Dopo l'uscita del libro "Saperebere" il testo del sito è coperto da diritti d'autore.
Per acquistare il libro contattare la Graphot allo 011 2386281 o a questo link.

Chiudi

Vini Liquorosi

Madeira

1418
Il capitano Gonzales Zarco detto il Guercio, approda sull’isola di Madeira per ordine del Re del Portogallo, considerato un punto strategico per l’attraversamento dell’oceano Atlantico e quindi la futura conquista di nuovi territori nelle Americhe. L’isola, coperta di fitte foreste, viene disboscata con incendi controllati, che lasciano un terreno ricco e fertile, ideale per la coltivazione della vite, della canna da zucchero e del banano. Il vino inizia ad essere prodotto direttamente in loco, con una qualità molto varia negli anni, che si stabilizza solo dopo aver introdotto la pratica della fortificazione.

1489
I Gesuiti portano il sapere della vinificazione della distillazione sull’isola, iniziando una fiorente produzione. Per l’uso liturgico importarono dall’isola di Creta, tramite il commercio dei commercianti veneziani, delle barbatelle di Malvasia, oggi conosciuto come Malmsey, che risulta molto indicato per questo uso grazie al residuo zuccherino elevato e alla dotazione aromatica. Visti gli ottimi risultati della viticoltura, grazie al suolo vulcanico dell’isola, si importarono altri vitigni bianchi, il Sercial, il Verdelho e il Boal, che saranno descritti più avanti.

Il successo del Madeira
Il Madeira conosce un successo dirompente in Europa e in America, arrivando fino alla corte degli Zar di Russia.

1851
La malattia dell’oidio raggiunge l’isola di Madeira, riducendo sensibilmente la produzione.

‘Novecento
L’arrivo della fillossera distrugge gran parte della viticoltura sull’isola di Madeira, che viene sostituita dalla coltivazione di canna da zucchero.

Proibizionismo e Rivoluzione Russa
I due eventi segnano la caduta della fama del vino Madeira, che diventerà un vino da cucina, come testimoniano numerose ricette della cucina francese.

I vitigni utilizzati per la produzione di vino Madeira sono:

Tinta Negra Mole, incrocio fra Pinot Nero e Grenache, utilizzato in purezza per la produzione della maggior parte dei vini commerciali o come taglio per alcune riserve dei vitigni bianchi.
Sercial, vitigno aromatico coltivato nei terrazzamenti più elevati, per avere le maggiori escursioni termiche, in grado di sviluppare al meglio i suoi profumi.
Verdelho, coltivato poco al di sotto del precedente, si distingue da questo soprattutto per il tenore zuccherino leggermente più elevato.
Boal, autoctono dell’isola.
Malvasia, coltivato soprattutto nei terrazzamenti in riva all’oceano.
I primi due vitigni sono utilizzati per la produzione di Madeira secco, mentre i secondi sono usati per semi secchi e dolci. 

Una menzione va fatta anche per il Terrantez, un vitigno in via d’estinzione sull’isola, per via della sua bassa produttività e relativa debolezza agli attacchi infestanti, dalle doti di finezza eccezionali. Sull’isola vengono prodotte non più di 500 bottiglie l’anno di questo raro vitigno che rappresenta una chicca enologica imperdibile, per gli amanti della tipologia.

La peculiarità della produzione del Madeira consiste nella sua tecnica di invecchiamento. I primi produttori capirono che grazie ai lunghi viaggi in nave il vino acquistava complessità e carattere. Analizzando le condizioni delle stive delle navi apparve chiaro che gli sbalzi di temperatura e l’umidità erano gli aspetti determinati per l’invecchiamento dl Madeira, i produttori tentarono allora di riprodurre le stesse condizioni sulla terra ferma. Le botti erano posizionate sotto ai tetti in estate e nei seminterrati in inverno. Questi spostamenti erano faticosi ma sicuramente meno rischiosi dei viaggi in nave del prezioso prodotto. Ancora oggi in alcune cantine si può notare una sorta di rotaia di legno che fa da guida alle botti durante il loro rotolamento dai piani superiori a quelli inferiori e viceversa. Il costo di questa operazione è molto elevato se si considera che questa deve essere ripetuta per 20 anni.

Per la produzione dei prodotti di base, ottenuti dal vitigno rosso Tinta Negra Mole, si sviluppò un metodo diverso. Il vino, che ha invecchiamento variabile dai 5 ai 10 anni, è sottoposto alternativamente a riscaldamento fino a 55-60 gradi, grazie all’ausilio di stufe appositamente inventate per riprodurre gli sbalzi di temperatura e umidità delle stive delle navi. In questo modo il vino perde la sua colorazione rossa, diventando ambrata, come nei vini da vitigno bianco ed è pronto per un breve invecchiamento per guadagnare quei sentori ossidati, in un tempo molto minore. Il vino trattato in questo modo sosta da un minimo di 5 ad un massimo di 10 anni e va a comporre la quasi totalità dei vini commerciali che vengono venduti sui mercati stranieri e sull’isola. 

Talvolta si hanno anche degli invecchiamenti di 15 anni, dove ci sono percentuali di vitigni nobili. Il processo delle estufagem ha due diverse metodologie, la prima la “Cuba de Calor” è decisamente la più economica, con vasche in acciaio riscaldate esternamente da serpentine e tubazioni con acqua calda, la seconda la “Armazem de calor”, usata solo dall’istituto dei Vini di Madeira, in via sperimentale, che prevede una sorta di sauna delle botti, chiuse all’interno di una stanza appositamente progettata per tale funzione. Qui le botti possono sostare da sei mesi ad un anno per via del processo più delicato rispetto al precedente.

La classificazione del Madeira è abbastanza articolata:
Riserva, vini base con 5 anni di botte, il minimo di invecchiamento da disciplinare, normalmente da Tinta Negra Mole. Gli anni di invecchiamento sono indicati in etichetta.
Special Reserve, vini con 10 anni di botte, spesso ottenuti da Tinta Negra Mole, con percentuali inferiori al 20% di altri vitigni nobili bianchi sopra descritti. L’invecchiamento è indicato in etichetta, mentre non si menzionano le percentuali dei vitigni.
Extra Reserve, vini di pregio con 15 anni di botte, molto rari.

Colheita o Vintage, prodotti con Tinta Negra Mole e percentuali variabili di altri vitigni nobili, la cui presenza però in percentuale non viene dichiarata, ma normalmente non supera il 30%.
Colheita, vini di un’unica annata, spesso di un unico vitigno che viene dichiarato in etichetta. Il vino invecchia per un periodo variabile da 10 a 20 anni
Frasqueria, detta anche Vintage, questo vino deve essere invecchiato almeno 20 anni e deve provenire da singolo vitigno.
I vini con invecchiamento da 5 a 15 anni devono indicare anche il loro grado zuccherino, quindi in etichetta si ritrovano i termini Seco, secco, Meio seco, abboccato, Meio Dolce, amabile e Doce, dolce.

I vini secchi di Madeira sono ottimi aperitivi e accompagnano anche preparazioni di pesce elaborate e ricche di struttura in grado di contro battere la forza alcolica e la persistenza del vino. Sull’isola si preparano ottime frittatine con uova di pesce sciabola dette “Ovas”, il “polpo alla madeirense” e le “esptadas” spiedini di pesce saporiti che possono essere abbinati a questi robusti vini, che vanno bevuti molto freschi. Specie il pregiato Sercial potrebbe essere anche abbinato ad un sushi di tonno, o ad uno spada affumicato. Molto nota anche la ricetta delle scaloppine al Madeira, vero piatto forte della nostra cucina. In Francia il Madeira viene utilizzato per fare una salsa, la Sauce Madere, con scalogno e burro per accompagnare la carne, soprattutto di vitello e le frattaglie, che ebbe molto successo dal 1930 al 1950.
I vini dolci ben si accompagnano con la pasticceria secca o con formaggi erborinati con tendenza amarognola quali il cabrales spagnolo o il Roquefort francese. Sull’isola l’abbinamento classico del Malvasia è con il “bolo de cana” una scura torta fatta con melassa e succo di canna da zucchero concentrato.

Marsala

1773
L’inglese John Woodhouse, originario di Liverpool sbarca a Marsala. Qui in una osteria assaggia casualmente in vino dolce tipico del posto, il Perpetuum. L’Inghilterra, grande consumatrice di vini liquorosi, ma sempre in guerra alternativamente con Francia, Spagna e Portogallo, era alla continua ricerca di nuovi fornitori. La Sicilia rappresentava un serbatoio di vini alcolici e robusti a buon prezzo e soprattutto non costituiva un possibile nemico per la potenza inglese. Colpito dalla bontà di questo vino e intravista la possibilità di fortificarlo per sostituire vini come il Porto, Woodhouse imbarca una cinquantina di botti aggiungendo acquavite per assicurare che il vino arrivasse integro in patria. Inizia da quel momento il successo del vino Marsala, non più venduto come surrogato del Porto o del Madeira, ma come vino a sé stante.

1812
Woodhouse, Hopps, Payne e Inghma & Whitaker stilano un decalogo produttivo e un disciplinare di produzione per il Marsale. Vengono ridotti i vitigni utilizzabili e viene applicato il metodo soler per l’invecchiamento, metodo già testato dagli inglesi in Spagna.

1833
Terminate le ostilità, gli inglesi tornano a rifornirsi dal Portogallo e dalla Spagna. Il Marsala vive un periodo di crisi fino a che Vincenzo Florio, ricco armatore di Bagnara Calabra, fonda l’omonima cantina. Il successo mondiale del Marsala arriva grazie alla flotta di 99 navi su cui può contare la ricca famiglia Florio. A seguito dell’apertura italiana, altri imprenditori apriranno le loro cantine come la Rallo nel 1860, e la Pellegrino nel 1880. Ultima in ordine di tempo, negli anni ’60, la De Bartoli.

La crisi
Dopo il grande successo, la famiglia Florio è segnata dalla sfortuna: la morte dei tre figli lasciano l’azienda senza eredi in grado di gestirla, e il patrimonio familiare viene consumato rapidamente da spese folli e tasse. Il Proibizionismo, seguito dalla creazione di prodotti aromatizzati “all’uovo” negli anni ’70, porteranno il prodotto ad una profonda crisi.

La produzione del Marsala si è evoluta nel tempo ed oggi prevede il solo uso di Grillo, Grecanico, Cataratto, Insolia e Damaschino, per la versione bianca.
Perricone, Nero d’Avola, Nerello Mascalese concorrono invece per la versione rossa.

La produzione prevede la fortificazione con acquavite e l’aggiunta a seconda delle tipologie di mosto cotto, a fuoco diretto o a vapore o concentrato tramite evaporazione o sottovuoto.
La tipologia da bacca bianca si divide in Oro, dove non è prevista la concia con mosto cotto o concentrato ed Ambra, dove la concia avviene per l’1%.
Per la tipologia da bacca rossa, il solo Rubino, a cui però può concorrere anche un 30% di uve bianche, in cui è vietato conciare.

Dopo la fortificazione il vino inizia il suo processo di invecchiamento che tradizionalmente è rappresentato dal metodo Solera. Le botti, riempite solo per ¾ sono poste una sull’altra in una configurazione a piramide. Ogni vendemmia il vino nuovo viene aggiunto nelle botti più alta, per poi essere trasferito mano a mano nelle botti più basse, fino a raggiungere quelle di fondo, concentrandosi e arricchendosi delle note tipiche del vino Marsala.

Le diverse menzioni in etichetta indicano gli anni di invecchiamento:
Fine, con un anno d’invecchiamento
Superiore, 2 anni
Superiore Riserva, 4 anni
Vergine Soleras, 5 anni medi di invecchiamento senza concia
Vergine o Soleras Stravecchio, superiore a 10 anni medi di invecchiamento senza concia.

Sulle etichette si possono trovare le scritte SOM (Superior Old Marsala), LP (London Particular) o GD (Garibaldi Dolce) da un aneddoto che narra che questo Marsala dolce fosse il favorito del famoso condottiero).

Il Marsala dolce ben si presta ad accompagnare dolci al cucchiaio, magari con del cioccolato, oppure con i classici cannoli siciliani di ricotta. La tipologia semisecco può accompagnare anche formaggi stagionati o erborinati, così come del foie gras per chi ama i sapori più decisi. Infine, un Marsala secco si può pensare di accompagnare a piatti di carne o selvaggina.

Per molte delle informazioni contenute in questo paragrafo si ringrazia Manuel Catinaccio, appassionato collega siciliano.

Porto

1200

La produzione di vini portoghesi, robusti e alcoli, ideali per il taglio, varca i confini nazionali, approdando verso l’alleato francese.

1600

L’ennesima guerra tra Francia e Inghilterra blocca le importazioni del vino di Bordeaux e i commercianti inglesi si affrettano a ricercare nuovi fornitori.
Il commerciante Lord Methuen stipula un accordo commerciale con il Portogallo per l’importazione dei vini prodotti nella valle del Douro, che aveva vendemmie costanti e di qualità e i cui prodotti avevano tannini dolci e giusta acidità, gradita al palato dei sudditi della Regina.
I vini però hanno grossi problemi di tenuta durante il viaggio, più lungo rispetto alla Francia e non riescono inizialmente a soddisfare i palati esigenti inglesi abituati ai vini bordolesi.
Si decide, con una felice intuizione, di fortificare il vino con Brandy al fine di bloccare ogni residua fermentazione e lasciare un residuo zuccherino naturale.
La fermentazione era così bloccata quando si raggiungevano i 6 gradi alcolici e si lasciava una percentuale di zucchero non svolto che contribuiva ad aumentare le morbidezze del vino.

Il successo del Porto

Il Porto ha un immediato successo e molti Inglesi si stabiliscono in Portogallo creando i presupposti per un fiorente commercio che ancora oggi ha validi protagonisti di questa nazione.
A testimonianza di ciò i principali produttori odierni di Porto hanno ancora cognomi inglesi, come Cockburn, Croft, Graham, Osborne, presente anche a Sherry, Offley, Taylor e Sandeman. Il Porto rimane sulle tavole inglesi nelle occasioni importanti ed è il vino da dessert degli ufficiali della Raf e della Royal Navy, con cui si brinda alle vittorie e alla Regina. Ovviamente nell’ambito commerciale non potevano mancare gli abili olandesi e tedeschi con Niepoort e Burnmesteir.

I vitigni che concorrono alla produzione del Porto rosso sono: Touriga Nacional Tinta Barroca, Tinta Cao, Touriga Francesa, Bastardo e Tinta Roriz (il Tempranillo spagnolo). Per il Porto Bianco, normalmente meno pregiato e ricercato del rosso, concorrono invece : Moscatel, Malvasia, Viosinho, Donzelinho, Branco e Esgana Cao.
Il terreno di coltivazione è terrazzato lungo il fiume e risale per circa 100 chilometri all’interno del paese.

 

Le aree principali in cui è diviso sono le seguenti.
Baixo Corgo: si caratterizza per essere più piovosa e meno calda delle successive, pertanto la sua produzione si incentra sui vini rossi economici.
Cima Corgo: situata a monte della precedente ed è più calda e meno piovosa, pertanto le sue uve sono di qualità superiore. La sua “capitale” è Pinhao, cittadina che vede la sede di alcune cantine storiche. I suoi vini sono normalmente dei Vintage e dei Colheta.
Douro Superior: quasi al confine con la Spagna, è la zona più arida e calda.
Era difficilmente accessibile per via delle rapide del fiume, ma oggi con le strade tutto è cambiato.
Da qui vengono i prodotti commerciali più commerciali, visto che è possibile una certa meccanizzazione delle pratiche di vigna.

La vendemmia molto faticosa per via del terreno è fatta a mano, la pigiatura è effettuata tradizionalmente con i piedi e la fermentazione avviene con bucce e raspi, utilizzando lieviti selvaggi autoctoni.
Le botti della produzione del porto si chiamano pipas e sono in pratica una doppia barrique da 434 litri. In primavera le botti sono trasferite a Villa Nova de Gaja, un paese a sud d’Oporto dove il vino al loro interno invecchierà per un periodo oscillante fra i 3 e i 50 anni.

L’Istituto Nacional Do Vino Porto deciderà in base all’invecchiamento e alla qualità la classificazione del vino, che sarò così suddiviso:

Ruby con invecchiamento breve, color rubino, dolce dai profumi vinosi e semplici, non hanno l’annata della vendemmia.
Tawny di colore granato, dolce, intenso nei profumi e complesso nell’insieme, non porta il millesimo della vendemmia essendo un mix di diverse annate invecchiate dai 10 ai 30 anni.
Full dark rosso intenso dolce e pastoso.
Quintas d’eccezionale qualità sono i prodotti di una singola azienda e sono consigliati per il consumo da meditazione.
Vintage sono di un’unica annata giudicata eccezionale dall’istituto nazionale e possono invecchiare dai 3 ai 30 anni.


L’ultima annata dichiarata eccezionale è stata la 1997. L’apertura prevede il rito della rottura del collo con l’apposita pinza rovente e lo straccio umido con la successiva decantazione.
LBV o Late Bottle Vintage (annata di imbottigliamento tardivo) sono l’imbottigliamento dell’annata non dichiarata Vintage.
Ha caratteristiche d’eccellenza ma non ha la finezza di quest’ultimo.
Invecchia dai 4 ai 6 anni in rovere, poi è messo in bottiglia per il consumo, sull’etichetta la comunicazione del millesimo è facoltativa.
Esistono anche Porto bianchi chiamati Branco, Dourado, White che godono di scarso mercato.

L’abbinamento con il cioccolato amaro o con preparazioni al cacao, da sempre un azzardo con il vino, ha invece nel Porto un abbinamento d’elezione.
Abbinamento importante anche con formaggi stagionati, dalla forte struttura in grado di compensare in bocca le persistenze da record del vino di Porto.
La regola dell’abbinamento perfetto deve tenere conto che il sapore di uno non deve mai sovrastare l’altro, ma deve andare di pari passo.
Si deve procedere all’assaggio del cibo e poi del vino e viceversa per verificare se in bocca vi sia una prevalenza di uno dei due.
Si può anche pensare ad un abbinamento con carni rosse di selvaggina speziate, con una spiccata tendenza dolce e buona succulenza, per un abbinamento di concordanza con la dolcezza del Porto e la sua carica alcolica vicina a 20% vol/vol.

Sherry

I Fenici

I fenici per primi portano la viticoltura in questa area vocata del sud ovest della Spagna, fondando Gadir, l’odierna Cadiz.
I vini dolci prodotti in questa area assomigliano all’Hepsema, un vino concentrato zuccherino di produzione ellenica.

I romani
I romani a loro volta implementano la coltivazione della vite e la produzione del vino che, per la sua gradazione alcolica, poteva essere spedito fino a Roma, dove era molto apprezzato.

Gli arabi e la distillazione
Gli arabi contribuiscono in maniera determinante al futuro del vino di Jerez, portando con loro gli alambicchi da distillazione, che nel proseguo della storia faranno sì che nasca il vino fortificato chiamato Sherry.

1264

Jerez viene riconquistata dai cristiani e sancisce, di fatto, l’inizio della storia moderna di questo vino, che con il dominio inglese diventerà uno dei prodotti enologici maggiormente consumati in tutto il mondo.

L’Inquisizione
La vera minaccia alla vita dello Sherry arriva dall’Inquisizione e dal suo clima reazionario e di tensione, che mette al bando tutti i prodotti alcolici responsabili di rendere lascivi e peccaminosi gli animi dei bevitori. Ma i problemi per i produttori non erano terminati con la fine di questo periodo buio.

Le tensioni fra Spagna e Inghilterra
I mercanti inglesi trasferitisi in tale area, per meglio controllare i loro affari di un’Inghilterra assetata di vini liquorosi come Osborne, Harvey & Sons, William & Humert e Byass, dovettero resistere alle tensioni e alle rappresaglie nate nel 1588, dopo che Drake incendia la flotta spagnola e successivamente alla vittoria inglese di Trafalgar del 1805.

I vitigni dell’area sono essenzialmente due: il Palomino dall’acidità bassa, che ha il potere solo in questa zona del mondo di sviluppare il flor e le sue caratteristiche d’eccellenza; il Pedro Ximenez, usato per produrre l’arrope, la mistella usata per fortificare il vino oppure per vinificare vini dolci in purezza.
Proprio per la sua bassa acidità il Palomino è inadatto alla distillazione, infatti erroneamente si pensa che l’acquavite per fortificare lo Sherry provenga da questo vitigno.
In realtà il brandy necessario alla sua fortificazione viene prodotto con l’Airen nella vicina Mancha, dove risulta essere il vitigno bianco più coltivato per la sua acidità e assenza di profumi, che ne fanno un ottimo prodotto da distillazione.

Questi vitigni vengono coltivati nel terreno bianco di origine calcareo gessosa tipico di questi territori, posti in un’area povera di pioggia nel periodo estivo.
Il terreno che ricopre lo strato superficiale dell’area assicura un altissimo potere assorbente in grado di accumulare umidità in primavera e di mantenerlo durante l’estate.
Gli altri terreni tipici sono il “barro” e l’ “arena”, letteralmente fango argilloso e sabbia.
Il primo assicura nutrimento alla pianta, infatti le uve coltivate su questi terreni danno vita alla robusta tipologia Oloroso, la seconda garantisce il corretto drenaggio, donando una particolare finezza ai vini Fino, decisamente più secchi e scarni.

La produzione dello Sherry ricalca quello di altri vini fortificati, pertanto si usa aggiungere dell’acquavite al mosto in fermentazione, lasciando un minimo di residuo zuccherino, che potrà essere azzerato o meno, dallo sviluppo del Flor. Il Flor è una particolare muffa che si forma nelle botti scolme e si nutre di zucchero, che ha il potere di isolare il vino dall’aria e quindi di regolarne l’ossidazione. In questa zona, per motivi difficilmente spiegabili, l’aria è molto ricca di questo tipo di spore, che sono una componente fondamentale nella produzione di questo vino.
La creazione di questa muffa è soggetta alle stagioni e al clima ed il suo sviluppo o meno nell’annata influenza in maniera determinante il carattere dei vini.
Al mondo vi è solo un altro posto dove si verifica questa magia: Arbois, nello Jura Francese. Qui vengono prodotti vini ossidati detti Jeaune, senza fortificazione, semisconosciuti alla massa, ma dotati di un’eleganza senza pari.

L’invecchiamento a Jerez nelle Bodegas è fatto con il metodo Soleras, dove viene aggiunto sempre del vino nuovo nelle botti di testa, ricco di zuccheri, in grado di alimentare il Flor e regalare così complessità al vino con il lungo invecchiamento.
Il complesso di botti della Soleras è composto da vari strati, le criadere, che vengono colmate e svuotate di circa un terzo ogni anno, mantenendo vivo lo sviluppo del flor.
Nello strato più vicino al terreno c’è la solera, termine derivante da “suolo”, che viene svuotata ogni anno di un terzo per imbottigliare il vino destinato al mercato.
I vantaggi della solera sono evidenti, in quanto il vino prodotto sarà di qualità costante, come richiesto dal mercato inglese, che non ama la lettura delle annate e la relativa mancanza di prodotto per una stagione infausta.
Gli inglesi amano avere una costanza del prodotto ed è per questo che, sia nel Whisky che nel Cognac, hanno adottato la figura del blender che deve rendere uniforme il prodotto finale, grazie ad un naso finissimo.
Nel caso dello Sherry il ruolo del blender è svolto dalla solera e dalla Natura, che invecchia le partite e le singole annate regalando un prodotto finale frutto dell’assemblaggio di esse. In alcuni tipi di invecchiamento, per la creazione di particolari riserve si usa invecchiare il vino in botti grandi sotto enormi tettoie, esposte alle intemperie e alle variazioni climatiche per ossidare il vino in maniera naturale. Questo invecchiamento ricorda da vicino l’altro vino liquoroso di scuola inglese, il Madeira.
In particolare alla Gonzales Byass esiste la botte del Cristo la cui capacità di 33 ettolitri ricorda l’età in cui fu crocifisso.

Gli stili principali dello Sherry sono:

Fino, decisamente secco, con una chiusura ammandorlata ideale per accompagnare piatti di pesce con un grado alcolico importante che consiglia il consumo fresco.
Fino Manzanilla, viene prodotto esclusivamente nella zona di San Lucar de Barrameida, che per via della sua vicinanza al mare da vini decisamente più sapidi.
Amontillado, sherry Fino che non ha sviluppato lo strato di flor e che ha avuto una maturazione ossidativa. Il grado alcolico varia dai 16 ai 18 gradi. Secondo i mastri cantinieri della zona la decisione della produzione dei due stili enologici è assolutamente in mano alla natura e alla presenza o meno degli lieviti naturali nell’aria, un po’ come accade nel Sauternes per la produzione dei vini muffati e nell’Arbois, come detto, dove si produce un vino analogo allo Sherry grazie allo sviluppo di una muffa detta “voile”.
Il sapore è secco, ma decisamente meno di un Fino, così come il colore che risulta essere nei toni dell’ambra.
Oloroso, di color ambra scuro è un vino con un grado alcolico importante dai 18 ai 20 gradi, sia secco che semi-secco ottenuto fortificando il vino, lasciandolo poi invecchiare in botti scolme.

Oltre a questi stili principali esistono il Palo Cortado, che a detta degli enologi è un capriccio della natura, la cui produzione non è replicabile volontariamente, essendo una via di mezzo fra profumi e sapori di Oloroso ed Amontillado.
Il Cream Sherry e Pale Cream, non sono vini fortificati, ma dolcificati con mosto concentrato rispettivamente di Pedro Ximenez e di Palomino. Il loro grado alcolico non è elevato, ma hanno una forte concentrazione zuccherina.
Il Pedro Ximenez è lo sherry più strutturato, prodotto con il vitigno appassito lungamente, che ha un colore quasi mogano e dolcezza spiccata, contrastata da una buona acidità di fondo.

Per il Fino, gli abbinamenti sono prettamente legati alla cucina del luogo, dove si usa legarlo ad un consumo ghiacciato nelle classiche copita con delle tapas a base di pesce o del pregiato gamberone del luogo.
Amontillado e Oloroso secco si abbinano a preparazioni di pesce strutturate, o in cucina per la preparazioni di carni tipo le scaloppine.
Le versioni dolci si abbinano con formaggi erborinati o stagionati a pasta dura o a dolci con frutta secca e miele tipici della zona, mentre il Px è un ottimo vino da meditazione dove non è necessario nessun abbinamento, grazie alla sua complessità che rende l’assaggio un esperienza sensoriale.
Per concludere una curiosità per gli appassionati di Formula 1 e del compianto Ayrton Senna, esiste infatti nella cantina Byass una botte recante una sua firma con dedica alla marca Tio Pepe, leader di mercato della tipologia.

Vini da messa

Le origini nel Vangelo 

L’evolversi dell’Eucarestia Cristiana, così come noi oggi la conosciamo, è stato un processo graduale, all’inizio si trattava di un semplice pasto conviviale, mentre nell’epistola di San Paolo ai Corinti, troviamo la prima testimonianza della pratica di ricordare con una cerimonia l’ultima cena di Cristo.
In essa sono contenute le frasi rituali, ancora oggi, pronunciate durante la cerimonia, “prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo che sarà dato a morte per voi, fate questo in memoria di me” per poi proseguire con il calice del vino “questo calice è il nuovo testamento nel mio sangue: fate questo, tutte le volte che ne berrete, in memoria di me”.
Questa lettera è antecedente alla stesura dei Vangeli, mentre il “Vangelo secondo Giovanni”, racconta che Gesù aveva già pronunciato, nella Sinagoga di Cafarnao, “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane io in lui e lui in me”.
Parole dure cariche di simbolismo, il sacrificio di se stesso, ricordava ai romani i sacrifici pagani d’animali, legati al culto di Bacco, legami che appaiono evidenti anche nella Grecia pagana, dove si usava bruciare carne su un altare , per nutrire con il fumo gli dei, per poi cibarsene.
Il rito della messa ha da sempre il suo momento culmine nella comunione, atto centrale dell’intero culto, qui abbiamo i due alimenti simbolo della cultura umana, il pane, trasfigurato nel corpo di Cristo, necessario per vivere, e la presenza del vino, il sangue di Cristo, alimento non indispensabile per la sopravvivenza, ma che permette di alleviare le fatiche terrene.

Il passaggio dalla cultura romana al Medioevo

Con il Medioevo abbiamo il periodo che segna il passaggio del sapere del vino dagli Imperatori ai Santi e che caratterizzerà in maniera profonda la cultura cristiana che ripone in esso un profondo significato simbolico, connesso al rito della comunione.
Il passaggio fra Romani e Medioevo sancisce anche il definitivo passaggio del vino da pagano a sacro, prima presenza fondamentale dei culti di Dionisio, il dio da cui nacque la civiltà e il nettare degli dei, portatore di ebbrezza che per i greci poteva essere sacra, per divenire poi l’allegoria rappresentante il Sangue di Cristo, raffigurata in decine di dipinti e incisioni medioevali.
Condividere con i fratelli, il frutto del faticoso lavoro in vigna, simbolo biblico a rappresentare il regno divino, è la rappresentazione dell’amicizia e della felicità del popolo cristiano, quindi rende la sua coltivazione fondamentale per la prosecuzione del culto.
Per i seguaci di Mosè, il primo segno che erano giunti alla Terra Promessa fu un prodigioso grappolo d’uva, talmente grande da dover essere trasportato da una stanga sorretta da due uomini .
Noè, appena terminato il diluvio pianta per prima cosa una vigna, con le preziose barbatelle che aveva gelosamente conservato, per assicurare al suo popolo la possibilità di avere il prezioso alimento, così come si deve alle abbazie la salvezza della viticoltura, nei secoli bui del Medioevo segnate da invasioni barbariche 

La produzione di vino nei conventi

I monaci proseguendo il sapere della viticoltura e della vinificazione, misero di fatto in salvo la cultura del vino in Europa, la quale ha un enorme debito di riconoscenza verso i monaci benedettini, cistercensi e i frati, la cui egemonia del sapere della fermentazione, durò per secoli ed in alcuni casi è arrivata fino ai nostri giorni.
Dobbiamo ai Cistercensi di Clos de Vougeot i primi studi sui cru e sull’influenza del terreno e dell’ambiente pedo climatico sui vitigni, osservazioni rese possibili grazie alla scelta ponderata e fondamentale di piantare un unico vitigno nell’area, il Pinot Nero.
Sempre ai monaci e al loro lavoro dobbiamo il Sagrantino e il Monica di Sardegna , la cui etimologia del nome , mostra chiaramente l’origine conventuale e rituale data ai vitigni, mentre per le tipologie abbiamo il Santa Maddalena nata grazie ai Benedettini e il Frascati ad opera dei monaci di Grottaferrata.
Sempre in Italia dobbiamo agli insediamenti Templari la nascita della viticoltura in Puglia, a Locorotondo e un ulteriore prova a dimostrazione che i vini dolci liquorosi di determinati vitigni, potrebbero aver avuto inizialmente un impiego a scopo liturgico, abbiamo in questa area l’Aleatico e il Moscato di Trani.

Per la produzione in origine si utilizzavano sia vitigni bianchi che rossi, come se il colore non fosse un elemento discriminante per il rito, nonostante che spesso si sia portati a pensare che il vino da messa sia rosso, a ricordare il Sangue di Cristo.
Nella Chiesa Cristiana non si hanno dei dettami da seguire e spesso il vino utilizzato è bianco. 

Per la Chiesa ortodossa il vino deve essere rigorosamente rosso ed è facile pensare che lo sia stato anche per quella Paleo Cristiana, vista l’elevata presenza in aree che vedono la presenza di abbazie importanti, di una tradizione legata a passiti e vini liquorosi rossi.
In questo senso non ci vengono in aiuto neanche i Vangeli, il vino è molto presente nelle parabole legate alla vita di Cristo, anche se non riusciamo ad avere notizie circa le sue qualità organolettiche, se non semplici giudizi generali.

 

La Chiesa Cristiana afferma attraverso il Codice di Diritto Canonico che il vino della celebrazione eucaristica deve essere “il naturale frutto della vite, non alterato” e che deve essere addizionato ad acqua, elemento fondamentale nella simbologia di molti popoli, rappresentante l’origine della vita .
Tale gesto ha avuto diverse interpretazioni, per Sant’Ireneo era l’unione della natura umana con quella divina, per S. Cipriano tale simbologia rappresenta l’unione di Cristo con la Chiesa dei fedeli, mentre S.Ambrogio dipinge la drammatica immagine del sangue e dell’acqua che sgorgarono dal costato del Cristo, trafitto dalla lancia del centurione che mise fine alla sua agonia.
La qualità del vino da messa e la sua importanza simbolica è ben spiegata da Tommaso d’Acquino il grande frate filosofo italiano del 13° secolo che così dice “ Il sacramento dell’Eucarestia può essere soltanto celebrato con il vino della vite, perché questo è il volere di Cristo Gesù (….) con questo voglio dire la gioia dello spirito, perché sta scritto che il vino rende lieto il cuore dell’uomo.”

 

Il vino da messa maggiormente utilizzato attualmente è il Moscato d’Alessandria, vinificato liquoroso, per rendere questo prodotto maggiormente stabile al trasporto e alle ossidazioni del tempo, questo prodotto ha raccolto sempre maggiori consensi grazie al fatto che il vino bianco sporca di meno gli arredi sacri.
Le prove che il Moscato liquoroso fosse un vino molto apprezzato per la liturgia lo possiamo evincere da un’analisi della sua diffusione nell’Europa del sud, infatti la sua coltivazione nel Roussillon, precisamente nelle AOC Rivelsaltes e Frontignan corrisponde con la presenza dell’importante centro abbaziale di Font Froide, così come la prestigiosa AOC del Muscat du Cap Corse, corrisponde con l’insediamento medioevale, nel 1400, dei monasteri Francescani che portarono un significativo miglioramento della viticoltura.
Le origini del Moscato Liquoroso sono da far risalire intorno al XIII secolo, proprio nell’area del Roussillon, ad opera del famoso alchimista francese Arnaldo da Villanova detto il Catalano che insegnò a Montpellier, diventando rettore dell’omonima Università. Fu lui a avere l’idea di unire lo spirito, rappresentato dall’alcol, che aveva ampie analogie con l’essenza delle cose e l’anima, ad un altro elemento sacro della liturgia, il vino.
Grazie ai suoi studi alchemici sulla distillazione, in cerca del quinto elemento, egli aveva scoperto come addizionando alcol distillato al vino si inibissero le successive fermentazioni indesiderate, tipiche dei vini di allora, creando di fatto il nuovo stile enologico dei vini fortificati.
Tale tipologia di vino dolce ebbe molto successo, diventando lo stile predominante, testimonianza ne sia il successo nei secoli successivi del Porto e di tutti gli altri vini liquorosi.
Esistono anche in Italia due produttori molto importanti di questa tipologia , entrambi in Piemonte è sono Bava che vinifica il Moscato “Alleluia” esclusivamente per l’uso sacro e il convento delle suore di Santo Stefano Belbo, produttrici di un Moscato liquoroso che viene distribuito in tutte le curie italiane.
Analizzando le stesse aree, possiamo altresì dedurre che il vino rosso dolce fosse ampiamente utilizzato, per i medesimi scopi liturgici, infatti nell’area francese di influenza dell’abbazia di Font Froide, abbiamo la AOC Maury , una piccola enclave, satellite di Riversaltes che produce ottimi Vin Doux Naturel fortificati da uve Grenache, come in zona Corsa abbiamo il Rappu, vino rosso dolce ottenuto da appassimento dei grappoli del precedente vitigno con saldi di Alicante, conosciuto in Italia come Aleatico.
In Piemonte abbiamo, nelle vicinanze di Castelnuovo don Bosco , in piena DOC dell’omonima Malvasia Nera, uno dei centri abbaziali medioevali più importanti del Piemonte, l’abbazia di Vezzolano e qui, sempre Bava vinifica il “Malvaxia Sincerum” ad esclusivo uso liturgico, con tanto di autorizzazione della Curia Vescovile di Casale Monferrato.
In Umbria, area ad alta vocazione religiosa, con decine di conventi, prospera la coltivazione del Sagrantino che presumibilmente nella versione passita, fungeva da vino messa, nella celebrazione dell’Eucarestia.
In conclusione , pur non esistendo prove certe che i vitigni suddetti e le tipologie elencate abbiano avuto un’origine religiosa, analizzando la distribuzione di essi in corrispondenza d’importanti insediamenti religiosi, possiamo notare una certa corrispondenza che non è del tutto casuale, soprattutto per il vitigno bianco principe dell’enologia piemontese, il Moscato.
Fermo restando che manca la prova schiacciante a dimostrazione del mio teorema, con uno scritto inconfutabile che attesti tale scelta di vitigno per questo scopo con relativi motivi, quest’indagine resta avvolta nel mistero come la vita d’Arnaldo di Villanova, ma rimane comunque un buono spunto di riflessione e ulteriore approfondimento , da parte di ogni appassionato di vino.

Non perderti gli aggiornamenti

Iscriviti alla newsletter