta fresca e di stagione, il barman Renato Haussmann, dell' Hotel Posta di Cortina d’Ampezzo, creò la versione invernale del Bellini, usando ottimi mandarini calabresi. Il drink si rivelò molto riuscito e venne adottato come cocktail della casa, fino a diventare un cocktail codificato dall'Aibes.
Questo cocktail è la versione britannica del Manhattan, eseguita con whisky scozzese, possibilmente non molto torbato, solitamente un blended di buona qualità, ben bilanciato e fragrante. Il cocktail nonostante porti il nome di un eroe scozzese non nasce nella terra degli Higlander. Robert Roy Mac Gregor era un leggendario rivoluzionario fuorilegge scozzese del XVIII secolo, che compì le sue imprese contro i signorotti del luogo che vessavano la povera gente. Per le analogie delle sue imprese passo alla storia come il Robin Hood scozzese. Le cronache riportano la nascita del cocktail a New York, patria del Manhattan, per il lancio del whisky scozzese Dewar's, che si tenne durante la prima dell'operetta "Rob Roy" dove venivano narrate le gesta del fuorilegge. Ancora una volta cultura e mondo del bere andarono a braccetto. Un' altra fonte su internet ritiene che l'origine del drink sia ben più antica, creato da unanonimo barman di origini scozzesi al bar del prestigioso Waldorf Astoria di New York, ma la data del 1894 comunicata, non può essere compatibile con la costruzione dell'hotel avvenuta nel 1931.
Questo cocktail aperitivo si contende il titolo di cocktail più antico del mondo con il Sazerac. Fu codificato negli anni '20, ma venne eseguito sicuramente prima, infatti abbiamo la sua ricetta scritta su un menù del 1875. Il cocktail ha ben quattro versioni, quella riportata è quella ufficiale IBA, le altre sono provenienti da Francia ed Inghilterra. Il suo primo miscelatore ufficiale fu Johnny Mitta del Chatham Bar di Parigi, intorno agli anni 20. Il drink chiamato Rose era con succo di fragola, al posto del Cherry Brandy, nel '22 il Rose compare nel libro "Cocktail: How to mix them" di Robert Vermeire, in una versione in cui trova posto anche il gin, in una miscelazione simile ad un Perfect Martini. Nel '29 arrivò la versione di un tal Paul Colin, un barman di Parigi, che miscelava la ricetta con gin, vermouth e cherry brandy, per arrivare infine al "Savoy Cocktail Book" del 1930 che proponeva addirittura il Rose con gin, vermouth dry, apricot brandy ed english grenadine. Si potrebbe affermare scherzosamente che il Rose, oltre che la palma di cocktail più antico, si contende anche con il "Sex on the beach" e il "Long Island" l'altro record del maggior numero di versioni accreditate fra libri ed internet.
Il Rossini è assolutamente uno dei drink più amati dal pubblico femminile e rappresenta la lunga tradizione italiana nei drink cosidetti sparkling, eseguiti con le bollicine della landa trevigiana di Conegliano e la frutta fresca. Di questa famiglia fanno anche parte il capostipite e gettonatissimo Bellini con la pesca bianca, il Tiziano con uva fragola, il Tintoretto con succo di melograno e il Puccini con il succo di mandarino. Il nome Rossini, dato al cocktail pare più un assonanza di colore che per reali fatti storici legati al suo consumo, essendo datato come gli altri sparkling agli inizi degli anni 60, cento anni dopo la morte del famoso compositore. Fu inventato dal grande Cipriani per completare la sua proposta al banco bar dell'Harry's bar di Venezia. Rimane il fatto che Giacchino Rossini era un "bon vivant" e dalla sua biografia emergono alcuni particolari a dimostrarlo, come il fatto che facesse il chierichetto solo per poter assaggiare il dolce nettare liquoroso, utilizzato come vino da messa. Rossini marchigiano di nascita, fu comunque molto legato a Venezia, infatti ben undici sue "prime" andarono in scena fra il Teatro La Fenice e il Moisè. Fra le sue più grandi opere si ricordano il "Guglielmo Tell" , il "Barbiere di Siviglia" e l'"Otello". Tornando al cocktail nella sua preparazione occorre tenere conto del grado di dolcezza delle fragole, pertanto spesso è necessario l'aggiunta di qualche goccia di sciroppo di zucchero e di succo di limone, per evitare l'ossidazione del succo e relativo colore rosso spento. Infine bisogna ricordarsi di passare al doppio colino il risultato, per evitare che presto la polpa galleggi sul vino, creando un antiestetico "doppio strato".
Il cocktail è dedicato al grande playboy di origine dominicana Porfirio Rubirosa, nato nel 1909 e morto tragicamente in un incidente di auto nel 1965. Rubirosa , cresciuto in Francia, dove suo padre era diplomatico all'ambasciata, fu un corridore automobilistico e diplomatico a sua volta, avendo sposato, dopo una sola settimana di conoscenza, la figlia diciasettenne dell'allora dittatore dominicano, Trujillo Molina . Viste le continue infedeltà, la moglie chiese ed ottenne il divorzio. Per questo sgarbo personale il despota gli proibì di tornare in patria, cosa che Rubirosa farà solo dopo l'assassinio del suo ex suocero. Rubirosa è conosciuto soprattutto per il suo stile di vita sfarzoso e per le bellissime donne di cui amava circondarsi, fra le quali ricordiamo Marilyn Monroe, Rita Haytworth e Kim Novak. Su un libro di appunti di Angelo Zola, il grande indimenticato barman di Viverone, troviamo questo cocktail dedicato a lui, anche se sempre dai suoi scritti si legge che "Per il diplomatico- playboy Rubirosa facevo il Vie en rose con 3 cl di Cordial Campari, 2 di Vodka e 1 di Bitter" un mix intrigante non più degustabile, poichè la Campari ha smesso di produrre il Cordial...  
Un grande drink del passato, nato nel 1830, ufficialmente non come cocktail miscelato, ma come rimedio medico, ricostituente e digestivo. Non dimentichiamoci infatti che spesso il distillato di vino era definito in etichetta "Medicinal Brandy". Per alcuni è il vero ed unico "First american cocktail". Il suo creatore fu un farmacista erborista creolo, originario di Haiti, stabilitosi alla fine del 1700 a New Orleans, in cerca di fortuna. Antoine Amedee Peychaud, creatore dell'omonimo bitter, nato dal sapere della farmacopea casalinga franco-creola, fatta di radici e cortecce amare, era solito utilizzarlo come rimedio curativo della digestione e ricostituente per i suoi pazienti, miscelandolo semplicemente con ottimo Cognac, zucchero e una scorza di limone. In quel periodo il brandy francese era assolutamente egemone nella zona e le origini francesi del farmacista giocarono un ruolo decisivo in tal scelta. Nel 1853 il cocktail prese il nome definitivo, poichè il signor Sewell Taylor prese ad importare e vendere nel suo locale di New Orleans, il Cognac francese "Sazerac de Forge et fils". La ricetta prese ad essere eseguita con questo brand, che diede il suo nome sia al cocktail che al locale. A New Orleans era nata la Sazerac mania, che divenne, di fatto, la bibita più bevuta in assoluto. Visto il successo del cocktail si contarono un paio di aperture di bar con tale nome. Secondo alcune fonti Thomas Handy acquistò il locale di Sewell Taylor, secondo altri i Sazerac divennero due per via dell'apertura del Sazerac Coffee House di John Schiller. Secondo alcune fonti, nel 1870, Thomas Handy sostituì il Cognac con il Rye Whisky e modificò la ricetta aggiungendo l'assenzio, per via della mania arrivata dall'Europa per questo liquore. Di fatto, per alcuni decenni divenne una sorta di firma di molti barman americani. Se questa storia fosse vera verrebbe a decadere la principale motivazione additata per la sostituzione del Cognac nella ricetta, dovuta al devasto europeo della fillossera. A questo punto le ragioni sarebbero prettamente economiche poichè il Cognac doveva essere sicuramente più costoso del locale Bourbon o Rye. Il successo del drink determinò anche la commercializzazione da parte di Handy di un drink già pronto in bottiglia, poichè in maniera molto avveduta e commerciale, si era assicurato i diritti di produzione del bitter Peychaud e del nome del drink. Ma sulla ricetta incombeva un altro cambiamento.. Ai primi del 900 fu vietata la produzione dell'assenzio in Francia ed in molti altri paesi Europei, per via delle sue presunte doti allucinogene. Le gocce di questo liquore furono sostituite con il Pastis o con l'Herbsaint. Nonostante queste vicissitudini, da lì in poi, in tutta la città ci sarà una vera e propria esplosione della mania del Sazerac, con l'apertura di altri due bar da parte di Handy. Nel 1949 l'Hotel Roosevelt acquista i due bar e i diritti della ricetta, per aprire a sua volta un Sazerac Bar all'interno della sua hall, che nel 1958 sarà ampliato e spostato nella sala conferenze utilizzata dal senatore Huey Long. Fra i frequentatori del bar il grande comico Groucho Marx ed Edoardo VIII d'Inghilterra, mentre l'immancabile James Bond, estimatore di svariati cocktail nei suoi film, lo beve in "Vivi e lascia morire". La preparazione prevede il semplice raffreddamento del bicchiere che conterrà il drink con ghiaccio cristallino. La miscelazione dello zucchero e degli amaricanti viene effettuata in un altro bicchiere, poi eliminato il ghiaccio dal secondo si prosegue miscelando assenzio e whiskey, da unire allo zucchero amaricato. Il drink risulta molto alcolico e non diluito, poichè il ghiaccio non entra in contatto con gli ingredienti successivamente alla preparazione. La sua richiesta è normalmente una questione fra addetti ai lavori, in quanto non è assolutamente conosciuto dal grande pubblico. Una azienda di ottimi bourbon la Buffalo Trace, ha messo in produzione un rye whiskey, straight, non filtrato, in onore di Thomas Handy, di fatto il barista di New Orleans più famoso nel mondo, che ha fatto la storia del Sazerac. Il distillato conta solo 22 barili, imbottigliati e distribuiti in tutto mondo, molti dei quali via internet, che ne fanno un prodotto esclusivo e ricercato per gli estimatori del drink.  
Il cocktail dal nome strano ed intraducibile fu creato durante il Proibizionismo. Ad un certo punto dell'era proibizionista fu indetto una sorta di originale concorso fra baristi per coniare un nuovo termine per descrivere qualcuno che infrangeva la legge somministrando bevande alcoliche ai propri clienti. Il vincitore del concorso fu appunto "Scofflaw", un termine che venne subito adottato nel gergo della mala. Non tardò a nascere un cocktail dedicato eseguito con Canadian Whisky, il distillato di importazione maggiormente gettonato,  candidato a sostituire il Bourbon e due classici dell'epoca, il vermouth e l'orange bitter.
Il cocktail è quanto di più semplice si possa realizzare in ambito di miscelazione ed il "cacciavite" sembra essere il nome di battesimo della ben conosciuta "vodka and orange". Proprio in virtù della sua semplicità, la sua paternità e reclamata da più parti, mentre esistono decine di declinazioni, che vedono l'utilizzo di aranciate gasate o altri agrumi per completare la vodka. Ad esempio il Salty dog con succo di pompelmo, dove bisogna anche eseguire una crusta di sale sul bordo del bicchiere. La prima versione dei fatti sulla nascita dello Screwdriver, risale agli anni 50 ed attesta che la paternità del drink fu di un negoziante inglese di autoricambi che mescolò questa miscela, di cui era un grande consumatore, con la prima cosa che trovo a tiro, un cacciavite. Un'altra versione sulle origini del cocktail, risale al 1949, quando la vodka conquistò il mercato negli Stati Uniti, grazie al successo del Moscow Mule. Pare che un gruppo di ingegneri minerari fosse solito, in una sorta di gogliardata, aggiungere vodka alle lattine di succo di arancia in dotazione, per poi rimescolarne il contenuto con i loro cacciaviti. La terza darebbe la paternità ad un ingegnere petrolifero, al lavoro su una piattaforma, dove notoriamente scarseggiano gli stirrer da cocktail, che pertanto usò il celeberrimo cacciavite per mescolare il suo drink... Lasciando il dibattito riguardo la sua origine ed il suo inventore, il cocktail fa la sua comparsa nel cinema d'autore in "Jackie Brown" del 1997 con alla regia Quentin Tarantino, dove viene citato e consumato in varie riprese dagli attori, fra cui spiccano Samuel L.Jackson ed un inedito Robert De Niro, nei panni di un tossicomane fumatore di crack. Il cocktail appare nella sua versione short, ma soprattutto sembra che la dose di vodka e di succo d'arancia siano pari (per espressa richiesta di Jackson che ne richiede una versione "forte"), per rendere il mix decisamente più alcolico e meno dissetante. A dimostrazione di un opinabile e non codificato cambio di ricetta ci sarebbero anche alcuni siti internet che pubblicano lo Screwdriver con percentuali uguali per i due ingredienti (2 once di vodka e 2 once di succo di arancia).
Anche qui ci si trova di fronte a più versioni storiche, con più barman a reclamare la sua paternità. Una di queste sostiene che il cocktail fu inventato a Parigi, ad opera di un bartender del Chatham, lo stesso bar del Rose Cocktail, che lo dedicò ad un suo cliente, un ufficiale americano di stanza in Europa durante la Prima Guerra Mondiale, solito parcheggiare il suo sidecar nei pressi del bistrot. Siamo quindi a cavallo degli anni 1915-1918. La ricetta viene reclamata dal barman Frank Meyer, dell'Hotel Ritz, sempre di Parigi, in virtù di un menù recante il cocktail. In questo caso siamo nel 1923. A complicare la situazione intervengono i due luminari della mixologist di allora. Robert Vermeire autore del "Cocktails, how to mix them" del 1922, codifica il drink ma non cita il suo creatore. Harry Mc Elhone, nel suo libro "Harry's ABC of mixing cocktails" edito nel 1925, codifica il drink e ne attribuisce la paternità ad un barman di Londra, del Buck' bar, tale Pat Mc Garry. Successivamente Mc Elhone, dimostrando una certa scaltrezza, nel riscrivere il libro si attribuì la paternità del drink, tra l'altro condendo la situazione con un aneddoto tutto da verificare. Egli sosteneva che un suo cliente, avendo esagerato con questa versione "di scuola francese" del WhiteLady, un cocktail sempre di sua invenzione, avesse centrato in pieno il dehors del suo bar, nel ripartire maldestramente con il suo sidecar. Un'altra versione sostiene che passando vicino al dehor, l'incauto guidatore avesse abbattuto una parte dei tavoli. Mortificato entrò nel bar per chiedere scusa e per riprendersi dello spavento ordinò un Cognac. Il simpatico Harry invece di porgere il solo distillato miscelò prontamente il cocktail, dicendo che lo avrebbe intitolato al protagonista dell'episodio. Ai tempi non c'era la patente a punti e nemmeno nessun poliziotto a poter testimoniare l'accaduto, rimane quindi l'alone di mistero su questo drink, ulteriormente infittito dall'uscita nel 1948 del "Fine arts of mixing drinks" di David Embury, che torna a sostenere la versione dell'ufficiale americano della Prima Guerra Mondiale che a questo punto daterebbe il cocktail introno al 1917/1918... Per terminare una curiosità. Nel 2001 per festeggiare gli 88 anni del cocktail, il capo barman del bar Hemingway del Ritz Hotel di Parigi, che ovviamente sostiene di detenere la paternità con Frank Meyer, ha miscelato una riedizione del cocktail utilizzando un costoso Cognac Grand Champagne del 1851, distillato da uve Colombard e Folle Blanche, le due varietà maggiormente diffuse prima del devasto fillosserico di fine 800.
Cocktail dalla storia contrastata ed oggetto di continui dibattiti fra barman, molti sostengono infatti che il suo presunto creatore abbia semplicemente ripreso e portato al successo una ricetta già esistente nel menù dell'hotel. La versione ufficiale narra che il Singapore Sling nacque nel 1915 da una felice intuizione del barman Ngiam Tong Boon dello storico bar dell' Hotel Raffles di Singapore. L'hotel nacque, anche lui, per una geniale idea del suo fondatore, Thomas Raffles (foto sx), che decise di aprire una stazione di posta inglese in questa area che lui reputava essere in espansione commerciale. Il canale di Suez stava per essere inaugurato e Singapore di li a poco sarebbe stata una tappa fondamentale sulla rotta delle Indie per i ricchi commercianti europei. Il successo della sua iniziativa, lo spinse ad aprire un hotel nel 1887, che di lì a pochi anni, diventerà uno dei più lussuosi di tutta l'Asia. Il bar disponeva di alcuni prodotti europei d'eccezione, tra cui il Cherry Heering, il capostipite degli aromatizzanti alla ciliegia, di fabbricazione danese. Con questo aromatizzante e il distillato principe della cultura inglese, il nostro barman creerà un drink destinato al successo mondiale. L'uso del gin voleva essere un'ulteriore affermazione della supremazia inglese ed una risposta ai drink che usavano rum d'importazione olandese. La storia vuole che il Singapore Sling fosse uno dei drink più apprezzati da Somerset e Kipling, i due grandi scrittori che soggiornavano nell’Hotel, durante i loro frequenti viaggi in Asia. La ricetta, grazie al suo successo, viene codificata nel "Savoy Cocktail Book" nel 1930, con gin, cherry brandy, succo di limone e top di soda. Nel 1970 un articolo di giornale sul Raffles cita per la prima volta una ricetta diversa, pesantemente rivista rispetto all'originale, che prevede l'aggiunta alla ricetta di un centilitro di Cointreau e 4 di succo di ananas, al posto della soda. Questo succo, con la shakerata, ha il compito di creare una deliziosa e morbida schiuma ed addolcisce ulteriormente il drink. La recente codifica IBA riporta anche l'aggiunta, alla ricetta precedente, di un float di Benedectine, alcune gocce di granatina e d'Angostura. La presenza del Benedectine riporterebbe ad una versione storica del drink eseguita dallo stesso creatore in passato, in unione con gin e cherry brandy. Il drink in questa versione IBA risulta particolarmente dolce e, di fatto, non molto attinente ai gusti dell'epoca, che vedevano predominare il secco. A riprova di ciò il libro di Robert Vermeire "Cocktail, how to mix them" del 1922, trascrive una ricetta chiamata "Sling Straits" dove abbiamo la presenza di gocce di Angostura, Orange bitter e una dose di 2 cl di Benedectine, che vengono miscelati a gin, dry cherry brandy e top di soda. Un drink decisamente più secco, quindi...Un dato di fatto, a questo punto evidente è che è molto difficile trovare su libri e web due ricette uguali. A tal proposito è molto interessante un articolo di Jason Wilson, un giornalista appassionato di bere miscelato, columnist del Washington Post. Da notare che negli anni 30, il bar sarà gestito da un italiano, Guido Cevenini, che rafforzerà il legame con il suo paese d'origine e la ricetta del Singapore Sling, utilizzando il Sangue Morlacco, il cherry brandy di Casa Luxardo. Alla gestione del bar si alternano altri italiani, il fratello di Guido, Nino poi Mario Marchesi. Infine nel 1967, l'arrivo di Roberto Pregaz, che diede un ulteriore tocco italico che smorzava la rigidità inglese. Fra i clienti di Pregaz vi era anche Franco Luxardo, che spesso viaggiava per affari in quei luoghi. Ancora oggi ci sono moltissimi clienti che richiedono questo mitico drink, portando a quasi 2000 le repliche settimanali, mentre da notizie riportate, sembra che dei distributori automatici servano il drink già miscelato al bar ad un prezzo popolare e solo a richiesta, alla sera, sia disponibile la versione originale shakerata, eseguita a mano al momento dai barman.
origini spritzLo Spritz è un cocktail sulla cui data di nascita regna l'incertezza, si dice che sia stato creato per "necessità" dai soldati austriaci di istanza nel Triveneto, durante la sua occupazione negli anni precedenti al Risorgimento e all'Unità d'Italia. Altri sostengono che sia stato creato nel 1917, sempre dagli austriaci di stanza sul fronte del Piave Se la data è dubbia, la ragione è la medesima e concorde, cosi come gli inventori... Il nome Spritz, di origine austriaca, si traduce con "spruzzare", termine onomatopeico che indica l'azione dell'allungamento del vino con l' acqua gasata usando la vecchia pistola da selz o un sifone. La ragione della nascita è semplice, gli austriaci erano abituati ai freschi, leggeri e leggermente frizzanti vini bianchi delle loro montagne o alle gradazioni alcoliche della birra. I vini bianchi italiani e in special modo i veneti erano e sono molto più alcolici, quindi venivano allungati con acqua di soda per renderli frizzanti e meno "forti". Spesso si aggiungeva una fetta di limone, che poteva essere anche spremuta, per aumentare le note citrine e il grado di acidità, tipiche dei vini austriaci. La bevanda risulta diffusa in molte altre aree d'Italia con diversi nomi, fra i quali il "Paccatello" nelle Marche, o il "Mezzo e mezzo" a Napoli, spesso eseguito anche con gazzosa, con l'obiettivo accompagnare con il vino il pranzo, senza ubriacarsi. La ricetta dello Spritz era piuttosto semplice, ed era composta da pari quantità di acqua di soda e vino bianco, da non confondere quindi con la ben più famosa variante con l'Aperol. Questa miscela nasce, secondo alcuni, a Padova, negli anni successivi alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando inizia ad essere richiesta nei bar come aperitivo e dissetante, secondo altri a Treviso, patria elettiva del Prosecco, trovandosi nella sua provincia Conegliano. A detrazione della seconda ipotesi, vedremo come l'aggiunta del Prosecco sia in realtà postuma all'invenzione. L'Aperol nasce a Padova nel 1919 ad opera di Barbieri, ed è qui che, secondo una prima ipotesi, si inizia a "macchiare" lo Spritz, preparato con il vino bianco fermo dei Colli Euganei , con una piccola dose di agrumato liquore. L'invenzione del cocktail sarebbe stata proprio all'interno del bar pasticceria per favorire il consumo della nuova creazione di Barbieri, utilizzando un classico dell'epoca "twistato", come diremmo noi oggi. La ricetta subisce successivamente un'altra importante modifica, con il progressivo scomparire delle "pistole" da selz e delle acque di soda dai bar moderni, sostituite dalle normali acque gasate, decisamente più deboli in termini di "bollicine". Per mantenere inalterata la gasatura del cocktail si decide di utilizzare un bianco frizzante emergente della zona, il Prosecco, che trarrà moltissimo giovamento dall'importante ribalta, catturando nuovi consumatori ed estimatori, anche per il consumo "liscio". La ricetta ufficiale riportata è tratta dal sito ufficiale dell'Aperol, questo perchè esistono alcune varianti e modifiche con aggiunte successive, così come è oggetto di discussione il bicchiere da utilizzare, che secondo i tradizionalisti dovrebbe essere il rock basso, quello "dell'ombretta de vin", mentre per gli altri si dovrebbe utilizzare il tumbler alto o il bicchiere da vino bianco, tutti comunque pieni di ghiaccio. Discussioni a parte, il successo del cocktail e la sua diffusione hanno fatto si che nel 2011, l'Aperol Spritz, codificato come Italian Spritz o Venetian Spritz, per confondere ulteriormente le idee circa le sue origini, sia stato incluso nei 60 internazionali IBA. La "denominazione di origine" è stata necessaria per distinguerlo dal predecessore austriaco, di cui ne rappresenta, come detto, il "twist". Questo ci deve rendere orgogliosi come italiani, visto che da lungo tempo non avevamo avuto nostri drink nei recenti aggiornamenti della famosa lista.
Cocktail "missilistico" per celebrare l'impresa spaziale dei russi, che per primi misero in orbita nell' ottobre del 1957 un satellite artificiale, chiamato appunto Sputnik (compagno di viaggio). Il drink, di un bel colore rosso, in linea di pensiero con il suo cliente, fu inventato da Victor Repaire del Hotel de Paris di Montecarlo in occasione della visita diplomatica del presidente dell'allora Unione Sovietica, Podgornij. A dimostrazione del cameratismo, dell'amore per il lavoro e della professionalità di quel periodo fra barman d' Hotel e non solo, Victor telefonò al collega del Principe e Savoia di Milano, Angelo Zola, poichè venne a conoscenza che la prossima tappa del viaggio diplomatico sarebbe stato il capoluogo lombardo. Non appena il diplomatico entrò in sala ed ordinò un drink, gli venne servito con sua somma sorpresa il medesimo cocktail che aveva apprezzato giorni prima all'Hotel de Paris a Montecarlo. Il grande Angelo Zola, a sua volta, inventa un drink in onore degli astronauti americani in visita a Milano, simile nei primi due ingredienti, ma diverso nel colore e lo chiama "Explorer", con 4 cl di vodka, 2 di cointreau e 1 di curacao blu, per donare al cocktail il colore del cielo.
Questo drink ha un origine certa, anche se le date non corrispondono perfettamente fra le versioni accreditate. Secondo un'ipotesi plausibile il cocktail nasce sulle navi da crociera americane che solcavano i mari dei caraibi. Gli americani, in pieno Proibizionismo (1919 – 1933), si rifugiavano in questi luoghi organizzando viaggi simili a dei baccanali, con il solo scopo di bere e divertirsi. Questa versione accreditata ha un solo punto debole, infatti il barman afro-americano Tom Bullock cita la ricetta nel suo libro edito nel 1917 con il titolo "The Ideal Bartender", pertanto la data della sua invenzione deve essere sicuramente antecedente al periodo buio del bere miscelato. Questo è il primo libro scritto sull'argomento cocktail da un barman di colore, originario di Louisville, nel Kentucky. La ristampa del libro cambierà nome e toglierà ogni dubbio: "173 cocktail prima del proibizionismo". La spiegazione di tale differenza di date potrebbe essere questa: a causa del devasto della fillossera di fine 800, e della conseguente penuria di Brandy e Cognac, il drink finì nel dimenticatoio, per poi essere ripreso successivamente dai barman delle navi, quando gli effetti dell'afide sulle viti, cominciarono a trovare un rimedio, rendendo nuovamente reperibile il distillato ed economicamente possibile la sua miscelazione.
Questo drink, uno dei pochi a base di sidro secco, detto hard cider, rappresenta forse la preistoria dei cocktail ed è la conferma che "il coraggio liquido" per le truppe di cui spesso si parla nella storia delle guerre, era una triste consuetudine. Nel 1775, le truppe americane ribelli stavano preparando l'assalto notturno a Fort Ticonteroga, saldamente in mano alle forze britanniche, che in questo modo mantenevano il controllo sulla zona strategica del lago Champlain. Il capitano dei ribelli Ethan Allen e i suoi Green Mountains Boys, per darsi coraggio, bevvero abbondantemente un drink fatto di sidro secco e rum, le uniche cose di cui disponevano in buona quantità. Il drink era forte e secco, ma era quello di cui si aveva bisogno per andare all'assalto dei bastioni di pietra del forte. Il cocktail fu infatti chiamato così, in onore delle alte difese che presto si sarebbero trovati ad affrontare. La sua conquista era troppo importante, infatti controllava l'unica via fra il Canada e le colonie in rivolta. Inoltre l'artiglieria catturata avrebbe potuto essere riutilizzata contro le difese inglesi arroccate a Boston. Visto il successo dell'assalto, la bevanda divenne molto famosa come coraggio liquido per i soldati ed il suo consumo si diffuse in tutto il Nord Est. Nei primi anni dell'800, il rum scuro venne sostituito con il più americano Bourbon, anche per oggettive difficoltà nel reperire il distillato caraibico. Anche il sidro cambiò con l'evolversi del gusto, diventando più amabile e rendendo il cocktail decisamente più morbido. Il cocktail fu consumato ancora per qualche decennio, poi passo nel dimenticatoio. La decadenza del drink corrispose con la morte dei personaggi pittoreschi della conquista del west e la sua epopea, uno di questi fu William "Buffalo Bill" Cody appassionato del drink e suo affezionato consumatore.  
Il cocktail la cui ricetta viene riportata senza le marche dei prodotti, in realtà riportava la vodka Moskovskaya e i prodotti della SIS, la potente distilleria, oggi scomparsa, attiva dagli anni 30 fino agli 80, produttrice di decine di distillati e liquori, alcuni oggetto di collezionismo come la grappa Cervo Bianco ed il brandy Cavallino Rosso. Per via del suo prestigio, Zola vantava amicizie personali con tutti i titolari delle principali aziende liquoristiche dell'epoca, come testimonia la sua biografia postuma. Questo fa capire quanto fosse diverso il mondo della miscelazione di allora, dove spesso lavoro e vita personale si mescolavano in veri rapporti di collaborazione, basati sulla stima personale. I produttori erano spesso ospiti di casa Zola e viceversa, mentre a Natale si parlava di circa 10.000 biglietti d'auguri fra spediti e ricevuti... Il cocktail compare su un blocco di appunti di Angelo Zola, il barman originario di Viverone, le cui fortune professionali saranno però a Milano, presso l'hotel "Principe & Savoia", presso il quale lavorerà per ben 25 anni. Grazie alla sua lunga permanenza e alla sua notorietà, l'intero jet-set dell'epoca passerà dalle sue sale, sorbendo i suoi magnifici cocktail. Molto bello il nome del cocktail, piuttosto insolito per il mondo del bar odierno, fatto di nomi beceri ed evocatori di detrimento totale. Angelo Zola afferma invece che "Bere miscelato è bere moderato" ed in questo caso il suo drink, probabilmente dedicato alla moglie Renata, vuole essere un delicato trattamento per il palato del cliente.
Drink semplice e dissetante codificato IBA, pochi anni dopo la sua creazione, visto il suo enorme successo. Insieme al Margherita, è uno dei pochi esempi di cocktail a base Tequila ad aver avuto un riconoscimento internazionale. Il cocktail, come ogni best seller che si rispetti, ha due versioni ufficiali e due creatori a contendersi la paternità. La prima risale agli anni 50, periodo del boom economico americano e dell'inizio del turismo di massa, agevolato dalla rivoluzione del trasporto aereo a basso costo, che avvicinava le mete esotiche, raggiungibili in poche ore di volo. Il Tequila Sunrise sarebbe stato inventato da alcuni barman di Acapulco, la meta turistica preferita dagli americani in quel periodo, come cocktail long drink dissetante di benvenuto. Il successo fu talmente grande che i turisti, tornati a casa, presero ad ordinarlo, quasi come segno di distinzione e a dimostrazione della vacanza appena trascorsa, tanto che la Tequila divenne in poco tempo uno dei distillati maggiormente consumati sul suolo americano. La seconda versione risale al decennio precedente, e vorrebbe la nascita collocata fra gli anni '30 e '40, anni in cui il rum imperversava in tutte le carte cocktail, lasciando ben pochi spazi alla concorrenza, se non nelle aree di confine. L'inventore del cocktail sarebbe infatti un tal Eugene Sulit , barman al Biltmore Hotel in Arizona, che elaborò il drink con il distillato proveniente dal vicino Messico per variare la proposta monotematica della carta dei drink. Alla Tequila aggiunse il succo d'arancia californiano e granatina inglese a base di melograno, versata in modo da dare l'effetto classico del "sole che sorge". Al cocktail è stata anche dedicata una canzone dal famoso gruppo country- rock degli Eagles, in attività dal 1971 al 1975, dove si parla di shot di Tequila, coraggio liquido e parole da dedicare ad una donna che non vengono come si vorrebbero. Il cocktail avrà altri due gruppi che gli intitoleranno una canzone: i rock-grunge Urge Overkill e i rapper messicani Cypress Hill. Ancora più famoso, anche se non riuscitissimo, il film "Tequila Sunrise", un film sul traffico di droga con Mel Gibson, dove due amici, innamorati della stessa donna, si trovano a lottare sulle sponde contrapposte di spacciatore e poliziotto. In Italia il film uscirà con il titolo cambiato in "Tequila Connection", di più agevole comprensione per il pubblico, trattandosi di un gangster movie. La storia del drink non è completa se non si cita anche la versione short del cocktail, che su alcuni ricettari, fra cui quello del grande Angelo Zola, compare anche come Sunrise senza succo d'arancia, costruita con 3 cl di Tequila, 1,5 di crema di banana e 1,5 di Galliano, miscelati direttamente nel tumbler basso con ghiaccio. Il giallo della crema di banana e del Galliano donano i riflessi dorati che ricordano il sole che sorge.  
Uno dei pochi drink a contenere whiskey irlandese e ad avere tra i suoi ingredienti la Chartreuse verde, una pietra miliare della liquoristica mondiale, dalla gradazione alcolica possente di 55 gradi. Il drink prende il nome da un paesino dell'isola di smeraldo, portato alla notorietà da una canzone di guerra cantata dai Connaught Rangers, un reggimento irlandese impegnato nei combattimenti sul fronte francese durante la Prima Guerra Mondiale. I suoi autori erano Harry Williams e Jack Judge i cui nonni erano originari di Tipperary. La canzone, fu immediatamente adottata anche dall'esercito inglese e divenne in breve tempo la più amata dai soldati impegnati in quell'orribile carneficina. Il testo della canzone non incitava, come la maggioranza delle canzoni di guerra, ad atti eroici o sacrifici, ma parlava di un irlandese a Londra che deve tornare a casa dalla sua amata che è stata promessa in sposa ad un altro... Il drink risale agli anni 20, ma non si conoscono inventore e luogo preciso, ma rimane un bell'esempio di miscelazione d'antan.
Il cocktail prende il nome da un famoso fantino americano James Forman Sloan, conosciuto con il soprannome di "Tod", nato il 1874 e morto nel 1933 e che nel 1955 fu inserito nell'Hall of Fame dedicato alle corse dei cavalli. La sua carriera fu spettacolare ed esaltante, tanto che fu anche di ispirazione ad Hemingway per la scrittura della novella "My old man ", inserita nella raccolta "Three stories and ten poems". In Inghilterra è tuttora una celebrità per gli amanti delle corse dei cavalli. La sua morte fu causata dalla cirrosi epatica, malattia che fu probabilmente provocata dalle vita dissennata, dalle delusioni e dai conseguenti problemi finanziari in cui si trovò il fantino, che non seppe gestire la sua fortuna. A lui si deve l'apertura del famoso "Harry's Bar a Parigi nel 1911, che aprì rilevando un piccolo bistrò, dimostrando buon fiuto degli affari. Il Tod's Cooler a lui dedicato, si dice sia nato al Palace Hotel di Bruxelles, dove era solito rifugiarsi, quando si trovava in Europa per disputare prestigiosi tornei.
Cocktail inventato da Angelo Zola, l'indimenticato barman protagonista degli anni d'oro della miscelazione italiana. Gli anni '60 sono gli anni del cambiamento in cui nascono i locali con musica e i cabaret che danno l'addio alle balere e al bere semplice fatto di vino, birra ed amari. Angelo Zola riceve l'onorificenza di Cavaliere della Repubblica, che lo premia per l'attività pubblica come presidente di due importanti associazioni, l'Aibes e l'Iba, che riuniscono i migliori barman del mondo. Un onorificenza del genere, conferita ad un barman è sintomatica della mutata mentalità degli italiani. Un mestiere che era considerato tutto sommato semplice e conseguentemente di basso rilievo viene assurto al prestigio, dove si premia il modo di fare miscelazione ed accoglienza al cliente. Il cocktail viene scoperto in una sua agendina di appunti, riportato anche nel libro nella foto, ma sfortunatamente non è datato. Pertanto non sappiamo se fosse in carta presso il "Principe e Savoia", cosa più probabile, o al "Country Shaker Club" di Piverone, il locale sognato e realizzato dal grande barman, il cui progetto "formativo" fu sfortunatamente lasciato incompiuto dalla sua repentina morte.
Cocktail storico, codificato nel "Savoy Cocktail Book", creato per la prima volta al bar del Casinò Kursaal di Ostenda, la cittadina belga affacciata sulla Manica che fece la sua fortuna quando fu fu vietato negli anni 20 il gioco di azzardo in Inghilterra, per volere della Regina Vittoria. Ostenda divenne così la meta privilegiata di tutti i giocatori d'azzardo inglesi dell'alta società, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il drink, molto classico negli ingredienti, fu miscelato da un barman del lounge, in onore del colonnello Cornelius Vanderbild, magnate americano e giocatore appassionato in visita al Casinò, che morì durante l'affondamento del Lusitania, avvenuto nel 1915 ad opera di un sottomarino tedesco, che vide la morte di ben 1.198 persone. L'affondamento della nave determinò l'ingresso americano nella prima Guerra Mondiale e tal proposito, vi sono tuttora polemiche sul fatto che tale incidente sia stato volutamente provocato, attraversando acque territoriali notoriamente presidiate da U boot tedeschi. Un altro fatto da chiarire è se la nave trasportasse o no anche munizioni e rifornimenti per gli inglesi, creando così il pretesto tedesco per il suo siluramento.
Il Vesper Martini è l'originale Martini di James Bond, ideato da Ian Fleming nel suo primo libro "Casinò Royale" nel 1953. Si ritiene che il primo barman a preparare il drink, sotto la guida di Fleming, fu Gilberto Preti del Duke's Hotel di Londra. Successivamente il cinema, per rendere le cose più facili stravolse la ricetta, utilizzando solo la vodka come ingrediente principale, creando il Vodkatini shakerato e il suo successo commerciale. Il drink originale fa la sua comparsa nel capitolo 7 del libro e l'autore lo farà bere a James Bond durante la partita di poker della vita. Il duello al tavolo verde si svolge all'interno di un bellissimo Casinò in Montenegro, in cui l'agente segreto sfida il mortale nemico "Le Ciffre". Bond ha appena perso una cifra importante, per rifarsi il morale ordina il cocktail e lo chiama Vesper, in onore della sua Bond girl, la bellissima Vesper Lynd. Oltre alla ricetta recitata alla lettera al barman e all'immancabile "Shake not stirred" (agitato non mescolato), Bond afferma di prediligere questo drink per il suo gusto dolce amaro, tipico del rapporto che lui ha con le donne. Da notare che il drink non porta come decorazione l'oliva, ma una stringa di limone, mentre i successivi film vedranno il vodkatini con il ritorno dell'oliva. Nel film Bond inizialmente non sa come chiamare il drink e lo detta semplicemente al cameriere, addetto al tavolo verde, negli ingredienti (menzionando il Kina Lillet e il Gordon's) e nella preparazione. La scena prosegue con gli entusiasti compagni di tavolo che ordinano lo stesso, colpiti dal carisma e dal sangue freddo dell'agente segreto. Alla richiesta di come si chiami il cocktail, Bond conia il nome Vesper, concludendo che "Una volta che l'avrai bevuto non potrai bere nulla di diverso".. Il primo libro rimase senza trasposizione cinematografica per lungo tempo, se si esclude una parodia assolutamente comica dell'agente 007 del 1967, con protagonisti Peter Seller, David Niven ed un giovane Woody Allen, dove non esiste nessuna menzione del cocktail. Il libro verrà ripreso solo nel 2006 con il ventunesimo film della serie con protagonista Daniel Craig.
In questo caso non si hanno dubbi sulla paternità del cocktail, da tutti attribuito al grande Harry Mc Elhone, creatore anche del Sidecar. Egli lavorò sia a Londra che a Parigi e declinò intelligentemente il tema Cointreau e limone, con i due distillati delle due nazioni. I problemi nascono riguardo la data di creazione, che non viene mai citata nel libro "Harry's ABC of mixing cocktails", edito dallo stesso barman. Se volessimo dare credito alla piccola bugia di Elhone riguardo alla nascita e alla paternità del Sidecar, dovremo collocare il drink intorno ai primi anni 20 e pensare, come detto, che esso sia stato l'idea base da cui lui trasse ispirazione, sostituendo il gin con il Cognac. Se invece diamo credito al "Savoy Cocktail Book", il cocktail nacque nel 1929, in riva al Tamigi, quando Harry lavorava al Ciro's Club, locale, che vide la nascita di molti drink immortali. A questo punto il ruolo di ispiratore si invertirebbe a favore del Sidecar. Anche il nome White Lady potrebbe avere due possibili spiegazioni: una molto romantica, in quanto si potrebbe pensare ad una signora di bianco vestita, di cui Mc Helhone, barman galantuomo, non svelò mai il nome; la seconda più pratica dovuta alla colorazione bianca lattiginosa che assumeva il drink, appena shakerato. La storia ci ha dato molte Dame Bianche a cui ispirare successivamente il cocktail di Mac Helhone. Ricordiamo fra le più famose l'italiana Giulia Occhini, l'amante del grande Fausto Coppi, l'indimenticato campione di ciclismo originario di Castellania, quella del compositore francese Francois Boieldieu e la statunitense Ella Fitzgerald che cantava la canzone del grande Duke Ellington, "Sophisticated Lady".
Inventato sicuramente in America negli anni 50, come declinazione dello Stinger, decisamente più facile da bere, meno costoso e modaiolo grazie alla presenza del distillato maggiormente in auge in quel periodo. Deve il nome al fatto che, se ben eseguito, sul drink versato in coppa cocktail, si forma una sorta di ragnatela bianca in superficie, fatta della schiumetta ottenuta con la vigorosa shakerata. Spesso viene richiesto con il ghiaccio, miscelato nel tumbler basso, specie dalla clientela americana, rendendo impossibile questo "trick".
Il cocktail mancante per completare la declinazione della base alcolica sul tema "Cointreau & Limone" ampiamente sfruttata nel White Lady (gin), Margarita (Tequila), Kamikaze (vodka) e Sidecar (brandy o Cognac). Fu creato durante gli anni 50, quando la Tiki Era, la mania dei cocktail a base rum, era al culmine del suo splendore, ma fu codificato con un nome diverso. Era infatti conosciuto come Outrigger, il bilancere da palestra. Il nome attuale venne dato successivamente, ma non è dato a sapersi il motivo e se l'acronimo ha un significato preciso.
Drink molto alcolico e dolce, con base alcolica tripla, ottenuta con tre rum di diverso invecchiamento, uno chiaro, uno dorato con invecchiamento di 5 anni, come suggerisce la ricetta originale, e un "grado pieno" scuro e con un'elevazione in legno di almeno 15 anni. La gradazione alcolica derivante è in grado di stordire e far camminare come uno zombie cliente che avesse esagerato con le sue ordinazioni. Gli zombie, i morti viventi, sono una creazione della magia vodoo haitiana, divenuti un'icona del cinema horror di tutti i tempi. Il cocktail nasce in piena Tiki Era, all'indomani del Proibizionismo, quando il rum era l'unico distillato disponibile in buone quantità ed i grossisti ricattavano i gestori dei locali che, per avere una sola cassa di whisky, dovevano acquistare decine di casse di rum. I magazzini erano pieni e quindi bisognava fare di necessità virtù, inventando cocktail con il distillato caraibico, per smaltire le scorte. Il cocktail fu creato da Ernest Beaumont, divenuto poi famoso con lo pseudonimo di Donn Beach, titolare e "barman mixologist" al "Beachcomber" di Hollywood, che inventò il drink per un cliente timoroso prima di un lungo viaggio in aereo. Il cliente dopo tre drink uscì camminando come uno zombie dal bar, decisamente più allegro e rilassato, in vista del viaggio. Onde evitare il ripetersi di scene del genere, dimostrando un buon senso dell'umorismo e attenzione per il bere responsabile, sul menù del bar è tuttora scritto, che, per statuto della direzione, non se ne servono più di due allo stesso cliente... La ricetta originale del "Zombie Punch", questo il nome originale, è leggermente diversa da quella trascritta e parla di ben 11 ingredienti, fra cui spicca uno sciroppo di cannella della "Sonoma syrup company", il Falernum (uno sciroppo a base di mandorle, lime e zenzero) e un cucchiaio di Pernod. La ricetta fu ritrovata in un libro di appunti denominato "Don's Mix" appartenuto ad un cameriere di nome Dick Santiago datato 1937. Il lancio del cocktail è però anteriore e risale al 1934 . In questa ricetta viene citata la marca di rum Lemon Hart ed il suo spettacolare full proof, il "151", secondo molti illustri mixologist il vero "cuore" pulsante del cocktail con i suoi 75 gradi alcolici. Il drink ha numerose declinazioni presenti su internet e libri di cocktail, tanto che appare difficile essere sicuri di aver trascritto quella originale... La più frequente variazione sull'aromatizzante alcolico prevede la sostituzione del cherry brandy con l'apricot, mentre non è infrequente l'aggiunta di amaretto. Per quanto riguarda i succhi vi sono ricette con succo di pompelmo, succo d'ananas e frutto della passione, che dimostrano come il drink ebbe un grandissimo successo, paragonabile al Cosmopolitan di oggi, e che pertanto fu "twistato" e modificato da moltissimi barman.

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