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Grappa

1443

Nella regione del Piemonte un documento doganale attesta il pagamento di una tassa su un’acquavite di origine enologica. Le tasse in quel periodo venivano calcolate puramente su una stima della materia prima che poteva contenere la caldaia e i cicli di lavorazione possibili.

1745

Bernardo Ramazzini descrive le malattie professionali dei distillatori, specificando che ottengono alcool dalla vinaccia. Sempre in questi anni i braccianti agricoli venivano remunerati per il loro lavoro in vendemmia proprio con le vinacce, lo scarto della produzione del vino.

1857
Pietro Valsecchi parla di acquavite di vinaccia, ma viene considerata un surrogato del più pregiato cognac.

1890
Nei testi storici della distillazione di Comboni, Cettolini e Cantamessa pubblicati dal 1890 in poi inizia ad apparire il termine “grappa” spesso seguito anche da acquavite di vinaccia.
Il consolidamento di questo termine avverrà solo a fine Ottocento, ed inizi Novecento dove sarà posto in etichetta da moltissime distillerie. Il nome potrebbe derivare dalla materia prima, il graspo o graspa dell’uva.

1896

Andrea Da Ponte stampa il manuale Distillazione delle vinacce, pietra miliare per la produzione della grappa, tanto che per molto tempo di parlerà di Metodo Ponte.

Prima Guerra Mondiale

Il conflitto mondiale mette in contatto soldati da tutte le regioni italiane: la grappa viene conosciuta anche dai soldati del Sud, che al termine del conflitto riportano a casa i distillati dei compagni piemontesi, lombardi, trentini. La produzione di acquavite di vinaccia inizia così a diffondersi in tutta la Penisola, con periodi di grande fortuna, altalenati da crisi commerciali di questo prodotto.

 

La grappa è ottenuta tramite distillazione delle vinacce. Le varietà di uva utilizzabili non hanno alcuna limitazione a disciplinare, pertanto è possibile produrre grappa con l’intero patrimonio ampelografico italiano che conta oltre 500 vitigni. L’unica regola è che la grappa sia ottenuta o da vinacce di uva coltivata e vinificata in Italia.

Le tipologie di vinacce utilizzabili sono:

Vergini: sono il prodotto della vinificazione in bianco, ovvero quella in cui le bucce sono separate dal mosto prima che questo inizi a fermentare. Le vinacce vergini vengono quindi addizionate di lieviti selezionati affinché possa avvenire la fermentazione e a seguire la distillazione.

Semi-fermentate: vinacce che derivano dalla produzione di vini rosati. La quantità di alcol presente non è mai molta poiché le vinacce rosse sono tolte quando iniziano a tingere.

Fermentate: vinacce che derivano dalla vinificazione in cui la buccia è a contatto con il mosto, detta anche vinificazione in rosso. Derivano solitamente dalle produzioni di vini rossi, ma anche da vini bianchi che subiscono macerazione, come gli Orange Wine. 

 

La distillazione della grappa è quasi sempre un ibrido fra distillazione continua e discontinua. Gli alambicchi cambiano inoltre da distilleria a distilleria, con accorgimenti e migliorie che ben rappresentano il genio e la creatività italiane.

Il primo passaggio è di disalcolazione del le vinacce fermentate, a cui segue un passaggio in colonna per la rettifica della flemma, fase in cui si eliminano le teste e le code, per conservare solo il cuore del distillato. La gradazione finale corrisponde a quella dell’acquavite ovvero a meno di 86% a volume, indipendentemente dalla metodologia utilizzata.

Nella moltitudine di soluzioni adottate dalle diverse distillerie è possibile individuare quattro tipologie, che fanno riferimento al tipo di riscaldamento delle vinacce, e condizionano il profilo organolettico del distillato:

Fuoco diretto: metodo tradizionale di riscaldamento delle vinacce, dal fascino romantico ma con diversi problemi tecnici, tra cui il poco controllo della temperatura e i lunghi cicli di lavorazione. Le vinacce sono messe a bagno nella caldaia usando solamente acqua. E’ vietato addizionare vino. Solitamente si fanno due passaggi, con uno si disalcola e con il secondo si concentra la flemma ottenuta.

Bagnomaria: metodo che supera i problemi di regolazione di temperatura, riscaldando delicatamente la vinaccia. Tuttavia, la capienza di questi strumenti rimane bassa e i tempi di lavorazione lunghi. La flemma ottenuta viene poi passata in una colonna a basso grado.

Caldaia a vapore:metodo più diffuso, che prevede una batteria di caldaiette di rame a vapore della capienza solitamente variabile dai 400 ai 500 chili. Le vinacce sono poste dentro cesti sovrapposti per dare modo al vapore di passare attraverso le bucce e trasportare con sé alcol e profumi. La flemma che si ottiene viene poi passata in colonna.

Alambicchi a vite continua: metodo di recente applicazione che prevede che la disalcolazione avvenga in maniera dinamica, grazie una vite senza fine che carica in continuo la vinaccia. Nel suo movimento nella colonna, la vinaccia è attraversata da un getto di vapore che ne estrae l’alcool. La flemma viene poi avviata ad una colonna di rettifica. Elimina i tempi di carico e scarico dello strumento.

La grappa prima dell’imbottigliamento subisce una refrigerazione ed una  filtrazione, per eliminare sostante oleose, tartrati o residui dovuti all’invecchiamento in legno.

 

L’invecchiamento della grappa, pratica poco usata in passato, ora è diventata di grande rilievo per assecondare i gusti dei consumatori che richiedono un prodotto aromatico e morbido. Si va da qualche mese di affinamento in acciaio, che conservano i profumi fruttati della materia prima, fino a decine di anni per i prodotti più particolari.

I legni oltre al classico limousin e al rovere di Slavonia, possono essere acacia, frassino, ciliegio, pero e melo, a seconda delle tradizioni regionali. Abbastanza tipico il castagno che dona finali leggermente amaricanti che ricordano il caratteristico miele. Infine, alcuni produttori utilizzano il wood finish utilizzando legni di provenienza straniera, che hanno contenuto distillati, come whisky, whiskey o rum, vini liquorosi, solitamente spagnoli o portoghesi, come sherry, porto o madeira o vini passiti italiani.

Al termine dell’invecchiamento si può edulcorare il prodotto, con un massimo 20 grammi di zucchero per litro, mentre il caramello serve solamente ad equiparare le partite.
La sua aggiunta è possibile solo se le grappe dichiarano almeno un anno di invecchiamento.
Ogni aromatizzazione successiva con erbe o frutta deve essere segnalata in etichetta.

 

È possibile trovare in commercio prodotti che riportano le seguenti diciture, a indicare il tipo di invecchiamento.

Grappa Giovane o Bianca: solitamente acquavite fatta risposare da 3 mesi a 6, in vasche di acciaio

Grappa affinata: se non si vogliono dichiarare gli anni in etichetta, creare dei blend e non essere sottoposti al controllo daziale, si può “liberare” una certa quantità di grappa invecchiata nei magazzini daziali sigillati e procedere con la propria idea di gusto. In questo caso non sarà però possibile mettere gli anni di invecchiamento in etichetta e si dovranno usare termini di fantasia che richiamino alla pratica dell’invecchiamento come Barrique, Limousin, Affinata.
Grappa invecchiata : è necessario avere un magazzino daziale e piombato con i sigilli. Ogni volta che si vuole “liberare” della grappa per porla in commercio bisogna chiamare l’intendenza di finanza.
Dopo 12 mesi si potrà scrivere Vecchia, dopo 18 Stravecchia.
Talvolta può essere corredata da termini di fantasia. Solitamente dai 4 anni a salire si preferisce mettere sempre in etichetta il periodo di elevazione che dovrà sempre essere  espresso in numeri interi.

 

La grappa non riesce, a causa delle sue caratteristiche di profumo e persistenza, ad essere un prodotto abbinabile durante il pasto, ma trova la sua apoteosi al termine di esso o all’interno del cibo stesso, magari un risotto, a cui va aggiunta, a sfumare, durante la cottura.
Il riso ben si presta a tale operazione poichè è abitudine aggiungere vino durante la sua cottura e la grappa che del vino è figlia, con il suo caratteristico retrogusto, può giocare un importante ruolo nell’aromaticità del piatto.
Valga per tutti l’esempio di un’ottima grappa di Barolo che trova il suo completamento su un fine pasto dove si è mangiato un cinghiale e polenta e bevuto il Re dei Vini da vitigno Nebbiolo.

 

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