Dopo l'uscita del libro "Saperebere" il testo del sito è coperto da diritti d'autore.
Per acquistare il libro contattare la Graphot allo 011 2386281 o a questo link.

Chiudi

Jenever

La storia del Jenever condivide essenzialmente le prime tappe di quella del gin, essendone il progenitore. La sua diffusione era inizialmente capillare, grazie al colonialismo olandese. Bottiglie di jenever sbarcavano a Nuova Amsterdam, oggi New York, e “dissetavano” i coloni diretti ad ovest.
Negli anni Duemila è stato oggetto di una riscoperta da parte del bartending, con alcune aziende che sono tornate in produzione,  ma dopo poco tempo, complice il rinnovato successo del gin lo ha relegato nuovamente nelle retrovie.

Se volete approfondire la storia delle origini il consiglio è di leggere la prima parte del capitolo dedicato alla storia del gin, poiché il jenever viene considerato il suo predecessore.

1658 

Tradizionalmente si attribuisce aSylvius de Boe, medico naturalista olandese, la creazione un diuretico a base di bacche di ginepro, il jenever, puramente con scopi medicinali. Ma come già spiegato questa teoria era frutto del poco materiale storico a disposizione.

1664

Nasce la distilleria Bols, che si pensa sia stata la prima a produrre jenever a livello industriale, nonché a usare questo nome.Nel 1820 saranno loro a introdurre l’utilizzo di 50% di malto d’orzo, che conferisce eleganza e un profilo simile al whisky, che conquista i palati americani come si vedrà qui di seguito.

La diffusione nelle Colonie del West

Grazie alla presenza di un re di origini olandesi, il jenever conosce una grandissima diffusione in Inghilterra e nelle colonie americane. Da Nuova Amsterdam, l’odierna New York, vengono sbarcate ingenti quantità di jenever per sostentare la conquista dell’Ovest dei coloni, che apprezzano molto il distilla

L’inizio della produzione inglese e americana

L’Inghilterra e l’America iniziano a produrre in autonomia il distillato, per affrancarsi dall’egemonia olandese. Il jevener viene progressivamente abbandonato, e il suo consumo ritorna ad essere solo nazionale.

Prima Guerra Mondiale, Proibizionismo e Seconda Guerra Mondiale

Il ‘900 dà un ulteriore colpo al jenever: i conflitti mondiali sottraggono le granaglie destinate alla distilleria per lo sforzo bellico, insieme al rame degli alambicchi. A questo seguono pesanti bombardamenti delle campagne olandesi.

Anni Ottanta

Herman Jansen, titolare del marchio Notaris, inizia la produzione del tradizionale genever di Schiedam. Per la sua preparazione si segue un metodo preciso, riportato in auge dall’attuale titolare, Dick Jensen, erede della famiglia oramai giunta alla quinta generazione. La cittadina di Schiedam è simbolo della distillazione olandese, nel suo periodo di massima espansione raccoglieva infatti circa 400 distilleria e 20 mulini a vento per la macinazione delle granaglie.

 

Le materie prime che caratterizzano le diverse tipologie di jenever sono essenzialmente:

  • acquavite di malto d’orzo ottenuta con alambicco discontinuo con doppio passaggio o passandolo in una colonna a basso grado. 
  • distillato di cereali (mais, orzo, segale) o melassa, ottenuti da colonne di distillazione ad alto grado.
  • Bacche di ginepro ed altre piante aromatiche solitamente coriandolo, semi di finocchio, radice di liquirizia, angelica.

La percentuale di acquavite di malto d’orzo varia in funzione della tipologia di jenever:

  • per la tipologia jonge deve essere minore del 15%
  • per la tipologia oude almeno il 15% a salire fino al 100% (in questo caso di dice graanjenever)
  • per la tipologia moutwijneil 100% (uso esclusivo di malto d’orzo)

con jonge (giovane) e oude (vecchio)non si definiscono gli invecchiamenti ma i metodi produttivi. Il primo infatti è un metodo produttivo che prevede l’uso delle colonne e dell’alcol da melasso, mentre l’oude deve avere necessariamente cereali. 

 

I cereali vengono macinati per permettere all’acqua calda di sciogliere completamente gli zuccheri contenuti in essi. I tre tipi di cereali vengono aggiunti in maniera sequenziale, con temperature dell’acqua differenti, senza subire la maltazione. Dopo alcune ore di cottura il mosto viene lasciato raffreddare, per poi essere addizionato di lieviti selezionati che ne permettano una corretta fermentazione. Il fermentato ha una gradazione variabile da 7-8% fino a 10-12% a volume, a seconda del mix di cereali.

La distillazione avviene per una parte in colonna continua, e per il malto d’orzo esclusivamente in discontinuo. 

Per l’aromatizzazione del distillato esistono due metodi. Il primo riprende il concetto di London Dry Gin, in cui le erbe sono messe in macerazione nel mix di alcool, che viene poi distillato in discontinuo. Altrimenti è possibile mescolare alcolati di varie piante aromatiche, come per il gin compound.

Il metodo tradizionale, utilizzato da poche distillerie, prevede l’aggiunta delle spezie tra la seconda e la terza distillazione. Con le prime due si ottiene l’acquavite base, tagliando teste e code, o il distillato in colonna (disalcolazione e concentrazione) con la terza si aromatizza. Grazie al fatto che nell’alambicco discontinuo ci sarà una fonte di calore, la macerazione dura solo un giorno. Non è necessario prolungarla poiché l’estrazione sarà comunque completa. Le teste, trattandosi di alcol già pulito in precedenza non sono mai tagliate se non per eliminare eventuali impurità dal passaggio delle precedenti code, mentre le code sono sempre eliminate e ripassate nella cotta successiva.

 

Il Disciplinare non prevede invecchiamento. La tipologia jonge viene venduta dopo un breve affinamento in acciaio, per arrotondarne il profilo aromatico e gustativo. L’oude ha quasi sempre un passaggio in legno di breve durata ma non è vincolante. Il fatto che quasi la totalità lo faccia ha fatto nascere l’equivoco legato al fatto che oude si riferisse all’invecchiamanto.
Solitamente si usano botti di quercia di Limousin e solo raramente di Troncais, per via di una sua dotazione tannica superiore. La capienza di queste non deve superare i 700 litri, pertanto sono molto comuni i tonneaux da 450 e le barrique da 225. Talvolta vengono utilizzate anche botti usate per il Bourbon.

Al termine dell’invecchiamento o affinamento è possibile aggiungere zucchero, tranne che per il Genever di Schiedam, per cui è vietato. Un’eventuale dolcezza è legata all’uso delle piante aromatiche come la radice di liquirizia. Il Jenever di Schiedam non è legiferato a livello europeo ma è una convenzione produttiva che si sono date le distillerie.

E’ possibile anche l’aggiunta di zucchero: nel jonge è possibile fino a 10 g/l, nell’oude e nei moutwijn e nei korenwijnea 20. Il caramello per uniformare le partite in invecchiamento può essere usato nella misura del 2%, mentre è sempre vietato nella tipologia di Schiedam.
Al termine del processo produttivo si procede all’imbottigliamento, previa filtrazione, solitamente svolta con cartoni.

 

In etichetta sono presenti la tipologia di Jenever:  Jonge, Oude e Moutwjine (puro malto) e il riferimento agli anni di invecchiamento, solitamente da 1 a 5.
Oltre i 5 anni si trovano le menzioni:

  • Zeer Oude, “molto vecchio”, sullo stile francese del Hors d’age, Senza età
  • VO, “VeryOld”, sullo stile del Cognac

 

Non esistono abbinamenti culinari con il jenever che al gusto ricorda un whisky giovane.
In Olanda si ha l’abitudine di accompagnarlo con un sorso di birra, così come accade anche per il whiskey in America. Il nome olandese è Koopstot che può essere tradotto in molti modi nessuno dei quali inneggianti al bere consapevole.

 

Non perderti gli aggiornamenti

Iscriviti alla newsletter