Whiskey – introduzione
Il whisky o whiskey è una bevanda alcolica, ottenuta dalla distillazione di un mosto fermentato composto da orzo in purezza o in alcune tipologie da quest’ultimo in unione ad altri cereali in percentuale variabile.
I cereali possono essere maltati e non maltati, che viene successivamente invecchiata in botti di legno, generalmente di quercia.
Il più famoso è sicuramente quello prodotto in Scozia dove si producono due categorie di prodotti profondamente diverse: il whisky di puro malto (in pratica un’acquavite di malto d’orzo) e il blended whisky composto da acquaviti di puro malto e distillati prodotti in colonna da un singolo cereale (single grain whisky) o miscele (grain whisky).
Segue il whisky irlandese, che pur ottimo, ha sempre goduto di una minore espansione commerciale, rispetto al cugino scozzese, quanto meno nel recente passato. Sono quasi sempre dei blended con miscele di acquaviti e distillati.
I malti irlandesi sono tradizionalmente più rotondi e morbidi e non hanno sentori di torba, contrariamente a quelli scozzesi. In tempi recenti anche gli irlandesi hanno proposto alcuni whisky leggermente affumicati.
Oltreoceano abbiamo il Whiskey Americano, prodotto con mosti che vedono una presenza dominante di mais o segale, dovuta a ragioni di territorio e tradizione, prodotti negli stati del Kentucky, Tennessee e Missouri, entrata fra gli stati produttori nel 2020. Ma non mancano altre interpretazioni provenienti da altre parti d’America, grazie all’espansione delle micro distillerie.
Il whisky canadese è un prodotto utilizzato generalmente per la miscelazione, anche se non mancano prodotti di pregio. Viene prodotto essenzialmente con alambicchi continui a colonna e con mosti a base di segale.
Infine, il giapponese, un prodotto di pregio, molto simile allo scozzese, a cui si ispira dichiaratamente. Nel 2021 ha ufficializzato il suo disciplinare che si ispira nei parametri a quello europeo.
Whisky - Scozia
L’origine del whisky è ancora oggi contesa fra la Scozia e l’Irlanda, anche se appare chiaro il legame che lega questi due territori.
432 d.C.
La leggenda vuole che San Patrizio, santo patrono dell’Irlanda ma di origini scozzesi, tornò in Irlanda dopo essere stato prigioniero dei pirati. Qui inizia una intensa attività di apostolato in Irlanda, portando con sé dai viaggi in Oriente i segreti della distillazione.
1172
Il re inglese Enrico II durante l’invasione dell’Irlanda doma a fatica la sua popolazione, sostenuto da una bevanda potente e miracolosa. È la prima testimonianza della presenza di un distillato.
1494
Anche gli Scozzesi rivendicano la paternità del whisky. Ad un frate irlandese, tal John Corr dell’Abbazia di Lindores, sulle rive del lago scozzese omonimo, viene consegnata una quantità d’orzo da destinare alla distillazione di dodicimila bottiglie di uiscebeatha. Il documento è stato redatto da re Giorgio IV in persona.
1505
La corporazione dei chirurghi ha il monopolio della produzione del whisky, utilizzato spesso per i disturbi della tiroide, grazie al suo alto contenuto di sostanze iodate.
1707
La Scozia viene annessa all’Inghilterra, che tassa pesantemente la produzione del whisky locale. Le tasse danno il via alla proliferazione delle distillerie clandestine, che a fine secolo raggiungono solo a Edimburgo quota 400.
1784
La Scozia viene divisa in due regioni: Lowlands e Highlands, con differenti regimi di tassazione, che penalizzavano le Highlands, incentivate ancora di più all’attività illegale.
1823
Finisce la tassazione sulla produzione di whisky, e inizia una progressiva legalizzazione delle distillerie, con grande successo.
1860
Lo Spirit Act legalizza la possibilità di utilizzare le efficienti colonne ed autorizza il blending, ovvero la possibilità di mescolare insieme i costosi whisky single malt da orzo, con distillati ad alta gradazione prodotti con altri cereali.
Ottocento
La fillossera devasta i vigneti d’Europa e affossa la produzione di acqueviti, dando grande spazio al whisky.
2009
Viene approvato lo Scotch Whisky Regulations che ufficializza le diverse zone di produzione del whisky, riportate in etichetta.
Nel whisky scozzese la materia principale è il malto d’orzo, utilizzato per la produzione di single malt.
Per la produzione di blended whisky è possibile anche l’utilizzo di miscele di grano e mais, e solo sporadicamente con segale ed avena. La presenza di una piccola parte di orzo è comunque fondamentale per via dei suoi enzimi in grado di attivare la maltasi.
Una menzione va fatta anche per la torba, che pur non essendo un vero e proprio ingrediente, dona le caratteristiche peculiari al distillato scozzese. La torba è un combustibile di origine fossile, usato per alimentare i forni destinati all’essiccazione del malto. La sua composizione, ricca di residui non del tutto decomposti come alghe, conchiglie, salsedine ed erica, dona al malto sfumature complesse, grazie al fumo attraversa i chicchi d’orzo nei forni.
Imprescindibile ingrediente è anche l’acqua, che deve essere purissima, senza residui di ferro.
La produzione del whisky inizia nel mulino, dove i chicchi sono macinati in maniera grossolana in modo da permettere all’acqua di scioglierne gli zuccheri. La farina detta grist viene messa in acqua calda a temperature variabili (dai 65 ai 75 gradi) per un determinato periodo di tempo decisi dal mastro distillatore. Con questo passaggio, grazie agli enzimi presenti nell’orzo, si sciolgono gli zuccheri e si ottiene il wort, ovvero un mosto fermentescibile.
La fermentazione viene svolta grazie a lieviti selezionati, ad ottenere il wash, ovvero il fermentato pronto per la distillazione.
Il fermentato al termine della fermentazione lunga dai 3 ai 5 giorni, ha circa il 5-8% a volume di gradazione alcolica. Nel caso del Single Malt viene distillato in alambicchi discontinui in due passaggi. Con il primo si ottiene la flemma con il secondo, condotto spesso in alambicchi di capienza inferiore, si dà origine al new spirit, con una gradazione compresa fra 70% e 72% a volume.
Per i single grain ed i grain whisky la distillazione avviene in colonne ad alto grado, da cui si ottiene un distillato con 94,8% a volume di gradazione, il massimo consentito dal disciplinare europeo.
Per il whisky l’invecchiamento minimo è di 3 anni obbligatoriamente in botti di quercia.
Per i single malt, anche se non viene legiferato, il disciplinare consiglia un invecchiamento minimo di 5. Dopo 3 anni, il whisky solitamente viene utilizzato esclusivamente per i blend, in unione con botti più vecchie.
La maggioranza dei single malt delle distillerie storiche iniziano ad essere commercializzati dal settimo anno e solo qualche giovane realtà propone il 5 anni come entry level.
Trascorso il minimo di legge, il whisky può essere invecchiato per un altro periodo all’interno di botti che hanno contenuto vino pregiato (Sherry, Porto, Madeira o passiti francesi come Sauternes) ed altre acquaviti (solitamente rum o cognac), con la pratica chiamata wood finish.
Prima dell’imbottigliamento il whisky è solitamente raffreddato e filtrato, in modo da eliminare antiestetici flocculi o sedimenti. È possibile l’aggiunta di zucchero (legiferata a livello europeo ma poco utilizzata dai produttori locali) e caramello per uniformare il colore delle diverse partite. Circa queste pratiche sempre più aziende dichiarano di non filtrare a freddo e di non aggiungere nulla al risultato della botte.
Le tipologie di whisky sono sei, e sono legate sia alla zona di produzione che allo stile:
- Highlands
- Speyside
- Island
- Islay
- Campeltown
- Lowlands
La suddivisione per area è stata in fatta in base agli stili produttivi principali e non sono legate, come per altri prodotti alla composizione del terreno. Solitamente Highlands e Speyside sono whisky molto delicati ricchi di profumi fruttati e di frutta secca, Island e Islay hanno note torbate e iodate molto forti, Campbeltown è una media fra le aree, mentre le Lowlands hanno malti morbidi, puliti e rotondi sullo stile irlandese per via dell’uso di orzo non maltato e tripla distillazione.
Ma con l’evoluzione del mercato sempre di più si sta verificando una contaminazione di stili pertanto distillerie di Highland torbano (peated) i malti e quelli delle isola creano prodotti decisamente più morbidi senza uso di torba (unpeated).
In etichetta è possibile trovare cinque categorie di whisky, che ne indicano la materia prima e soprattutto danno indicazione riguardo alla distilleria.
Single malt scotch whisky: prodotto in una singola distilleria, esclusivamente con acqua e orzo, distillato solamente in alambicco discontinuo.
Single grain scotch whisky: prodotto in una singola distilleria con un mosto ottenuto in maggioranza con uno o più cereali in unione ad una percentuale di orzo. La distillazione può avvenire sia in alambicco continuo che discontinuo. Se si distilla un wash ottenuto da solo orzo ma in colonna è sempre classificato come single grain.
Blended malt scotch whisky: miscela di due o più single malt distillati in più di una distilleria. Può essere definito anche Vatted Malt. Stanno prendendo molto mercato soprattutto le selezioni molto torbate delle isole come Peat’s Beast o Big Peat.
Blended grain scotch whisky: miscela di due o più single grain distillati in più di una distilleria.
Blended scotch whisky: miscela di uno o più single malt ed uno o più single grain e grain whisky.
Alcuni selezionatori dichiarano anche 50 e più single malt e grain diversi.
Si possono ritrovare inoltre anche le diciture:
Scotch whisky: un malto scozzese, sia esso blend o single, deve riportare in etichetta questa dicitura
Caskstrengh (forza della botte) o Full proof (grado pieno) : indica che il prodotto non è stato allungato con acqua per portare il malto a una gradazione alcolica inferiore, solitamente fra 40%, il minimo di legge, e 43% a volume.
Questi malti hanno subito il calo alcolico in seguito alla naturale evaporazione dell’alcol attraverso il legno della botte, l’angel share. Le gradazioni più comuni vanno dai 50 ai 58 gradi, più raramente oltre.
No colour o No caramel added: alla fine del processo di invecchiamento non viene aggiunto caramello, ammesso per legge per uniformare le partite produttive.
No chillfiltered: non ha subito una filtrazione a freddo.
Unpeated (non torbato): definisce in etichetta alcune nuove produzioni di whisky scozzesi, soprattutto delle isole
Considerato il carattere deciso del distillato, l’abbinamento con il cibo risulta difficoltoso, quanto meno per noi europei mediterranei. Nel Regno Unito, in America ed in India non era raro vedere pasteggiare a whisky allungato con acqua. Abitudine che sta prendendo piede anche nel sud est asiatico.
Volendo essere più ricercati i sentori d’affumicato possono dare grandi soddisfazioni su una degustazione di speck dell’Alto Adige o di salmone scozzese Red King. Affumicatura e speziatura possono andare a braccetto con un malto delle Highlands o un più deciso di Islay, accompagnato da pane nero e burro.
Da pensare anche con qualche formaggio stagionato o con leggera affumicatura.
Il whisky può essere usato in cucina preparare alcuni piatti, sia primi che secondi. Seguendo un’usanza americana, si potrebbe anche pensare ad una marinatura nel whiskey per alcune ore della carne da cucinare alla brace.
Whisky - Irlanda
1156
Un editto inglese attesta la produzione di questo distillato, sconsigliandone l’uso.
1608
Giacomo I concede a Sir Thomas Phillips, proprietario terriero di Bushmill, la licenza di distillare. Questa ad oggi è la concessione più antica del mondo, anche se quella di commercio non fu registrata prima del 1784 dalla Kilbeggan, fondata nel 1757 e secondo alcuni la vera distilleria più antica d’Irlanda.
1770
Il Whiskey rappresenta una importante entrata per le casse erariale. Le distillerie prendono piede e ne nascono moltissime.
1785
Viene imposta una tassa sull’orzo maltato, motivo principale per cui la tradizione del whiskey irlandese baserà la sua differenza sull’uso di semplice orzo. Il progressivo aumento delle tasse e il controllo britannico portano ad una proliferazione delle distillerie clandestine.
1823
Una riforma della tassazione favorisce nuovamente le distillerie legali. Il consumo di whiskey subisce però una frenata a causa delle carestie e della morale cattolica.
1832
Un esattore delle tasse diventa distillatore e crea la sua colonna di distillazione. Il whiskey così prodotto era molto meno costoso e si potevano usare anche materie prime diverse dall’orzo, soprattutto in tempi di carestia. Il prodotto, a basso costo, permea la società irlandese, con un grande successo commerciale.
Declino
La Guerra civile irlandese e il Proibizionismo mettono in ginocchio le distillerie irlandesi, che una ad una chiudono.
Rinascita
Negli anni Duemila riapre la distilleria Kilbeggian, seguita negli anni da un’altra ventina, con un movimento di rinascita e riscoperta di questo distillato.
La materia prima è l’orzo, sia maltato che non, in percentuali variabili a seconda della tipologia di whiskey. Possono anche essere utilizzati altri cereali come il mais, il grano e segale. In ogni caso deve essere sempre presente una parte di malto d’orzo, essenziale per la conversione degli amidi in zuccheri fermentiscibili.
L’uso della torba per essiccare il malto non è proprio del whiskey irlandese, anche se alcune produzione recenti introducono questa caratterizzazione.
Come visto per il whisky scozzese, i cereali vengono macinati e messi in acqua. Il liquido viene poi fermentato con l’ausilio di lieviti selezionati.
La principale differenza nella produzione consiste nella terza distillazione in discontinuo, riservata ai distillati di orzo, che dona maggiore pulizia e rotondità ai prodotti.
In pratica si ripassa la terza distillazione che da circa 70/72 gradi viene portata a 82/83 tagliando ulteriormente teste e code. In questo modo si ha un alcol ancora più pulito in grado di esaltarsi al massimo con l’invecchiamento.
Per la produzione dei blended, che rappresentavano la quasi totalità del mercato, si utilizzano anche le colonne di distillazione ad alto grado per ottenere single grain e grain whiskey
Oggi sta ritornando in voga la produzione anche di single malt pot whiskey ovvero prodotti ispirati alla tradizione con uso di solo orzo maltato e non maltato.
L’invecchiamento minimo è di 3 anni, e possono essere utilizzate botti da bourbon di quercia bianca americana, francese di limousin, sherry, porto e madeira. In questi ultimi casi non si tratterà del solo finish come per gli scozzesi ma dell’intero periodo di elevazione. Il disciplinare infatti non impone la quercia come unico legno. Il whiskey irlandese tradizionale ha un grado più elevato e perciò viene necessariamente diluito con acqua prima dell’immissione in botte per raggiungere 62-63% a volume.
Se si invecchiano dei grain whiskey in purezza si possono immettere anche sui 70 gradi.
Gli invecchiamenti sono sempre separati e solo al termine di esso si procede al blend fra i vari cereali e stili produttivi.
In etichetta è possibile trovare le seguenti menzioni:
Single malt pot still: whiskey ottenuti con malto d’orzo, maltato e non, in una sola distilleria. Rappresentano la tradizione del Dublin Whiskey che ebbe un glorioso passato, prima del successo della produzione scozzese.
Single malt: come il precedente ma non contiene orzo non maltato, pertanto è del tutto simile nella produzione e nella materia prima alla scuola scozzese. Alcuni di questi sono anche torbati per seguire il mercato che chiede questo tipo di caratteristica organolettica.
Grain Whiskey: prodotto in colonne ad alto grado, in una singola distilleria con un mosto ottenuto da più cereali in unione ad una percentuale minima obbligatoria di orzo. La gradazione massima è di 94,8.
Single grain: stesso metodo produttivo ma si usa un solo cereale, solitamente grano.
Blended: unione delle tipologie precedenti e rappresenta la tradizione del recente passato della produzione irlandese.
Le caratteristiche di armonia e finezza del distillato irlandese permettono l’abbinamento con uno strudel cannella e vaniglia.
Una cotoletta d’ottimo salmone irlandese grasso e succulento può essere accompagnata con un delicato whiskey diluito con acqua, la cui componente alcolica aiuterà a detergere la bocca.
Anche un Irish Stew, con una saporitissima carne di agnello, o un Sheperd Pie saranno un interessante banco di prova per un single malt pot still.
Whisky - Americano
Emigrazione europeo
Irlandesi, scozzesi e anche irlandesi emigrano in America alla ricerca di fortuna, soprattutto negli stati di Virginia, Maryland e Pennsylvania. Portano con loro i rispettivi distillati a base di cereali: il whisky e il jenever. La prima distillazione avviene, seguendo la storia classica, nel Seicento e in breve tempo fioriscono distillerie più o meno legali in tutto il territorio, in considerazione degli ottimi guadagni che si potevano ottenere, superiori a qualunque altro lavoro dell’epoca.
1791
Le distillerie iniziano a spostarsi nello stato del Kentucky, molto più favorevole come regime di tassazione.
1794
In Pennsylvania cinquecento distillatori armati respingono gli esattori dello stato, durante la cosiddetta Rivolta del Whiskey. Grazie alla diplomazia di George Washington, lo Stato non utilizza l’esercito per la soppressione della protesta
1840
Il nome Bourbon compare per la prima volta ad indicare un distillato di segale e mais. Il nome fu dato all’omonima contea in onore della famiglia reale francese quando quest’area era ancora una colonia transalpina, parte della Virginia, composta originariamente dalla Fayette County.
1861-1865
Le tasse sul whiskey finanziano largamente la Guerra di secessione americana, la produzione del distillato si espande largamente anche nello stato del Tennessee, aumentando notevolmente il numero di distillerie all’attivo.
1919
Il Proibizionismo dà una battura di arresto all’espansione dell’industria del whiskey, che tuttavia si riprende agilmente terminato il periodo
Cereale cardine della produzione di whiskey americano è il mais, seguito da una percentuale minore di grano, segale e orzo. Per essere definito Bourbon il 51% dovrà essere mais, mentre è discrezionale e coperto da segreto produttivo il resto della miscela, di grano, avena e segale, così come il 5% di orzo che risulta fondamentale per i suoi enzimi. Nel caso della tipologia rye (segale) e di quella corn (mais), la percentuale cresce all’80% per godere della dicitura in etichetta.
La varietà di mais usata è la yellow dent corn, diffusa anche in Europa, ricca di amidi, utilizzata anche per l’allevamento animale e per la produzione di bioetanolo.
Un altro elemento importante è l’acqua, che deve essere priva di ferro e ricca di minerali, soprattutto calcio.
I cereali germinati vengono ridotti in farina e addizionati all’acqua, il composto viene poi scaldato per agevolare lo scioglimento degli zuccheri. Il riscaldamento viene fatto in più fasi visto che gli zuccheri del mais si sciolgono ad una temperatura più elevata di quelli dell’orzo.
La fermentazione avviene ad opera di lieviti selezionati aggiunti, solitamente di proprietà della distilleria, ma molto comune è anche l’uso del sour mash: una parte del liquido in fermentazione si aggiunge ad un mosto appena preparato, con la stessa logica del piede di fermentazione per il vino.
Per la fermentazione solitamente si usato tini in acciaio a temperatura controllata, a cui segue il processo di distillazione. La gradazione massima consentita è 80% a volume, questa si potrebbe raggiungere con tre passaggi in discontinuo, sullo stile irlandese o in una colonna a basso grado per produrre acquavite come per la grappa. La scelta è legata a questioni commerciali: i prodotti premium saranno generalmente prodotti con alambicco discontinuo, quelli commerciali con il continuo.
Solo per il Tennessee Whiskey si opera un filtrazione particolare prima dell’imbottamento, detta charcoal mellowing, consiste nella filtrazione attraverso cenere di carbone pressata della pianta conosciuta come acero da zucchero, la medesima da cui si ricava il famoso sciroppo da utilizzare con i pancake.
Il distillato senza invecchiamento si chiama colloquialmente white dog e solo dopo il passaggio in botte diventerà bourbon. Le botti devono essere sempre nuove per mantenere intatti i profumi di vaniglia e frutta secca tipici di questa scuola. Quindi, unico caso nel panorama mondiale dei distillati, non si usano mai botti si secondo passaggio. Questo alimenta un forte commercio di botti usate verso la Scozia, la Francia, ed i produttori di rum caraibici e sudamericani.
Per il Kentucky Straight Bourbon Straight e per il Tennessee si impone un minimo di 2 anni in botti nuove di quercia americana. Il periodo di invecchiamento più breve rispetto al whisky europeo è legato a questo fattore, unito alla qualità ed alla lavorazione del legno. La tostatura pronunciata, che ha vari livelli di carbonizzazione, è fondamentale per la tipologia di legno, la Quercus Alba, ricca di sostanze aromatiche fondamentale per i tipici profumi del bourbon legati a vaniglia e tabacco.
Circa l’intensità viene comunemente definita alligator char quella maggiormente utilizzata dalle grandi aziende, poiché al termine del processo il legno si presenta con tante piccole crepe quadrate dai lati irregolari che assomigliano alle squame di questo rettile.
Nel bottle in bond l’invecchiamento minimo passa a 4 anni.
La materia prima, il mais, il cui distillato ha un tipico finale dolce unito al legno, permette allo Straight di non avere la benché minima edulcorazione, così come non ha bisogno di caramello per la sua tipica livrea ambrato scuro.
Corn whiskey: contiene almeno l’80% di mais.
Rye whiskey: contiene la medesima percentuale del precedente ma di segale.
Straight: indica l’aggiunta di sourmash per l’avvio delle fermentazione.
Extra Aged: indica un prolungamento dell’invecchiamento di legge, spesso seguito dagli anni totali. I distillatori americani reputano che la maturità di un whiskey sia determinata da un insieme di fattori e non esclusivamente da un lungo invecchiamento.
Single barrel (botte singola): indica l’imbottigliamento di una botte giudicata particolarmente degna di nota con caratteristiche uniche.
Bottled in bond (imbottigliato in dogana): questo garantisce al consumatore che il whiskey è di un singolo distillatore, di una singola cotta, ha avuto un invecchiamento minimo di 4 anni e ha una gradazione alcolica minima di 50 gradi. In questo caso il governo degli Stati Uniti è garante della qualità, in quanto l’invecchiamento è avvenuto nelle dogane sigillate e non nelle cantine del distillatore.
Una ricetta americana per il barbecue, vero caposaldo della cucina d’oltreoceano, consiglia di mettere a marinare per un paio d’ore la bistecca, destinata alla cottura a fuoco vino, nel whiskey.
Questa operazione ammorbidirebbe la carne e darebbe un particolare gusto alla carne.
Sempre per il barbecue alcuni anni or sono la Jack Daniel’s mise in vendita una speciale carbonella ottenuta con le botti esauste usate per invecchiare il distillato.
Volendo poi si può anche pasteggiare usando il whiskey allungato per accompagnare la carne alla brace solitamente ricca di salsa barbeque che ben si accompagna alla dolcezza del bourbon.
Whisky - Canadese
1801
John Molson, seguito da Gooderham&Worts sono i primi ad aprire una distilleria in Canada
1858
Hiram Walker e JP Wiser, lungo il fiume Detroit, che diventerà un luogo strategico per il contrabbando di whisky durante il Proibizionismo.
1926
I nipoti di Hiram Walker cedono il prestigioso marchio Canadian Club ad Harry Hatch che poco tempo prima aveva acquistato anche la Gooderham&Worts che si trovava in cattive acque per via del Proibizionismo. Insieme ad Hatch, Bronfman apre una distilleria nel Quebec per poi fondersi con un’altra grande distilleria, la Seagram’s, creando un vero super gruppo di distillerie.
1933
La nuova Seagram’s, con Bronfman alla presidenza, completa la sua espansione acquistando la British Columbia Distillery ed altre distillerie americane, portando al successo il marchio Royal Crown.
La materia prima principale di questo distillato è la segale. Come già detto, la presenza del 5% di orzo è pressoché obbligatoria per via dei suoi enzimi, mentre la quantità di mais è progressivamente calata poiché i consumatori preferivano un prodotto più secco e leggero, diverso dal bourbon. È pratica diffusa in alcune produzioni usare anche piccole quantità d’orzo non maltato, tipico dello stile irlandese, per rendere il distillato più rotondo e donare pienezza di gusto.
Il metodo di produzione segue le fasi della scuola scozzese. La distillazione può essere eseguita in discontinuo o più frequentemente con colonne di rettifica ad alto grado. Il disciplinare non menziona nulla circa l’uso di discontinuo o colonne, nè parla di grado massimo e minimo di uscita dall’alambicco.
L’invecchiamento obbligatoriamente è di tre anni in botti nuove tostate, che donano il tipico sentore di vaniglia, unito a una nota caratteristica mentolata. Nulla vieta anche l’uso di botti che abbiano contenuto vino ma, come per gli irlandesi, questo utilizzo non viene segnalato in etichetta.
Infine, il disciplinare impone un grado minimo per la commercializzazione di 40 gradi, e la possibilità di equiparare le partite con caramello ed una aromatizzazione con estratti di legno o altri aromi non ben specificati.
Whisky - Giapponese
1952
MasatakaTaketsuru, dopo alcuni anni di studio in Scozia, torna in patria e fonda la distilleriaNikka a Yoichi, cittadina dal clima simile a quello delle Highlands, con acqua povera di ferro, ideale per la distillazione. Ne costruisce poi una seconda nel Nord del Giappone, a Miyagiken, zona dal clima piovoso e umido simile a quello della Scozia.
Inizia il successo della distillazione giapponese
A Yamazaki nel frattempo, il gruppo Suntory, forte delle prime distillazioni eseguite da Masataka, inzia a produrre un prodotto chiamato Shirofuda, o Suntory White, ma arriva al successo grazie all’Hibiki, uno dei prodotti più venduti in assoluto.
2021
Entra in vigore il disciplinare del whisky giapponese, redatto dalla Japan Spirits and Liqueurs Makers Association.
Il nuovo disciplinare prevede l’uso di cereali maltati, altri cereali e acqua provenienti esclusivamente dal Giappone. È fatto obbligatorio utilizzare grani maltati per la produzione di whisky. Ne deriva che il Japanise Whisky sarà una super nicchia molto costosa in quanto sarà impossibile che, considerato il successo riscontrato, la materia prima possa provenire esclusivamente dalle campagne giapponesi. Ad oggi infatti molti malti d’orzo arrivano dalla Scozia.
Il metodo di produzione fa fede a quanto detto sinora per gli altri whisky. Tutti i processi devono avvenire su territorio giapponese. La percentuale di alcool al termine della distillazione non può superare il 95%, il che presuppone l’utilizzo delle colonne ad alto grado. Ma per i prodotti di pregio come i single malt si usa esclusivamente il discontinuo la cui forma ricorda molto da vicino quella degli alambicchi scozzesi. Il grado finale non viene dichiarato ma presumibilmente sarà sui 70 gradi.
Il whisky giapponese deve maturare esclusivamente all’interno di botti in legno di quercia, dalla capacità non superiore ai 700 litri, per almeno 3 anni. Il processo di invecchiamento deve avvenire rigorosamente in Giappone.
Al termine della produzione può essere imbottigliato solamente nel Paese del Sol Levante e deve avere una gradazione di almeno 40%. È consentito inoltre l’impiego di caramello per l’uniformità del colore.
Sulle etichette dei whisky giapponesi si leggono le medesime diciture dei prodotti europei,come blended, single malt, no chill filtering etc etc.
Per sopperire alle richieste, e non essendo disponibili malti lungamente invecchiati, venduti ormai a prezzi del tutto simili alle super riserve scozzesi, i produttori giapponesi hanno iniziato a produrre i whisky detti NAS (no age statement). In verità questa non è una tendenza solo giapponese ma risponde alla sempre maggiore richiesta di prodotto che mal si concilia con i tempi di invecchiamento. Partendo dal presupposto che non sempre il lungo invecchiamento è sinonimo di qualità assoluta i blender giapponesi hanno preso a miscelare malti giovani, spesso con il minimo di legge, fruttati e freschi, con una piccola parte di riserve importanti.